George Mann – Ghosts of Manhattan

Nota per i naviganti: per l’intero mese di ottobre 2011 tutti i post di questo blog riporteranno come prima parte queste righe per ricordare che è possibile votare per il concorso SF qui fino alle 23.59 del giorno 31 di questo mese. Modalità di voto e lista delle proposte sono contenuti nel post linkato.

George Mann

Ghosts of Manhattan (2010)

Pyr

ISBN 978-1616141943

pp. 237, prezzi vari (vedi link sottostante)

Link su Amazon.com http://www.amazon.com/Ghosts-Manhattan-George-Mann/dp/1616141948

Quarta di copertina (dal sito della Pyr).

1926. New York. The Roaring Twenties. Jazz. Flappers. Prohibition. Coal-powered cars. A cold war with a British Empire that still covers half of the globe. Yet things have developed differently to established history. America is in the midst of a cold war with a British Empire that has only just buried Queen Victoria, her life artificially preserved to the age of 107. Coal-powered cars roar along roads thick with pedestrians, biplanes take off from standing with primitive rocket boosters, and monsters lurk behind closed doors and around every corner. This is a time in need of heroes. It is a time for The Ghost. A series of targeted murders are occurring all over the city, the victims found with ancient Roman coins placed on their eyelids after death. The trail appears to lead to a group of Italian American gangsters and their boss, who the mobsters have dubbed “The Roman.” However, as The Ghost soon discovers, there is more to The Roman than at first appears, and more bizarre happenings that he soon links to the man, including moss-golems posing as mobsters and a plot to bring an ancient pagan god into the physical world in a cavern beneath the city. As The Ghost draws nearer to The Roman and the center of his dangerous web, he must battle with foes both physical and supernatural and call on help from the most unexpected of quarters if he is to stop The Roman and halt the imminent destruction of the city.

Recensione flash.

Un bel romanzo che è un mischione di generi e sottogeneri, tutto miscelato per essere un page-turner come se ne leggono pochi. Consigliato anche non privo di difetti, Mann è un autore da tenere d’occhio.

Voto: 06,50 / 10,00.

Recensione.

Questo è un romanzo ambizioso e divertente, tratti ormai rari nella narrativa di genere. Prendete il filone fecondo dei vigilante (da The Shadow a Batman), gli anni ruggenti del secolo scorso, elementi ucronici, tracce di weird, un bel pezzo di steampunk e un debito notevole verso il pulp e avrete gli elementi di base di questo romanzo.

Siamo a New York negli anni ’20, lo choc della prima guerra mondiale ha lasciato spazio al proibizionismo e allo sbocciare del crimine organizzato, sullo sfondo c’è una società che sembra uscita dagli scenari descritti da Francis Scott Fitzgerald. Abbiamo un eroe che ha deciso di ribattere colpo su colpo ai criminali e di essere giudice, giuria e boia, abbiamo una damigella in pericolo che nasconde un segreto, un poliziotto deciso a soccombere piuttosto che cedere alla corruzione e un nemico che è molto di più che quello che sembra. Vi basta? No? Benissimo, perché abbiamo anche dirigibili e biplani, sangue in quantità e scene dure in piena tradizione pulp. In più, tutti fumano come dannati e il politcally correct non è pervenuto.

Tutto bene? No. Se come me siete dei bullonari ci sono delle cose da mettersi a urlare per la frustrazione e mantenere il sense of wonder è difficile in parecchi momenti. In più alcuni personaggi secondari sembrano delle controfigure di cartone, ci voleva un po’ di lavoro supplementare per rifinire questo giocattolino. Affascinato dal lato pulp e dall’atmosfera degli anni ’20 ho deciso di mantenere comunque un voto positivo, sedotto anche da un gancio al prossimo romanzo che ho trovato molto intelligente. Lo scoprirete nell’ultima pagina.

Nota bene: non mi risulta che abbiano tradotto o anche solo acquistato i diritti di questo romanzo in Italia. Se ne sapete di più per favore fatemelo sapere.

14 thoughts on “George Mann – Ghosts of Manhattan

  1. “Bullonari e pulp non vanno daccordo” disse, impallinandolo con tre colpi della sua doppietta…

    Il giocare lieti e lisci con un sacco di dettagli è proprio ciò che rende il lavoro di Mann molto vicino agli originali (leggetevi uno Shadow o un Doc Savage, per farvi un’idea), e contribuisce – a mio parere – al fascino del baraccone.
    Questa non è hard science fiction.
    Al limite è rubber science fiction.
    Il genere richiede un approccio impressionista, e Mann rende bene.
    E i personaggi di cartone devono essere di cartone 😉

    Non mi risulta che nulla di questo autore sia stato opzionato per l’italia – né Ghost (due romanzi) né nella serie di Newbury & Hobbs (tre romanzi)…
    Newbury & Hobbs che tra l’altro, con un’esclamazione poco raffinata, scopriamo nel secondo romanzo di Ghost essere una sorta di prequel di questa serie.
    Per cui, esaurito il fantasma, si può dare un’occhiata a com’era il mondo prima della Grande Guerra…

    • Non sono d’accordo, nel senso che si può benissimo combinare il pulp con una buona attenzione ai particolari tecnici e al rendere almeno plausibili i dispositivi che ci si inventa. Ho letto due originali di Doc Savage e capisco il paragone ma, io cimetto sempre un ‘ma’, Mann scrive nel 2010 questo romanzo. Non siamo nel pieno dello sviluppo della narrativa pulp o agli albori della SF, questo secondo me dovrebbe fare una differenza. Quanto ai personaggi di cartone non li trovo così necessari, nel senso che con poche pennellate li si poteva rendere molto più interessanti.
      Quanto alla serie ‘precedente’ sono molto curioso in merito, diciamo che nella want list il primo titolo ha già trovato posto.

  2. “Mann scrive nel 2010 questo romanzo. Non siamo nel pieno dello sviluppo della narrativa pulp o agli albori della SF, questo secondo me dovrebbe fare una differenza”.
    Non sono del tutto d’accordo sulla presunta “crescita” della SF dagli anni 30 in poi: era un vecchio refrain dei critici “politically correct” che vedevano l’infanzia della SF nel periodo pulp e poi una “maturità” negli anni 60 e così via. In realtà negli anni 30-40 si scriveva in stile “pulp” perché così lo richiedeva il mercato delle riviste e non per incapacità degli autori a scrivere in uno stile diverso.
    Detto questo penso anch’io che con poche pennellate si può rendere i personaggi molto più interessanti (ad es. Max Brand, il più classico degli autori pulp, ci riusciva benissimo), ma sta alle capacità dei singoli autori più che al periodo storico di riferimento.

    • Benvenuto! Non parlavo di evoluzione della SF dal punto di vista della scrittura, il tuo rilievo in questo senso è esatto (basterebbe pensare alle riviste degli anni ’30-’50), ma dal puntodi vista dei temi e dell’articolare le trame con più personaggi e un lavoro di approfondimento maggiore. Nel mestiere di autore a mio parere ci deve essere anche la capacità di rendere tridimensionali i personaggi principali, pulp o non pulp. Se si deve favorire il meccanismo per cui ci si immedesima nei personaggi questi devono essere adeguati.

  3. Ho dibattuto a lungo con amici appassionati di pulp, in passato, sulla possibilità di scrivere storie hard-pulp, per così dire.
    Si è giunti tutti alla conclusione che si potrebbe anche fare, sarebeb magari anche divertente, ma sarebbe una fatica improba – specie se rappoortata col livello al quale questa narrativa vuole viaggiare, che è bassino.
    Tuttavia dei buoni esempi ci sono – le avventure di Gabriel Hunt scritte da Charles Ardai e compagni sono eccellente avventura con alle spalle una ricerca solida, per cui niente revolver con la sicura, niente ferite curate con uno scotch e una Camel, niente blablabla… anche la pseudoscienza suona credibile.
    Ma Ardai bara – lui mette giù la trama, e poi passa la palla ai uoi co-autori, ciascuno dei quali (guarda caso) è un pluri-premiato narratore o saggista specializzato proprio nel genere di cose che il nostro eroe affronterà in quella specifica stoia.
    E resta sempre quell’area sfumata, quell’angolo cialtrone in cui l’autore ha la possibilià di rifugiarsi.

    • Onestamente non conosco i lavori di Ardai & friends quindi non posso seguire compiutamente il tuo ragionamento. Non capisco però come mai la narrativa pulp dovrebbe essere diversa da quella degli altri generi. Se io autore non so come si comporta un biplano in volo cerco qualcuno che me lo spieghi, spesso si possono trovare collaborazioni anche a titolo gratuito. Che alla fine io scriva narrativa pulp o un romanzo storico che differenza fa?

  4. All’origine era una questione di tempi: i grandi del genere – Gibson, Page, Dent, sfornavano un romanzo di 30/45000 parole ogni due settimane.
    Ciò che non sapevano spesso improvvisavano – e c’è da riflettere sul fatto che tanto Norvell Page (The Spider) quanto William Gibson (The Shadow) fossero, per preparazione professionale, dei prestigiatori… maestri nella dissimlazione, nel distrarre l’attenzione da un dettaglio per mascherare il trucco… Leggere i loro romanzi è anche un gioco a cercare i trucchetti che usano per andar via lieti e lisci su un acco di tecnicismi.

    Ora, se si vuole rifare il genere, ci sono due strade.
    O si crea quello che ciamano neo-pulp o New Pulp (esiste un badge per chi si riconosce in questa categoria)… si ambienta la storia nel presente, si coprono tutte le basi, ci si documenta per evitare svarioni, al limite si cooptano tecnici per le parti difficili… e poi ci si prova.
    Clive Cussler, senza saperlo, è uno dei fondatori della categoria – Ardai è un esempio, Joel Jenkins è un altro autore decisamete valido.

    L’alternativa è cercare di falsificare il passato – emulando non solo temi e situazioni, ma anche l’ambientazione e la tecnica di scrittura.
    Perciò si ignorano volutamente certi elementi a favore di altri.
    Si infrangono certe regole per rafforzarne altre.
    Non dico che sia giusto – dico che però funziona (e il tuo 6.5 mi conferma questa idea – funziona).
    Si inseriscono personaggi bidimensionali sulla base del vecchio precetto – se li userò nel prossimo romanzo, drò di rimpolparli (e Mann opera così, ad esempio con il domestico del fantasma).
    È una scelta stilistica, un gioco nel quale si presiume che il lettore sia in qualche modo partecipe.
    Come si suol dire YMMV.

    • Sulla stessa onda sarebbero da considerare pulp anche Marco Buticchi e Stefano di Marino? Entrambi hanno ritmi di produzione elevati anche se il livello di cardboard characters è decisamente minore, nel senso che hanno protagonisti ben definiti. L’uno opera prevalentemente nel settore avventuroso mainstream, il secondo è più sul settore spy-action. Li conosci?
      Mann lo trovo divertente proprio perché sopra le righe, la vicenda che racconta non è sorprendente ma è ben gestita. A ogni momento il suo libro, si potrebbe dire. In questi ultimi giorni ho riservato spazio a libri come questo e altro arriverà su queste pagine virtuali in seguito.
      Ridefinire un genere di per sé è rischioso. Applicare prefissi come neo-qualcosa o la parola ‘new’ mi rende diffidente a prescindere. Non si potrebbe semplicemente scrivere buone storie al massimo delle proprie possibilità? Magari cercando aiuto per le cose che non si conoscono, così, tanto per fare una cosa decente.

  5. Concordo sul fatto che la proliferazione delle etichette è spesso un fenomeno deteriore (New Italian Epic?! Io non ho mai parlato di New Italian Epic! 😉 )

    Nel caso del New Pulp, l’etichetta è nata perché gli autori contemporanei di pulp venivano (e in parte vengono ancora) considerati “fan writers” o autori non professionisti dai cultori del pulp originale, per i quali il genere è morto nel 1946, e tutto ciò he è venuto dopo è fan fiction.
    Alcuni autori di pulp contemportaneo sono stati addirittura accusati di voler spacciare falsi.
    A questo punto, alcuni autori ed editori hanno creato il badge semplicemente per distinguersi e sfuggire a certe accuse, tutto sommato abbastanza sciocche.

    Non conosco Buticchi – io gli italiani li frequento poco – e di Di Marino ho letto un solo libro – che ha scatenato il mio bullonarismo…
    Amettiamolo – ciascuno di noi, in un paio di ambiti, è radicalmente bullonaro, pur essendo quantomai possibilista in tutti gli altri.

    • Il bullonaresimo radicale mi piace come concetto ma capisco dove vuoi arrivare. Diciamo però che anche se non si conosce un determinato ambito tecnico traspare comunque la differenza tra un testo documentato e uno tirato via. La vicenda del pulp / new pulp mi ricorda davvero le questioni religiose, basate su dogmi che sfidano qualsiasi logica.
      Il NIE è una delle più colossali idiozie che io abbia mai sentito in vita mia, roba da far sembrare elevata la storia della Generazione TQ.

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