Israele versus Iran: il dito sul grilletto

Premessa.

Questo articolo parla di attività militari intraprese da Israele nel recente passato e delle prospettive di una possibile azione ai danni dell’Iran. Non è mio interesse focalizzarmi su temi religiosi, sulle diatribe che riguardano l’esistenza stessa dello stato di Israele e la storia dell’intera regione. Ogni commento che ecceda la ragionevole discussione verrà rimosso con estremo pregiudizio.

Situazione tattica.

Come noto l’Iran ha un programma nucleare molto ben avviato che sta arrivando a completare la produzione autonoma di materiale fissile con tutti i passi necessari per raffinarlo fino al weapon grade. Se si mette in relazione questa capacità con il buon livello della capacità missilistica autoctona e con la fattibilità della costruzione di un ordigno atomico è logico concludere che ci sia un interesse militare da parte di tutti i paesi del Medio Oriente in primis e del resto del mondo in conseguenza dell’importanza dell’area del Golfo Persico. Ad oggi Israele è l’unica potenza nucleare dell’area, elemento deterrente ritenuto fondamentale da gran parte delle gerarchie militari e dai partiti di destra nonché da una parte rilevante dell’establishment americano. Da mesi Tel Aviv fa filtrare dichiarazioni e voci a proposito di un attacco ai siti nucleari iraniani.

I precedenti.

Le forze armate dello stato di Israele hanno una lunga storia di operazioni condotte fuori dai confini nazionali, nella loro dottrina operativa l’interesse nazionale prevale su qualsiasi trattato o convenzione esistente, comprese quelle sottoscritte dallo stesso Israele. Questo è un elemento da tenere sempre presente quando si discute della possibilità di eseguire o meno un’operazione militare da parte del governo di Tel Aviv. La consapevolezza di avere nel consiglio di sicurezza ONU un alleato, gli USA, in grado di porre il veto su qualsiasi decisione non formale contribuisce non poco a questo atteggiamento. Per gli scopi di questo articolo ritengo interessante ricordare alcune operazioni della FFAA israeliane, significative per i risultati ottenuti e/o  per le distanze degli obiettivi rispetto al territorio nazionale.

Operazione Thunderbolt, 4 luglio 1976.

Un gruppo aviotrasportato di forze speciali viene utilizzato per riprendere il controllo di un aereo passeggeri francese dirottato e fatto atterrare in territorio ugandese nell’aeroporto di Entebbe. Il teatro di operazioni è a 4.000 km dal territorio israeliano, l’operazione può essere definita un successo pieno malgrado alcune perdite civili. Un buon riassunto lo potete trovare qui.

http://en.wikipedia.org/wiki/Entebbe_Raid

Operazione Opera, 7 giugno 1981.

Raid aereo per bombardare un reattore nucleare in costruzione in territorio iracheno. Missione conclusa con pieno successo, l’ambizioso programma atomico di Saddam al-Husseini non verrà mai portato a conclusione, grazie anche alle pressioni americane sui francesi per non riprendere la costruzione della struttura. Il teatro di operazioni è a 1.600 km dal territorio israeliano e l’azione viola lo spazio aereo del regno saudita. Interessante notare che l’aviazione iraniana aveva bombardato il sito il 30 settembre del 1980 (i due paesi erano in conflitto). L’intera vicenda presenta molti punti oscuri e un coinvolgimento italiano nelle fasi iniziali. Suggerisco di leggere questo articolo per farsi un’idea.

http://en.wikipedia.org/wiki/Osirak#Iranian_attack

Operazione Wooden Leg, 1 ottobre 1985.

Bombardamento aereo delle strutture OLP in Tunisia, in località Hammam al-Shatt. Missione conclusa con successo, notevole per la dimostrata capacità di rifornirsi in volo con un Boeing 707 modificato. Il teatro di operazioni è a 2.060 km  dal territorio israeliano e l’azione viola lo spazio aereo tunisino. Probabile collaborazione americana logistica, impossibile per la formazione israeliana sfuggire al rilevamento della sesta flotta della Marina USA. Anche questa vicenda è ben riassunta sulle pagine di Wikipedia.

http://en.wikipedia.org/wiki/Operation_Wooden_Leg

Operazione Orchard, 6 settembre 2007.

Meno di cinque anni fa l’aeronautica israeliana bombarda un reattore nucleare in costruzione a Deir ez-Zor, installazione segreta con probabile scopo militare. Missione conclusa con pieno successo, le foto aeree mostrano chiaramente le strutture distrutte.   Il teatro di operazioni è a meno di  500 km dal territorio israeliano e l’azione viola lo spazio aereo siriano nel volo di andata, sconfinando anchein quello turco nel viaggio di ritorno. Come consueto per questo articolo, il riassunto lo trovate nell’articolo linkato sotto.

http://en.wikipedia.org/wiki/Operation_Orchard

Lo scenario iraniano.

Venendo al presente appare chiaro come l’Iran abbia fatto tesoro delle lezioni subite dagli iracheni e dai siriani e dell’assistenza interessata da parte cinese e russa. Non è certo un caso se gli impianti necessari alla filiera di lavorazione dell’uranio siano sparsi in varie regioni e che uno di essi sia stato ricavato all’interno di una montagna. Gli enormi investimenti fatti nell’ultimo decennio e il coinvolgimento di numerosi specialisti pachistani, siriani, nord coreani, russi e cinesi fa capire con quanta determinazione l’Iran sia deciso a dotarsi della capacità autonoma di produrre e gestire materiale fissile. Di pari passo è aumentata la quota del prodotto interno lordo destinata alle forze armate e gran parte di questi fondi sono stati utilizzati per i programmi di ammodernamento delle componenti aeronautiche e di difesa aerea.

Con ogni probabilità nel corso di quest’anno l’Iran annuncerà di aver raggiunto lo scopo del programma, il che significa che forse già oggi hanno a disposizione abbastanza materiale weapon grade.  Quello che rende frenetica l’azione diplomatica di questi mesi e isterica ogni reazione iraniana è il raggiungimento di un punto di non ritorno, ovvero avere da parte iraniana pronti 2-3 ordigni nucleari ‘sporchi’ in grado di fungere da deterrente verso azioni militari altrui. In pratica vogliono raggiungere lo status della Corea del Nord e di Israele, de facto intoccabili per paura di una reazione estrema. Da qui le minacce degli ultimi mesi sulla circolazione navale dello stretto di Hormuz e il nervoso succedersi di esercitazioni da parte delle forze armate e dei Pasdaran. Sempre per lo stesso motivo le massime autorità religiose del paese hanno a più riprese attaccato verbalmente l’Occidente, dando segnali che sono stati ripresi anche in Libano e a Gaza, rispettivamente da Hezbollah e Hamas.

Un ipotetico raid israeliano non andrebbe a colpire tutti i siti della filiera industriale, ce ne sono troppi per coprirli con il numero di aerei disponibile e alcuni sono oggettivamente meno importanti di altri. Per capirci, distruggere dei capannoni pieni di centrifughe (servono per la lavorazione dell’uranio) non ha certo la stessa valenza che centrare un reattore. Questo ovviamente lo sanno anche gli iraniani che non a caso hanno concentrato nei pressi dei siti più importanti aliquote significative dei reparti con capacità AAA. Scegliendo per importanza i primi della lista dovrebbero essere Arak, Ardakan, Natanz, Busher e Lashkar-Abad mentre quello da evitare assolutamente è quello di Tehran, poco significativo tatticamente e inserito in un contesto (la capitale del paese) assolutamente pericoloso. Un obiettivo importante sarebbe il sito di Fordow, che risulta però essere molto vicino alla città santa di Qom (di conseguenza obiettivo sensibile per motivi religiosi).  Come si vede dalla mappa i siti sono piuttosto distanti tra di loro e il fattore critico dato dal tempo di sorvolo di territorio ostile diventa condizionante. Ricordo che un raid non ha le caratteristiche di una campagna di guerra aerea simile a quella condotta dagli USA contro l’Iraq qualche anno fa. Senza la sopressione preventiva via bombardamento degli aeroporti avversari e delle strutture C4I (command, control, communication, computer, intelligence) diventa impossibile assicurarsi il dominio dei cieli.

In più qualsiasi rotta di avvicinamento al territorio iraniano comporta la violazione di almeno due spazi aerei potenzialmente ostili (due tra Giordania, Arabia Saudita e Iraq) e la necessità operativa di mantenere in cielo almeno due gruppi di aerei cisterna con relativo supporto di protezione rende la logistica di tutto l’attacco estremamente rischiosa. Se l’aeronautica iraniana riuscisse a intercettare le cisterne l’intero attacco diventerebbe una catastrofe senza precedenti, sia dal punto di vista meramente militare che da quello propagandistico. L’appoggio diplomatico americano potrebbe minimizzare i rischi di sorvolo sui paesi citati ma ha l’effetto collaterale di esporre alla reazione di tutto il mondo arabo gli USA in un momento dove l’instabilità portata dalla primavera araba ha rimescolato le carte geopolitiche dell’intera regione.

Un raid con un solo obiettivo, per esempio Natanz, avrebbe probabilità di successo molto più elevate e rappresenta la scelta più probabile da parte israeliana. Tuttavia si tratterebbe di un successo militarmente limitato che potrebbe non essere sufficiente per rallentare lo sforzo nucleare avversario e darebbe alla gerarchia politica/religiosa iraniana un nemico esterno palese davanti al quale compattare la rabbia popolare, elemento non da poco date le proteste che attraversano l’intera società persiana. Il rischio concreto è una vittoria di Pirro, utile solo ai due contendenti per agitare un trofeo davanti alla propria opinione pubblica e per alzare di molto la temperatura nell’intero quadrante del Medio Oriente.

Ho già ricordato come l’Iran stia investendo molto in aerei e missili per colmare il gap qualitativo e quantitativo che lo separa dallo status di potenza regionale. L’industria nazionale ha personalizzato ed evoluto i vecchi Northrop F-5 e i Grumman F-14 (residuo del governo di Rezha Palevi, alleato degli americani) con la fattiva partecipazione di esperti russi e cinesi, sul modello (ironia della sorte) di quanto fatto dagli israeliani con i propri apparecchi. Attenzione quindi ad immaginare un’aviazione iraniana debole ed incosistente, rassegnata al massacro contro i piloti di Tel Aviv. Ricordo anche il recente abbattimento da parte iraniana di un modernissimo drone americano, a quanto pare ottenuto interferendo con il controllo satellitare.

In generale un raid israeliano potrebbe essere l’operazione più rischiosa mai tentata negli ultimi quarant’anni e portare risultati molto limitati. Credo che i vertici militari lo sappiano e che stiano cercando di spiegarlo con le dovute maniere alle fazioni più interventiste della politica. Volendo quantificare le possibilità di riuscita in termini percentuali temo che le cifre realistiche siano le seguenti:

riuscita di un attacco a un solo sito: 75%;

riuscita di un attacco a tre o più siti: 30%;

perdite nel primo scenario: 5-10% della forza (se l’attacco riesce);

perdite nel secondo scenario: 35-50% della forza (se l’attacco riesce).

Lo spazio per ragionare e per evitare scenari bellici c’è ancora, al netto di tutte le dichiarazioni roboanti e delle stupidaggini propalate sui media. Un attacco a un sito nucleare attivo porta inevitabilmente a una contaminazione della zona e dato il quadro generale a una sicura ripresa delle ostilità in Libano e nella striscia di Gaza. Fino all’ultimo momento vale la pena cercare di evitarlo e tenere il punto su quelle sanzioni economiche che possono essere in grado di prosciugare le finanze iraniane.

Scheda sull’aviazione israeliana

http://en.wikipedia.org/wiki/Israeli_Air_Force

Scheda sull’aviazione iraniana

http://en.wikipedia.org/wiki/Iranian_Air_Force

(nota bene #1: le mappe sono tutte di pubblico dominio, alcune fanno parte della serie prodotta dalla CIA per i loro Factbook annuali, altre provengono dalle library di Wikipedia)

(nota bene #2: le immagine degli aerei israeliani e iraniani le ho trovate in rete, non mi è stato possibile risalire agli autori. Spesso queste fotografie provengono da agenzie governative e vengono messe in pubblico dominio)

19 thoughts on “Israele versus Iran: il dito sul grilletto

    • In un certo senso la speranza è data dalla crisi economica. I bilanci dello stato di Israele sono preoccupanti, non a caso hanno conosciuto una recente serie di manifestazioni piuttosto dura. Anche l’Iran sta maluccio ma essendo una nazione solo apparentemente democratica può forzare parecchio. Proprio ieri hanno convocato gli ambasciatori di alcuni paesi europei, tra cui l’Italia, per minacciare un taglio preventivo delle forniture petrolifere. Mi sembra una mossa disperata per cercare di spaccare il fronte delle sanzioni economiche.

  1. Penso che bisogna valutare, anche il fatto Siria libano e Iraq del sud sono molto instabili; guidate da gente che sarebbe felicissima di distogliere i propri popoli da loro e riversarli contro un altro nemico, addirittura pure Wahabiti darebbero una mano (penso sotto forma di logistica e soldi) per i loro casini interni

    • Il rimescolamento di carte in Medio Oriente è al massimo della confusione ora e che come dici tu i soldi che passano di mano sono un fattore importante di instabilità. Qatar e Arabia Saudita sono dietro a veri e propri programmi di finanziamento occulto che vanno dal Marocco alla Siria, dalla Somalia allo Yemen. Tuttavia i wahabiti credo sappiano bene di dover in primo luogo limitare le frange autoritarie come gli alawiti in Siria. Il giochino del limitare le pretese dei Fratelli Musulmani in Egitto è riuscito, il più è tagliare le unghie ai salafiti che mi sembrano del tutto fuori controllo.

  2. Se non sbaglio considerazioni molto simili vennero fatte in tutte le occasioni elencate dall’ottimo Angelo. Poi le cose andarono in modo diverso da quanto previsto da tutti. In particolare il raid del 1981 era molto discusso in ambito militare (ero stato in servizio al QG “Folgore” come misero “dattilografo del generale” e le orecchie le avevo..) ma a cose fatte nessun analista o “esperto” aveva previsto che le forze di Hussein fossero messe così male come si verificò.
    Questo per dire che una previsione “seria” è letteralmente impossibile per chiunque non sia addentro alle “segrete cose” (e anche loro hanno preso clamorose cantonate).
    Grazie.

    • Di sorprese sull’effettiva readiness delle forze attaccate ne abbiamo effettivamente avute tante, basterebbe pensare al reale stato operativo delle truppe URSS e dell’ex Patto di Varsavia che abbiamo scoperto dopo il 1989. Tuttavia ci sono sorprese anche in senso negativo per gli attaccanti, dovrebbero saperlo gli stessi israeliani con i recenti fallimenti in Libano. Una cosa che è cambiata dal secolo scorso è anche il livello di informazione disponibile, sia per le fonti aperte che per gli scopi militari. È diventato praticamente impossibile nascondere un nuovo aereo o eseguire un test missilistico senza che la notizia arrivi sulla Rete in qualche modo.

  3. Quando Panetta ha detto che c’era il rischio serio di un blitz israeliano in Iran, magari a marzo (che ormai è vicino) ho veramente temuto, e continuo e temere. Non so se l’Iran è già in possesso di armi nucleari, probabilmente no, però un evento del genere può causare una serie di reazioni a catena nei paesi musulmani, soprattutto in considerazione dell’ancora inconcluso accordo per la nascita dello stato palestinese. Potrebbe accadere qui ciò che un tempo si era temuto per India e Pakistan, un conflitto nucleare su base locale… è qualcosa alla quale non voglio neppure pensare per quanto mi appare pericoloso per gli equilibri geopolitici mondiali.

    • L’ipotesi di uno scambio di teatro tra Israele e Iran è qualcosa di orrendo. Data la densità di popolazione e i rischi concreti di ignizione dei giacimenti di gas e petrolio si rischierebbe la catastrofe globale. L’unica funzione reale delle armi nucleari è appunto l’opzione MAD (mutual assured destruction) che de facto ha impedito un terzo conflitto mondiale finora. Proprio la costituzione di una nazione autonoma in Palestina, così duramente osteggiata da USA e Israele, potrebbe disinnescare tante situazioni a rischio. Diciamocelo chiaramente, il futuro dello stato israeliano è diventato sempre più a rischio ma non per motivi militari quanto per questioni demografiche. Con i ritmi attuali le popolazioni arabe finiranno per assorbire nell’arco di 50-60 anni gran parte della zona.

    • Peccato che non esista l’opzione “sicurezza”. Anche impiegando bombe tattiche il rischio di ignizione rimane molto alto e la contaminazione potrebbe estendersi ad aree estremamente sensibili. Ci vorrebbe il Magister per raccontarci la reazione araba a vedere la Mecca brillare al buio. Kondor rischia di essere uno scenario ottimistico.

        • Tutto è possibile, al momento la situazione è molto fluida. In Kondor si partiva da una super repubblica islamica di cui non si vede traccia, non vedo possibile un’egemonia scita o sunnita, men che mai wahabita. Anche se l’Iran avesse armi nucleari rimarrebbe un singolo paese con gravi debolezze strutturali, non in grado di reggere un confronto con gli USA se si facesse sul serio. Uno strike tattico, senza armi nucleari, potrebbe mettere Tehran in ginocchio se condotto con sufficiente fermezza.
          Temo altri scenari, altrettanto complessi. Rompere la noce-Iran presuppone risolvere in sequenza: Siria, Palestina, Libano, Egitto, Libia, Tunisia e mettere in sicurezza Marocco, Algeria, Arabia Saudita e Yemen. Non esattamente una passeggiata.

      • Diciamo che senza un massiccio apporto degli USA,o meglio ancora della NATO,la sola Israele,non potrebbe essere risolutiva,e per risolutiva intendo mettere per sempre a tacere le voglie non solo nucleari,ma anche in campo convenzionale dell’Iran.
        L’Ideale sarebbe un blitzkrieg aereo di grandi proporzioni,con l’uso di almeno 2-3 gruppi di battaglia Usa al completo e di parte della ns componente aerea,per colpire con certezza il 90% degli obiettivi militari iraniani.

        Si,lo so,sono forse esagerato,ma credo che a quel punti Cina e Russia se ne starebbero calmi.

        • In linea teorica per dare una passata “storica” all’Iran ci vuole l’equivalente di quello che fu messo in campo nel 1991 per Desert Storm. Almeno due settimane di bombardamento misto tra missili e aerei per azzerare la capacità di risposta aerea e AAA degl iraniani, seguite da altrettante settimane di precision strike sui siti più pericolosi, con tanto di MOP a catena sulla montagna-bunker. Economicamente parlando non la vedo possibile oggi, non senza una mossa veramente idiota da parte iraniana tipo bloccare lo stretto di Hormuz. Le possibilità reali di contrasto da parte russa o cinese sono pari a zero. Non hanno i mezzi necessari per interferire e soprattutto non ne hanno la volontà.

  4. L’analisi è assolutamente eccellente, ti faccio i miei complimenti. :ok
    Ho una domanda: quante probabilità ci sono che – rispetto anche al passato – dall’interno di questi due paesi arrivino spinte tali da “distrarre” i manovratori dal percorrere strade così impervie e portatrici di conseguenze comunque disastrose?

    • Al’interno di Israele c’è un’opposizione che non vuole altri conflitti, in questo periodo appoggiata da una fascia di popolazione più ampia che vuole provvedimenti contro la crisi e meno soldi al budget militare. Rimangono comunque minoritarie. Va tenuto presente il sentimento, trasversale alla nazione, di minaccia dall’esterno, il sentirsi isolati in mezzo a paesi ostili. Diciamo 10%.
      In Iran non è facile capire che aria tira. C’è un distacco generazionale fortissimo e una vera e propria separazione culturale tra grandi centri abitati e campagne. Il tutto con una crisi economica che sta lasciando il segno dovunque. Data l’assenza di condizioni democratiche reali e la forte presa delle gerarchie religiose (tramite i bondyar) sull’economia temo che il governo proseguirà senza deviazioni. Quindi 0%.

  5. Che dire, ti ringrazio molto per l’articolo. Chiarissimo e davvero utile! In realtà stavo cercando qualcosa riguardo la situazione in Corea del Nord e del Sud, ma trovandomi abbastanza ignorante riguardo quest’argomento non ho potuto non leggere. Utilissimo!

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