Stephen J.Sweeney
The Honour of the Knights (2009)
Autoproduzione, disponibile tramite Amazon
ISBN 978-0955856105
pp. 348
Quarta di copertina (da Amazon.com)
When starfighter pilot Simon Dodds is enrolled in a top secret military project, he and his wingmates begin to suspect that there is a lot more to the theft of a legendary battleship and an Imperial nation’s civil war than either the Confederation Stellar Navy or the government are willing to let on. Within weeks of being reassigned to the Confederate border system of Temper, the five would begin to untangle a web of lies and a cover-up that seemed to span the entire galaxy. And it would not be long before they would come face to face with that which destroyed an empire: an unforgiving, unstoppable, and totally unrelenting foe. There seemed to exist only one glimmer of hope of driving back the darkness: The ATAF Project – a secretly developed set of starfighters that well may just harbour some terrible secrets of their own…
Recensione flash.
Romanzo d’esordio, autoprodotto, per un autore inglese che vuole rivolgersi al pubblico delle serie televisive di SF e ai tanti nostalgici della space opera. Qualche forzatura, un errore epico e molta carne al fuoco. il tutto per aprire un ciclo, forse una trilogia.
Voto: 06,00 / 10,00.
Recensione.
Questa è la prima autoproduzione anglofona che recensisco su questo blog, si tratta del romanzo d’esordio di uno scrittore inglese che ha scelto di buttarsi sul genere SF andando a riprendere l’eredità di serie televisive come Battlestar Galactica, Star Trek e del ciclo di film di Star Wars. Questo almeno nelle intenzioni. In un futuro non troppo lontano l’umanità si è espansa nello spazio fino a colonizzare numerosi sistemi stellari, suddividendosi in tre sfere di influenza. Una confederazione che ricorda fin troppo gli USA, una lega di mondi indipendenti simile al Commonwealth britannico e un impero (Asimov? Se ci sei batti un colpo) in fase di avanzata disgregazione. Proprio da una guerra civile in seno ai territori imperiali si scatena una minaccia che potrebbe minacciare l’intera razza umana, un Nemico dedito allo sterminio totale dei suoi oppositori. Da qui un conflitto che durante la narrazione prende dimensioni sempre peggiori.
Nei canoni del genere il personaggio principale è un pilota della confederazione, Simon Dodds, reduce da un episodio tragico che ne ha segnato la carriera, l’ennesimo maverick dalla testa calda con la carriera appesa a un filo. Il suo gruppo di volo, i White Knights a cui si riferisce il titolo, sono una sorta di collezione di archetipi del genere, personaggi di scarso spessore con l’eccezione di Chaz che però ricade in un altro stereotipo, quello del rogue warrior. Il resto dei personaggi di contorno funziona solo a tratti, sospesi tra i classici del genere e qualche flash che fa intuire una profondità maggiore. Il campo avversario è ancora meno definito e verte soprattutto sul concetto di minaccia inarrestabile (vengono in mente i Berseker di Fred Saberhagen, qualcuno li ricorda?). Esiste una terza fazione, un movimento di resistenza all’interno dei territori imperiali, che si intuisce poter diventare importante nel prosieguo del ciclo.
La buona volontà c’è tutta e rappresenta una buona parte del voto di sufficienza che ho assegnato a un libro zoppicante. Ci sono battaglie nello spazio, qualche momento di introspezione dei personaggi, moltissimi omaggi al genere, una gran voglia di narrare una storia di grande respiro. Poi però arriva il momento del crollo, che di solito da solo vale un -2 nella valutazione.
Nell’arco di poche pagine si apprende che soldati del Nemico, resistenti oltre ogni umana condizione, possono tuttavia essere eliminati, sia sparandogli alla testa che lasciandogli esposti ai rigori dello spazio. Poco dopo, al culmine di una battaglia, i tre esponenti principali del Nemico finiscono proprio nello spazio e incredibilmente non muoiono. Ora, passi per il sense of wonder, passi per il voler mantenere la contrapposizione tra fazioni ma mostrare una contraddizione del genere no. La dilatazione dei gas e il passaggio di temperatura a -273 C° sono sufficienti a stroncare qualsiasi creatura vivente, non importa quanto trasformata in cyborg o ricostruita con materiali esotici.
Il resto del voto positivo arriva dal voler premiare l’autoproduzione e la voglia di proporsi al pubblico in maniera adeguata al 2011. L’autore ha un sito dedicato a questa serie dal quale si può scaricare gratis la prima versione del romanzo, tre capitoli di quella definitva e tre capitoli del secondo libro più vari altri gadget autoprodotti. Può far sorridere ma è avanti anni luce rispetto a tanti scrittori affermati, in Italia e all’estero.
Io i Berserker li ricordo eccome. Da quello che hai descritto tu l’autore ha buone possibilità di miglioramento, però casca nei soliti luoghi comuni dei novizi. In più, secondo me ha un altro grave difetto tipico della middle class Britannica. Cioè l’essere convinti di essere ancora ai tempi dell’Impero Vittoriano.
Ora io, nonostante tutto, sono convinto che la serie possa migliorare, aspetto quindi con piacere di poterlo leggere.
Se lo attendi tradotto in italiano rischi di aspettare a lungo, non mi risulta neppure opzionato.
Io non ricordo solo i Berserker – sono abbastanza vecchio da ricordare i Bolos.
Detto ciò.
Sulla faccenda del passaggio nel vuoto senza tuta, discutiamone – è tutta una questione di tempi.
È ormai accertato cje la decompressione esplosiva, cara a noi frequentatori della space opera classica (“Gettatelo fuori dalla camera di compensazione!”) è a quanto pare un mito – sembra accertato che un cadavere nel vuoto dello spazio decomprime ma non esplode (non chiedermi come hanno fatto a stabilirlo – ma la mia fonte è comunque la rivista New Scientist).
Poi…
Sembra una sciocchezza, ma Douglas Adams, in Guida Galattica per Autostoppisti (no no, aspetta…) dice che se prendi un bel respiro prima di essere gettato fuori dal boccapporto, c’è una probabilita su duecentosessantasettemila e duecento e nove che tu venga salvato prima di morire.
Ora il bello di Adams è che tutta la scienza che c’è in Guida Galattica è corretta.
Nel senso che per pochi secondi (subendo orride ustioni da freddo e una dose di radiazioni da paura, naturalmente) si può sopravvivere nel vuoto senza tuta.
È lo stesso giochino che fanno Clarke e Kubrick in 2001 – quando David rientra sulla Discovery senza casco.
Poi, è chiaro – più di due o tre secondi…
Non voglio sapere come i tipi di New Scientist abbiano stabilito cosa accade in caso di decompressione, preferisco rimanere nella mia crassa ignoranza e nno vedere quei poveri cosmonauti abbandonati nello spazio. Il fatto che dici di Adams è effettivamente corretto, peccato che tra ‘salvato’ e ‘in salute’ ci sia una bella differenza, proprio per il fattore sbalzo di temperatura (solo a pensare agli occhi mi vengono i brividi, letteralmente).
Nel romanzo il periodo passato nel ‘vuoto’ si può tranquillamente stimare a più di quindici minuti. Il che stronca qualsiasi teoria. Avrei dovuto precisarlo in sede di recensione e me ne scuso.
Figurati.
Lo sai che a me piace cercare scappatoie scientificamente credibili per affermazioni palesemente inammissibili (vedi la caccia ai dinosauri).
Le scappatoie sono divertenti, oltre che a spingere un centimetro più in là i ragionamenti. La precisione serve a me, nel senso che dico che una situazione è sbagliata devo farlo a ragion veduta. Per questo mi sono scusato. Tra parentesi, averne di lettori attenti come te.
Quando si dice la sincronicità – ho trovato oggi, su un manuale per turisti spaziali che stavo leggendo (non chiedere…), un dato “definitivo” – un essere umano può sopravvivere al massimo un minuto nel vuoto dello spazio, se rimane raccolto in posizione fetale, con gli occhi chiusi.
Svuotare i polmoni prima di buttarsi potrebbe aiutare.
E ancora una volta non voglio sapere come lo abbiano determinato.
Io non chiedo. Non a te per il manuale e non a loro per il metodo sperimentale. Non vorrei finire i miei giorni in maniera anomala. 😉
Grazie per la conferma, buon viaggio!