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Ve lo ricordate il crac dell’Islanda? Il primo paese europero occidentale a saltare per aria all’inizio della crisi economica globale, l’ex isola felice dove avevano speculato tutti a partire dai maggiori istituti di credito inglesi e tedeschi. A quanto si apprende da Repubblica il paese è sul punto di essere considerato ‘guarito’, l’economia è tornata a crescere, l’occupazione pure, il sistema locale di welfare ha sempre retto il bastione impedendo una crescita incontrollata della pressione sociale.
Non posso che esserne contento, intendiamoci. Ho sempre avuto simpatia per questa mini nazione da 320.000 abitanti, priva di forze armate e con una storia interessantissima. Difficile per me anche non tenere conto del fatto che le ridotte dimensioni della popolazione la rendono quanto di più simile possibile a una democrazia diretta. Ma, nei miei articoli c’è sempre un ‘ma’, gli islandesi sono riusciti a risolvere i loro problemi grazie a due fattori. Il primo è un’economia rimasta sana nei fondamentali, il secondo l’aver sigillato cinque miliardi di euro di debiti verso istituti stranieri chiudendo le tre maggiori banche del paese e trasferendo d’ufficio i depositi dei cittadini in tre banche create da zero per garantire la liquidità.
Il resto l’ha fatto un prestito miliardario dalle casse dell’FMI, da quello che ho capito in via di estinzione. Adesso il governo islandese si sta per presentare alla comunità europea per avviare il processo di adesione all’euro con lo scoglio dei citati cinque miliardi da evitare. Le banche creditrici che per ora hanno dovuto inscrivere quei crediti come perdite stanno facendo pressioni perché si pervenga a una soluzione negoziale che faccia loro recuperare la maggior parte della cifra, idea fermamente respinta dal governo islandese.
La strategia dell’Islanda NON è replicabile da nessuno dei paesi in crisi. Questa è la cattiva notizia. Portogallo, Grecia, Irlanda, Spagna e Italia hanno masse di debito pubblico tali da impedire un assorbimento dello shock da mancato pagamento conseguente a un default e/o dal blocco dei debiti verso l’estero. I sistemi bancari dei paesi citati inoltre sono troppo interconnessi con le altre realtà europee, il che innescherebbe un effetto domino insostenibile. Quindi non abbiamo trovato l’uovo di Colombo per chiudere una volta per tutte la crisi apertasi nel 2008.
A costo di essere noioso, torno a sostenere la necessità di un accordo per tagliare i debiti sovrani, ormai nella direzione di diventare insostenibili anche per i paesi con rating AAA. Una discesa controllata e ben gestita, figlia di un accordo internazionale importante come quello di Bretton Woods, potrebbe essere l’unica via d’uscita per tornare a un sistema economico ripulito dai titoli spazzatura e da masse di denaro virtuale utile solo agli speculatori.
Grazie mille di cuore per questo articolo.
Erano giorni che volevo documentarmi sul “caso Islanda”.
Peccato davvero che non sia replicabile in mitteleuropa…
Per come l’ho capita io non si può fare. Per il resto, figurati, questo è anche un blog di servizio. 🙂
La strada islandese la si è potuta percorrere per i livelli bassi (relativamente) di capitale da impiegare. Già il Portogallo è troppo grande, così come la Grecia con i suoi 11 milioni di abitanti. Non pensiamo a noi, possiamo farcela solo con strade molto innovative.
Ho avuto grosse simpatie da sempre per l’islanda, e leggendo l’articolo di Repubblica ho gioito per quel paese.
A loro tanti auguri ma quei 5 miliardi di euro pesano sul futuro se vorranno aderire all’euro.
Simpatica questa storia…
L’Islanda è il paese scandinavo che tratta gli scandinavi con la puzza sotto il naso, che non ha l’esercito perchè ha subappaltato la propria difesa agli US, che guarda tutti dall’alto in basso e che ha sempre sputato nel piatto dell’Europa…
Si è sempre terroni di qualcuno (cit. Eduardo?) ma nel caso degli islandesi questo rischio non c’è quasi…
Ora, per interesse, scoprono che i soldi della EU non puzzano nemmeno tanto… che l’Euro è più stabile del Dollaro e quindi neanche fa tanto schifo… Insomma si permettono anche di fare i magnanimi e di onorarci della loro presenza nella EU… tanto il biglietto di ingresso lo si è pagato noi!
La storia islandese recente, diciamo l’ultimo secolo, ci mostra un paese davvero peculiare. Il pessimo rapporto che hanno con i paesi del nord Europa, Danimarca in primis, ha radici lontane e certe pretese di guardare gli altri dall’alto in basso sono più appannaggio delle fronde di estrema destra che non del comune sentire, almeno per quanto ho potuto capire io.
L’ingresso nell’Europa unita lo pagheranno. Come, non lo so. Sul piatto ci sono 5 miliardi di euro di contenzioso con alcuni dei principali istituti di credito europei, gente che ha fior di lobbisti a Bruxelles, hanno da risolvere diverse questioni con gli inglesi per i diritti di pesca e ci sono una montagna di questioni istituzionali per adeguarsi agli standard EU. Il tutto con il rimborso di 8 miliardi da finire di pagare all’FMI e la necessità di mantenere inalterati welfare e mercato interno del lavoro.
E’ un paese giovane, hanno tante risorse (pesca, elettricità…). Se la caveranno per forza, la truffa dei mutui americani scaricata sulla pubblica amministrazione può far perdere loro un po di tempo, niente più.
E poi secondo me l’Islanda è un ottimo affare: la mia impressione è che faremmo un bel colpo a tirare dentro una nazione così, vale la pena spenderci qualcosa. Non è un fatto casuale che anche i russi si siano fatti avanti offrendo mucchi di soldi, vi ricordate? Semmai mi domando se tutto questo convenga agli islandesi. Sospetto che per loro sarebbe più utile restare da soli.
I fondamentali dell’Islanda sono buoni anche se non eccellenti e la loro posizione potrebbe diventare più importante negli anni a venire. Per quanto mi riguarda va benissimo farli entrare in Europa dalla porta principale. Va risolto il problema di quei 5 miliardi di euro comunque, non possiamo fare figli e figliastri in questi tempo di austerità. Per loro conviene? Sì nella ragione in cui si mettono al riparo, parziale, di una serie di speculazioni. No, nel momento in cui il passaggio agli standard europei dovesse alterare troppo i loro meccanismi amministrativi e politici interni.