Sui giornali o sui media capita spesso di vedere citate le classifiche internazionali, spesso per rimarcare che il nostro paese è mal piazzato rispetto ai nostri alleati europei o che siamo ai margini del primo mondo in qualche categoria. Fornire un panorama esaustivo di tutti gli indici internazionali è impresa superiore alle mie forze, mi sono ripromesso invece di focalizzarmi di quando in quando su alcuni di queste classifiche per scendere più sul dettaglio. Per questo post mi limito ad approfondire quanto proviene da due ONG molto conosciute, Transparency International e Freedom House.
Transparencty International è un ente fondato nel 1993 con sede a Berlino e ramificazioni in settanta paesi tra cui l’Italia. Dal 1995 pubblicano il report sul livello di percezione della corruzione (CPI) e dal 1999 il report sul livello di mazzette offerte dalle multinazionali per fare affari (BPI). Per entrambe le cose l’ente è stato pesantemente criticato per la metodologia scientifica utilizzata e per differenze di trattamento tra paesi del primo mondo e nazioni “emergenti”. Anche in questo caso nel nostro paese si è parlato soprattutto del primo indice, specialmente in relazione alla nostra differenza di performance rispetto ai nostri partner europei.
Corruption Perception Index 2011, Transparency International (CPI)
Italia: sessantanovesima posizione, pari merito con Ghana e Macedonia. Prima della classifica la Nuova Zelanda, ultima la Somalia (182esima posizione).
Bribe Payers Index 2011, Transparency International (BPI)
Italia: ottava posizione, al primo posto gli USA e all’ultimo gli UAE (28 paesi presi in considerazione).
Freedom House è un ente americano creato nel 1941 che ha forti collegamenti con il governo federale, al punto da essere visto in alcuni casi come una longa manus della politica estera USA. Ha come obbiettivi l’espansione della libertà nel mondo attraverso i sistemi democratici, il predominio della legge e piena libertà di espressione, associazione, fede e rispetto per i diritti delle donne e delle minoranze (traduzione in libertà di quanto appare nel loro sito web). Ogni anno pubblicano dei report nei quali vengono misurati i livelli di libertà per ogni paese del mondo, suddivisi per categorie. Inoltre pubblicano documenti relativi a paesi arrivati a dei bivi significativi (countries at the crossroads) per descriverne la situazione. Sui media italiani risalta in particolare la definizione ‘partly free’ (parzialmente libera) attribuita alla libertà di stampa, fortemente osteggiata dai partiti di centro-destra. Suggerisco la lettura del report sul futuro del nostro paese, anche per vedere come sia necessario ricapitolare tutta la storia post fascismo dell’Italia per renderla comprensibile agli stranieri.
Freedom in the world, Freedom House,
Italia: free
Freedom in the Net, Freedom House
Freedom of the Press, Freedom House
Italia: partly free
Countries at the crossroads, il rapporto che riguarda l’Italia
Non è che ci sia molto di che essere orgogliosi, vero?
Mah, credo sia sempre importate sapere da dove si parte e mettere i numeri in chiaro quando servono. A costo di essere cattivo sostengo da sempre che a volte un ceffone è salutare.
Post interessante e apprezzo la tua onestà intellettuale nel riconoscere l’origine della Freedom House. Al di là dei noti problemi dell’Italia però io non posso fare a meno di pensare al fatto che la FH ha sponsorizzato e spinto tutte quelle ridicole rivoluzioni colorate (Serbia, Ucraina, Kirghizstan, etc.) che sono delle sonore prese in giro politiche e spesso (se non sempre) hanno avuto come unico risultato la sostituzione di una classe politica incapace con una peggiore.
Lo so, stasera sono in vena di polemica 😉
Saluti,
stezio
Mi sa che siamo sempre nel concetto “esportazione della democrazia”, estrinsecato come “fate come gli USA”. Un merito le rivoluzioni arancioni e simili ce l’hanno, ovvero aver dato un sonoro scossone a situazioni post sovietiche di infinito grigiore e corruzione. Il fatto è che per formare una classe dirigente democratica devi avere il tempo di creare un ceto medio e delle condizioni economiche stabili. Non a caso tra le nazioni che citi quella messa meglio democraticamente parlando è la Serbia.
Quanto alla polemica, ben venga se sostenuta in maniera intelligente. In questo caso direi che non c’è problema. 🙂
C’è un punto che mi piace molto nella tua risposta: quello stile “o fate quello che vi diciamo o vi bombardiamo”, lo adoro (ironicamente, ovvio) specie nelle elezioni: si votano clamorosi figli di puttana ma che piaccioni agli USA e ecco un grande esercizio di democrazia; si vota per il partito sbagliato e sei un fiancheggiatore dei terroristi! Ad ogni modo, tempo fa mi trovai in un paese dove si stava preparando una di quelle “rivoluzioni colorate” e, guarda caso, nell’arco di una notte la polizia aveva costretto tutti gli insegnanti di inglese stranieri a abbandonare il paese!
Per chi conosce la storia, quella recente del post WWII, è uno schema vecchio, per altro praticato anche dalla vecchia URSS. Un caso scuola in piccola scala è Panama; Noriega creatura della CIA, scaricato quando non serviva più. Non mi risultano mirabilie nel post-dittatore in quel paese. La cosa interessante è che hanno un approccio più soft, quello gradito a Carter e a Clinton. Si muovono spostando soldi e lavorando sul consenso, schema che ha fatto di nuovo scuola. Hai presente il Qatar e i suoi finanziamenti non tanto occulti ai Fratelli Musulmani in Egitto?
stai sul pezzo non c’è che dire! Mi ricordi il mio prof di Relazioni internazionali che definiva Suharto un caso patetico.
Saluti,
stezio
Sul pezzo mi piace starci, sono un pettegolo della geopolitica. 😉
Sono sempre interessanti questi ranking internazionali sui vari aspetti della vita sociale all’interno di ogni stato.
Freedom House lo conoscevo, l’altro no. E per questo ti faccio un assist: perchè non creare una pagina dove elencare semplicemente i link ai siti che si occupano di queste valutazioni geopolitiche, man mano che li prendi in esame per i tuoi articoli?
Idea niente male. Comincio ad accumulare dati.