Una delle novità più rilevanti della rete 2.0, quella attuale dominata dai social network e della ricerca dell’interattività, è la conferma di un tendenza pre esistente: l’utilizzo di tre diversi tipi di “monete” per fare business.
Per il primo tipo, il denaro che tutti usiamo, la novità consiste nell’utilizzo e nella conversione di valute virtuali che sono al di fuori del controllo di qualsiasi banca centrale e/o delle autorità internazionali preposte a questo genere di funzione. Sui media a suo tempo fece notizia il linden dollar, la valuta in uso sulla piattaforma Second Life, che ha consentito ad alcuni imprenditori di commercializzare e gestire in tempo reale servizi completamente virtuali. Prima e dopo il linden ci sono state e ci sono altre valute, tuttora gestite in un limbo legale. C’è chi parla di un mercato parallelo su cui “viaggiano” cifre a nove zeri su base giornaliera. Altra conseguenza monetaria della rete 2.0 sono i giochi con tariffe progressive, ovvero applicativi in cui è possibile acquisire dei vantaggi o degli accessori pagando qualche euro. In questo fattore risiede il successo di un operatore come Zynga e una delle poche voci di redditività promettente dell’intero modello Facebook. Anche qui, applicando il celebre detto napoletano “tanti pochi fanno assaje”, si arriva a parlare di cifre a nove zeri su base annua.
La seconda moneta è meno palese ma sta diventando sempre di più un terreno di confronto molto sensibile. La reputazione. Dai portali come eBay a tutti quelli dedicati al turismo, dai siti dedicati al baratto a quelli dei gruppi di acquisto a tutto il mondo fumoso dei portali professionali il fattore “parere degli utenti” sta diventando un pilastro fondamentale per il commercio e/o le opportunità professionali. Cercare sulla rete un albergo, un volo, un idraulico, un qualsiasi oggetto o servizio ora passa anche dal filtro degli utenti che ci hanno preceduto e finalmente gli operatori economici se ne sono accorti. Questo ha avuto inizialmente una conseguenza negativa, con il comparire di pareri entusiasti con profluvi di stelline di merito messi dagli operatori stessi o da persone indirizzate a farlo a pagamento. Successivamente è partita un’onda di riflusso che ha costretto (e costringerà) chi gestisce i portali a porre maggiore attenzione su chi inserisce questi pareri. Attenzione: questo sta diventando un ciclo virtuoso.
Infine, ma solo come ordine di presentazione, il vero motore dell’economia da sempre: le idee. La trasversalità del web è tale da superare cose antiquate come i confini nazionali, come le contrapposizioni ideologiche o religiose. Le idee da sempre circolano per il mondo ma la velocità con cui accade oggi non ha precedenti nella storia. Se poi si tiene presente che sempre più persone passano il digital divide non è difficile concludere che questa libera circolazione è potenzialmente rivoluzionaria sia per i contenuti che per le modalità. La “primavera araba” è un esempio che dovrà essere studiato a lungo in futuro, le conseguenze meramente economiche nessuno per ora è in grado di quantificarle. L’aspetto secondario è che per ora l’inglese resiste come lingua franca dell’informazione e che da anni sta emergendo come possibile dialetto dei prossimi anni in una forma semplificata che molti romanzi di fantascienza hanno anticipato.
Tutte e tre le monete sono strettamente correlate, indipendentemente dalla valuta reale di riferimento del primo tipo. Tutte portano con sé dinamiche rischiose e scenari di potenziale deviazione di utilizzo, così come si prestano a essere in qualche modo manipolate per scopi poco etici. Si forma per tutti i casi il classico anello di retroazione tra custodi e custoditi, con tutto quello che ne deriva. Il fattore davvero nuovo, quello dalle conseguenze non gradite ai pesi massimi dell’economia, è proprio la possibilità da parte dei “clienti”, degli indipendenti, di manifestare una forma di influenza sui flussi monetari. Qui risiede una delle poche leve in grado di spostare l’equlibrio 1-99 che regna oggi sulla divisione della ricchezza, il che ne fa un potenziale terreno di conflitto fino a scenari da cyberwar.
Proprio il conflitto è il punto di arrivo di molti dei contrasti economici, un campo di battaglia dove diventa veramente difficile distinguere gli schieramenti. Di questo però parleremo in un altro articolo nel prossimo futuro.
Questo mi sa che è un argomento su cui dovremo tornare a parlare più e più volte, intanto tu hai aperto il discorso.
Esattamente come Second Life che col linden dollar ha aperto le porte ad un tipo di moneta virtuale. 😉
La materia è abnorme. Non credo di averla compresa a fondo ma temo che siano discorsi che passino sottotraccia pur essendo importanti.
Ciao, io sono il digital divide… 😀
Beh, no, ma quasi… mi appresto ad avviare un corso online con tecnologie superate da dieci anni – se solo la mia connessione fosse “normale” (= normale per un paese civilizzato) farei tutto in second life, e sarebbe fantastico.
Avendo ancora una connessione a cavo di rame (grazie, Gasparri), sono fermo alla fine degli anni 90 – il che mi porta comunque ad essere considerato d’avanguardia perché servo solo l’Italia.
Follia.
Ma miei deliri a parte, ottimo articolo, e molto interessante.
Come sempre l’Italia – come sistema-stato, più che come popolazione – sembra essere molto indietro.
Si tratta, ancora una volta, di un problema culturale.
E nessuno ci sta lavorando in maniera articolata e pervasiva – è tutto sulle spalle di quei pochi che se ne vogliono interessare localmente.
Il sistema italiano è alla periferia del mondo 2.0 ed è tutta colpa sua. Non è stato capace, come massa, di evolversi e di seguire la naturale onda di cambiamento, il che ci lascia nelle condizioni che descrivi con qualche isoletta più avanzata che si sforza di rimanere nel primo mondo.
La parte peggiore è che il terzo mondo in parte ci sta raggiungendo e ha un’inerzia tale da travolgerci. Parlare di questi argomenti significa automaticamente restringere il proprio pubblico potenziale a quei pochi che hanno capito che il modello 2012 è diverso dal modello 1982.
A eccezione della Slovacchia l’Italia è il paese dell’UE in cui le connessioni a Internet sono più lenti e scarsamente moderne. Il che ci pone ai margini di tutto il mondo che descrivi tu in questo ottimo articolo.
Proprio settimana scorsa mi è capitato -per l’ennesima volta in vita mia- di contattare una società attraverso i canali digitali segnalati sul suo sito (indirizzo email, profilo Twitter). A distanza di sei giorni non ho ancora avuto risposta. L’idea che mi sono fatto (già in passato) è che molte aziende e professionisti si buttano sul Web perché ora un sito ce l’hanno tutti. Una volta che è online lo trascurano. Inutile dire che sono fermi a Internet 1.0
Perché, si sa, no? Facebook e gli altri Social servono solo per giocare. Questo almeno nella concezione antiquata di chi ci permette di stare placidamente in una penisola virtuale più vicina alla Tunisia che non alla Germania. Parlando di meri collegamenti a internet, ma forse non solo.
Si potrebbe notare che con i social network in Tunisia ci hanno fatto una rivoluzione… e che la Slovacchia partiva con l’handicap di essere la parte più povera dell’ex Repubblica Cecoslovacca, il che l’ha resa per un decennio un luogo dove non arrivavano investimenti. Il problema nostro ce lo siamo creato da soli e lo stiamo facendo marcire sempre di più. Non ho voluto confrontare i dati del commercio elettronico ma prima o poi dovrò farci un articolo a tema.
Gentile Angelo mi presento … mi sono permesso di rebloggare e spero che non se la sia presa. Io sono a questo link http://www.stefanodonno.blogspot.it/
Signor Donno, di norma cerco di non prendermela. Il fatto è che esiste un minimo di etichetta, se vuole un uso consolidato, per la quale prima si chiede e poi si fa. Non sono arrabbiato con lei, ci mancherebbe altro. Buona fortuna per le sue iniziative.
Anche a lei e grazie