Come ricordato di recente da Alessandro Girola il settore della fantascienza in libreria si va sempre più riducendo, schiacciato dal calo di vendite a favore di altri generi e dal peggioramento dell’offerta da parte dei maggiori editori. I tempi belli della serie Cosmo Oro e Argento della Nord, le sperimentazioni della Fanucci e pubblicazioni come Robot o Galassia, così come la gestione migliore della Mondadori, sono ormai affidate alle memorie dei lettori meno giovani e alle bancarelle dell’usato.
Non voglio riaprire l’argomento Urania, ormai frusto, o sottoporre a disamina ulteriore cose che già sapete. La realtà è che la SF in Italia, dal punto di vista editoriale, è agonizzante. Per un piccolo operatore come 40K che sta cercando di mettersi in luce con un’offerta commerciale e metodologica alternativa (testi brevi di autori di un certo livello messi in vendita a basso costo) o per una realtà come il gruppo Delos che con una proposta più articolata fatica comunque a conquistare spazio nelle librerie, si assiste in compenso a una stanca riproposta del catalogo (Asimov, Dick, Heinlein) o a un calo vertiginoso della qualità dei testi proposti in termini di traduzione/impaginazione/correzione bozze (figlio della politica dei tagli e del comprimere i tempi di lavorazione).
Tutto questo per dire che si è aperta una prateria per chi voglia proporre SF in maniera dignitosa e accessibile. Vale per tutti i sotto generi, ugualmente finiti ai margini del mercato come sopra ricordato. Stiamo parlando di un settore generalmente piccolo come numeri, sommatoria di nicchie ancora più piccole di appassionati. Il che però equivale a decine di migliaia di persone, cifra molto appetibile per piccole realtà o per le autoproduzioni.
Vi ricordate nel 1986, quando negli Stati Uniti uscì un’antologia a titolo Mirrorshades? Questo non è il momento per manifesti culturali stile Generazione TQ o peggio ancora, per concepire cose assurde come il New Italian Epic. È il momento giusto per scrivere. Cari scrittori e care scrittrici, è ora di tornare a guardare al futuro. Dentro e fuori il nostro pianeta, verso i confini delle dimensioni spazio temporali e oltre la scienza conosciuta. Datevi da fare!
Come sai sono uno dei nostalgici dei “Tempi Migliori”, uno di quelli che comprava Nord e Fanucci, e che oggi cerca la Delos in Libreria. Sono sicuro (forse mi voglio illudere io) che ci possa essere ancora spazio per la science fiction nelle librerie del nostro disincantato paese, ma sarà temo una cosa lenta e da costruire passo dopo passo.
L’ augurio che mi, che ci, posso fare è d iripartire da qualcosa che c’era.
Come detto, per me lo spazio c’è. Culturale e commerciale. La natura aborre il vuoto, no? 😉
La mia esperienza.
Sono un ultracinquantenne appassionato “da sempre” di sf e nella mia libreria ho almeno 2000 libri del genere: Urania, quasi tutti i Cosmo Oro e molti altri Nord, moltissimi libri della Fanucci, Mondadori, Libra,ecc.
Da qualche anno compro solo Urania accuratamente selezionati, anche per motivi di spazio: moglie e figlia sono anche loro lettori appassionati e non sappiamo più dove ficcare i libri!!
Oggi Delos offre quasi solo romanzi brevi a 10 € che, a mio avviso, sono troppi.
Da qualche mese ho acquistato un ebook reader e con E*ule e utorrent ho scaricato in pochi giorni 5000 libri in italiano, quasi tutti “vecchi” risolvendo il problema spazio e prezzo…..
La Libra, da quanto tempo non vedo più un libro con quel marchio! Grazie, mi hai fatto ricordare cose interessanti. Il rapporto prezzo / pagine versus qualità meriterebbe un’indagine vera e propria, è un pezzo che ho l’idea di prendere in esame il catalogo Delos e farci un bel post. Non mi pronuncio, per ovvi motivi, sul Mulo e i suoi fratellini. Almeno non in pubblico.
Bello pensare alla vostra casa ripiena di libri, libri dovunque e tre persone che straleggono. Categoria oasi.
Ciò che viene imposto dall’alto ha senza dubbio un peso non indifferente, specialmente nei confronti di chi non “sta dentro”, seguendolo, a un determinato genere, e che si accontenta di ciò che gli viene dato.
Però io non sottovaluterei anche la spinta dal basso; ovviamente questo tipo di offerta deve fare i conti con numeri più bassi e con mezzi più limitati.
Però una volta che si ha chiara questa situazione, ed in base a questa si riesce a mettere in pratica una strategia operativa consapevole e soprattutto professionale, si può pensare a riempire i vuoti di cui sopra.
L’avanguardia, d’altra parte, è sempre composta da pochi elementi.
P.S. Che bello trovare l’emilianissimo aggettivo “frusto”! 😉
Stanno cambiando le regole del gioco, la Rete e i formati elettronici arriveranno anche a trasformare il rapporto lettori / scrittori. Questo per dire che anche gruppi abbastanza ridotti (1000 persone, per esempio) arriveranno secondo me a diventare una sorta di mini lobby per chiedere ai fornitori di contenuti prodotti specifici. Molto freddo da dire, eh? Eppure da un rapporto diretto possono nascere grandi cose. Spero sinceramente che si vada in questa direzione prima possibile.
In realtà, l’universo delle small press (nel mondo anglosassone, ma non solo) lavora già su un rapporto quasi personale coi lettori – sono recentemente uscite due (eccellenti!) antologie, pubblicate da un piccolo editore, i contenuti delle quali sono stati decisi dai lettori.
E più in generale, l’editor di una piccola realtà come Nightshade, Wildside, Monkeybrains o Pulpworks, lavora su un settore così specialistico, che conosce già quali possono essere le aspettative e le richieste del pubblico.
Se a questo aggiungiamo il rapporto spesso molto personale fra autori e lettori (la settimana passata Clive Cussler ha chiesto ai suoi fan di decidere il colore dei capelli dell’eroina del suo prossimo romanzo – è una scemata, ma conta), è facile capire come anche un autore di piccolo cabotaggio, su un’etichetta che tiramille copie del suo libro, riesca ad avere un certo successo.
E questo senza andare a pensare a gente come Dennis Detwiller o Greg Stolze, che i loro libri li finanziano su Kickstarter con un certo succeso.
O il rapporto personale coi lettori di un autore di classe come il francese Werber, che alterna romanzi e conferenze pubbliche, o quant’altro…
Direi che è proprio la struttura della narrativa di genere come comunità che è qualcosa di diverso, all’estero.
Da noi c’è ancora molto da lavorare.
A noi, come italiani, viene richiesto un cambio di passo. Adattandolo però alle nostre abitudini. Guarda a una cosa come il ‘donate’, da noi non funziona assolutamente e oltre frontiera (nei paesi evoluti di cui dovremmo far parte) consente di integrare le entrate a parecchie persone. Idee come Kickstarter sono praticabili in Italia? Ho molti dubbi in merito.
Quanto a un rapporto diverso tra lettori e scrittori qualcuno ci sta provando, soprattutto tramite i social network. Non siamo ancora arrivati a un passo che secondo me è semplice, cioè ai tot fan dello scrittore X che creano il gruppo su FB per richiedere un nuovo romanzo. Te lo immagini il discorso con l’editore? Ciao, ho 5000 persone che vogliono un nuovo romanzo del personaggio Ciropiro, me lo fai il contratto?
Guarda… non so che dire. Io ancora scrivo fantascienza. Ma sono i miei ebook meno scaricati. Non è che forse anche i “giovani” lettori non vogliono più leggerla?
Io credo che la SF sia stata soffocata non tanto dalle politiche editoriali, quanto piuttosto dal cinema. Gli effetti speciali hanno amplificato a mille l’effetto fiction e non è un caso che al cinema la SF tiri ancora parecchio (anche se i titoli sono per lo più dei film action mascherati da sci-fi). Nei libri, questi effetti speciali, si sono persi. Forse, in un epoca tanto tecnologica come quella attuale, scrivere di sci-fi è diventato complesso e… prevedibile. La gente non si meraviglia più.
Un tempo, negl’anni 50, parlare di computer era come parlare di macchine incredibili, che una persona normale non avrebbe mai potuto vedere nonostante esse fossero realmente esistenti. Oggi abbiamo due o tre computer in casa, con un potere di calcolo pari a centinaia di volte rispetto a quelli che servirono per andare sulla luna (la capsula apollo avere un potere di calcolo analogo al commodore 64)… e li usiamo per giocare a Quake, Doom, o a Farmville.
Ormai diamo tutto per scontato. Nei libri di SF non si riesce più a creare sense of wonder… ed è per questo che, secondo me, la SF ha perso appeal.
Com’è che i vampiri di Twilight hanno successo, che Harry potter ha successo, e i romanzi di Avoledo arrivano alle 30000 copie appena? Semplice… la magia non è parte della nostra vita comune, i vampiri esistono solo nell’immaginario… il sense of wonder è salvo.
Caspiterina! C’è pure gente che tenta di trovare la ricetta per la butter-beer di Harry Potter!
E lo spazio? Lo spazio potrebbe ancora alimentare il mercato SF, ma visto come va la corsa alle stelle, credo che nessuno ci creda più. Dagl’anni 60 a oggi abbiamo dimenticato come si fa ad andare sulla luna (ribadisco, con il potere di calcolo di un commodore 64)… chi potrebbe mai credere che un giorno gli umani avranno colonizzato il sistema solare… e magari oltre?
Sopravvivono solo Star Trek e Star Wars… credo più che altro per il fatto che in quelle due serie, di SF, ci sia molto poco. SW è un fantasy ambientato in una galassia lontana. ST è invece avventura… e al posto dei velieri, ci sono le navi spaziali, ma per il resto… ^^
Il tuo intervento, come spesso accade, è una messe di indicazioni. È vero che il rapporto dei lettori con la SF è cambiato, in gran parte per le ragioni che indichi. Ma allora come mai all’estero i libri di SF vendono? I film e i serial TV americani arrivano anche nel resto del mondo, come mai hanno un impatto diverso? Siamo noi italiani ad essere antropologicamente diversi (sì, ho citato apposta SB) o c’è qualcosa che non funziona nel nostro mercato?
Il dato oggettivo dei tuoi download è comunque qualcosa da non ignorare. Tu scrivi bene, ti documenti, cerchi di essere plausibile nello svolgimento delle trame pur rimanendo nella SF. Allo stesso tempo lamenti la mancanza di sense of wonder, di prospettive tecnologiche capaci di far sognare i lettori. Sono anche d’accordo sul definire Star Trek e Star Wars al limite del genere SF propriamente detto.
Però se guardo all’estero, destinazione USA, vado a vedere i vincitori degli Hugo e dei Nebula degli ultimi anni; di cosa parlano? Cosa fa funzionare le loro storie? Oppure, guarda alla Russia di oggi e al romanzo Metro 2033 di Gluckhovsky (mmmh… questa assonanza… ) come mai ha sfondato? Per questo penso e sostengo l’idea che ci sia fior di spazio per la SF, anche e soprattutto in Italia. Quello che dobbiamo fare è trovare la chiave per renderla fantastica e recuperare il senso di meraviglia che la fa funzionare.
Non credo sia colpa del mercato… per lo meno non dal punto di vista globale. Le difficoltà della SF si notano maggiormente nei libri, ma non nel cinema e nei videogame. Del resto, osservando attentamente anche le ultime pubblicazioni cartacee di SF in Italia, c’è un certo interesse verso titoli legati a saghe di videogiochi dal successo commerciale affermato (penso ad Halo, a cui Byonce ha pure dedicato una canzone, e ad altri).
Insomma… ho come la sensazione che sia un problema tutto italiano, e soprattutto, tutto librario. Già in Italia si legge poco… ma la SF viene proprio schivata intenzionalmente (non credo neppure sia colpa degli editori… loro devono far tornare i conti, e cercano di tamponare le falle come possono, con i classici, e come ho già accennato, con i titoli legati ai videogame di successo).
Che sia colpa della crisi? (non intendo l’attuale… ma quella silenziosa che è nata più o meno negl’anni ottanta, quando si svalutava la lira per far sembrare agli italiani che tutto andasse benone).
Pensiamoci. Da quanto tempo l’italiano medio ha smesso di sognare? La mia generazione (classe 1972), si dice, è stata la prima a stare peggio rispetto alle precedenti. Un tempo c’era fiducia nel futuro. Il figlio ha sempre vissuto meglio dei genitori… ma questo ingranaggio si è inceppato per vari motivi (economici, politici, contingenti, culturali, etc etc).
Una volta si guardava avanti con fiducia, con speranza, con ottimismo… Io stesso, da piccino, quando vidi decollare il Columbia per la prima volta pensai: è fatta! Da grande potrò davvero fare l’astronauta… foss’anche stato l’equivalente di un autista di autobus… avrei volato nello spazio.
E invece… scioperi, difficoltà a trovare il lavoro, l’asilo per i figli, i debiti, le bollette, l’abbonamento rai, il tagliando alla macchina, le ferie sempre più care (i miei facevano 21 giorni in montagna… io ne faccio 6… stesso albergo), sfighe, tasse, affitto… bla bla bla… il sense of wonder, magari, è seppellito lì sotto. Altro che astronavi, qui ci vuole la bacchetta magica per sopravvivere, chissà se esiste una scuola di magia! Nel frattempo accendo la Play e mi faccio una partita a Tekken, che scarico i nervi.
A parte l’ironia, concordo con te… bisogna trovare il modo di risvegliare il sense of wonder. Ma non credo sia così facile.
Che la nostra generazione sia stata la prima a pagare il conto (io sono del 1968) sono d’accordo, così come concordo su cosa ‘funziona’ dal punto di vista di vendite e cosa no. Ma mi domando, quando è stata l’ultima volta che ci hanno provato sul serio a far decollare qualche libro di SF? Avoledo ha conquistato i suoi lettori uno a uno con il passaparola, anche se è uno scrittore molto particolare.
La Sf ha conosciuto uno dei suoi picchi di diffusione durante la guerra fredda, con l’incubo della terza guerra mondiale alle porte. Non era una crisi quella? Gli americani come economia stanno messi come o peggio di noi e continuano a leggere / scrivere ottima SF.
La disaffezione del pubblico italiano verso la fantascienza è probabilmente legata al fatto che – come Glauco osserva – come cultura abbiamo smesso di pensare al futuro.
Viviamo letteralmente alla giornata.
Possiamo discutere a lungo sul fatto che gran parte dei problemi attuali a livello economico e politico, ma anche sociale e ambientale, derivino dal fatto che, in ultima analisi, non si è stati capaci di immaginare un futuro diverso dal presente – e ancora non ci si riesce.
In più, negli ultimi anni, è divntato facilissimo vedere il futuro nero che più nero non si può – anche perché ci hanno esplicitamente detto che la scienza, quel motore che doveva portarci a tempi migliori, non serve per mangiare.
Il futuro è brillante per altre persone – i ricchi, i vip, i personaggi televisivi, i calciatori.
Non per la popolazione in generale.
C’è un senso di arbitrarietà dominante, una forte vena neofeudale, una rassegnazione alla predestinazione (che poi significa semplicemente che se hai gli amici o i parenti giusti fai strada) – e il fantasy dinastico ha un successo enorme di conseguenza.
Ma a tutto questo aggiungerei una osservazione tanto per rendermi antipatico – la fantascienza che “tira” al momento, nel resto del mondo, è maledettamente difficile da scrivere – non basta più conoscere due cose di astronomia e un paio di termini tecnici della biologia.
Per scrivere buona SF al momento tocca conoscere BENE la scienza, e tocca conoscere la scienza di punta – materia programmabile, teoria delle stringhe, EVO-DEVO, planetologia.
Non basta ciò che si è appreso, controvoglia, al liceo – per leggere, certo, ma anche e soprattutto per scrivere. E io credo che su questo fronte i nostri autori siano carenti – e i nostri lettori siano carenti.
Al contempo, chi scrive di scienza ha imparato – nel resto dell’universo – a scrivere bene, ad avere un proprio stile, una propria poetica.
Ance su questo, siamo carenti.
Probabilmente la frattura fra cultura umanistica e cultura scientifica (che la fantascienza dovrebbe scavalcare) è troppo ampia ormai nel nostro paese.
OK, la tua riflessione funziona alla grande. Almeno se si resta sulla hard SF. Cosa mi dici di tutto quel pulp stile John Carter di cui ti occupi così volentieri? Quello è alla portata anche di chi non ha una grande formazione o ha poca voglia di studiare un trick decente per motivare il suo scenario, giusto? Allo stesso tempo, se è vero che continuiamo a esportare ricercatori piuttosto buoni, ne ho visto uno andare via due giorni fa, allora come mai non riusciamo a fare qualcosa nel settore SF più para scientifico?
Sono sempre più convinto che le cose più interessanti nasceranno nel mercato di nicchia: autoproduzioni, associazioni culturali (vere, non come ***), piccoli editori.
Il grande mercato italiano – e sottolineo italiano, perché negli USA la fantascienza mi è parsa in ottima salute – non vuole rischiare, se ne frega delle esigenze dei lettori over 20 (a essere generosi). Allora occorre proprio creare l’alternativa laddove non la troviamo già pronta su un vassoio d’argento.
OK, ci siamo. Rimane da capire se davvero ci sono i numeri per fare questo discorso. Come si può avere una sorta di risposta dai lettori, dal cosiddetto mercato? Non parlarmi di ass. culturali, mi viene una crisi di rigetto immediato.
Ah, la fantascienza pulp… una domanda secca – tu quanti romanzi di quel genere hai trovato sui nostri scaffali, negli ultimi trent’anni?
Il (sotto)genere da noi è pochissimo praticato, e se togli Indiana Jones, quasi nessuno ha una minima dimestichezza con i cliché e le regole del genere.
Non lo conoscono, non lo cercano, e se provi a proporglielo storcono il naso.
Credo che per poter avviare una rinascita della fantascienza popolare nel nostro paese, sia prima di tutto necessario un lungo lavoro di disintossicazione e riabilitazione dei lettori.
Spurgare tutto quell’insipido Asimov dai sistemi dei vecchi, e tutti i vampirelli infoiati dai sistemi dei giovani.
Di pulp, di qualsiasi sottogenere collegabile al pulp, credo si trovi zero nelle librerie nostrane. Almeno per l’esperienza che ne ho io. In linea di principio il concetto di detox è interessante anche se personalmente non ho voglia di espurgarmi i neuroni dal buon dottore (per chi non lo sapesse, Asimov).
Siamo poi così sicuri che il pubblico non possa gradire il pulp? Se non sai cos’è la maionese non credo tu possa dire a priori se ti piace. Che gli editori non vogliano proporlo non faccio fatica a crederlo ma che possa risultare del tutto sgradito ai lettori… ci penserei.
Oh, sono daccordissimo – io però non dico sgradito, quanto… mah, estraneo alla nostra cultura.
Come mi disse una signora molto elegante anni addietro, trovandosi fra le mani sei racconti di fantascienza e horror di autori giapponesi “Mi mancano le coordinate culturali per apprezzarli…”
Sì, ok, pernacchia.
se non li leggi, non li apprezzerai mai.
Però c’è una resistenza quando il modello proposto non è il solito – e resistenza significa spesso che l’editore non lo prenderà in considerazione, perché condivide i pregiudizi (idioti) dei lettori.
Il pulp ha delle regole ben codificate – con tutte le varianti generiche (planetary romance, sword & sorcery, weird menace etc…)
Queste regole sono diverse, per dire, dai sottogeneri affini.
Il plan rom non è esattamente space opera.
La s&s non è esattamente fantasy.
Il wm non è esattamente horror.
Questa dissonanza può essere ciò che attira (nel mio caso) o ciò che spaventa e allontana il lettore, che standone lontano non ha il modo di formarsi un gusto, di apprendere il linguaggio.
(Dio, che idee intelligenti! – mi sa che domani ci faccio un post… 😛 )
OK, ci sono le regole e le definizioni. Vanno rispettate, benissimo. C’è chi non le conosce e di conseguenza non le capisce, d’accordo. Poi che succede? Lasciamo tutto così? Io leggo in inglese, potrei anche fregarmene di cosa succede qui ed entrare in quei ranghi dove si guarda alle vicende italiane con distacco. Potrei. Ma non ne ho voglia. Perché so, ribadisco la parola ‘so’, che si può fare qualcosa. Cambiare il mondo no di sicuro, ma buttare per aria qualche cariatide sì.
Oh, se si tratta di buttare all’aria cariatidi varie, chiamai, che sono della partita volentieri.
Ma mi rimane qualche dubbio sull’effettiva efficacia di certe iniziative.
Divertenti, eh… ma per molte cose temo, temo davvero che si sia superato il punto di non ritorno.
Poi, che diamine, sempre lieto, su queste cose, di essere smentito.
Basta che non salti fuori l’ente benemerito della protezione cariatidi, potrei avere uno scompenso… 😉
E’ possibile che tu abbia ragione e che sia troppo tardi. Lo si può sapere solo se ci si prova, giusto?