In questi giorni (22-23 gennaio) in quel di Livorno abbiamo assistito a una vicenda paradossale, che mostra meglio di ogni altra cosa le difficoltà estreme che ha la politica italiana di fare i conti con il passato e con le legittime istanze della popolazione.
Il punto di partenza è la decisione dell’attuale sindaco di Livorno (Alessandro Cosimi, PD, secondo mandato) di nominare come assessore nella sua giunta Marco Solimano (delega alla casa e al sociale). La giunta è da tempo in crisi e il PD conserva la maggioranza per un seggio (due se votasse il Sindaco), quindi la nomina di un nuovo assessore solleva più attenzione del solito.
Il problema nasce dal candidato. Marco Solimano ha un passato ingombrante. Ex membro di Prima Linea, ha alle spalle una condanna definitiva a 22 anni per “concorso morale e partecipazione all’organizzazione criminale” per i fatti legati a un tentativo di evasione dal carcere fiorentino delle Murate, nel corso del quale fu ucciso un agente di Polizia, Fausto Dionisi.
L’iter ricorda molto quello dell’elezione di Sergio D’Elia, anche’egli ex membro di Prima Linea, nel Parlamento tra le file dei Radicali (nel 2006, liste della “Rosa nel pugno”). Anche D’Elia fu condannato nello stesso processo, scontando un totale di dodici anni.
Da allora sono successe molte cose. Tra le altre va ricordato il lavoro di Solimano nelle carceri, la presidenza dell’ARCI livornese per tredici anni e i mandati come consigliere comunale, sempre a Livorno, in quota prima DS e poi PD. Nel 2010 il già citato Sindaco lo aveva nominato garante dei detenuti. Tutto questo senza aver registrato alcun tipo di protesta dalle direzioni regionali e nazionali prima dei DS e poi del PD.
Ora che ci si avvicina alla scadenza delle elezioni politiche nazionali e la questione della “presentabilità” dei candidati occupa tanto spazio sui media ecco arrivare il distinguo dalla direzione regionale del PD che in pratica sconfessa le scelte del PD livornese. Il Sindaco Cosimi fa marcia indietro, d’accordo con Solimano. Pare ci saranno chiarimenti in sede di consiglio comunale, dichiarazioni e pronunciamenti da parte dei protagonisti di questa vicenda.
Il passato di Marco Solimano esisteva anche prima di questa vicenda. Così come c’erano le proteste delle associazioni dei parenti delle vittime del terrorismo contro incarichi pubblici assegnati agli ex terroristi e ai vari ex affiliati. Così come, sul territorio livornese e in Toscana, c’è una continuità notevole di incarichi e di persone dai DS al PD.
Va detto che dopo la condanna Solimano si è speso molto per il sociale nell’area livornese e non solo. Portando in dote risultati non certo disprezzabili in un’area decisamente problematica.
Da tutto questo, una serie di domande. So bene che non riceverò risposte, ma ne vale comunque la pena.
Come mai il signor Solimano ha potuto essere eletto presidente dell’ARCI livornese senza che l’associazione e il partito di riferimento (prima i DS e poi il PD) tenessero conto del suo passato?
Come mai il signor Solimano ha potuto essere eletto per due mandati come consigliere comunale senza che il partito (prima i DS e poi il PD) tenesse conto del suo passato?
Come mai il signor Solimano ha potuto essere nominato garante dei detenuti senza che il Sindaco Cosimi tenesse conto del suo passato?
Come mai il signor Solimano è stato preso in considerazione per la carica di assessore senza che il Sindaco Cosimi tenesse conto del suo passato?
Più in generale, dov’è il punto di discontinuità tra il PD livornese e quello toscano? Non hanno lo stesso statuto, le stesse regole, i rappresentanti del territorio livornese non siedono negli organi regionali?
Infine, dove si situa per il PD livornese il concetto di “opportunità politica”? Nella direzione del PD nazionale? Nella direzione del PD toscano? O esiste una strada autonoma, locale, dove lo statuto del partito e i suoi regolamenti possono essere derogati?
Infine, una parola di chiarezza in modo da ribadire cosa ne penso sull’argomento. Non ho problemi in particolare con Solimano o con chiunque altro si trovi in situazioni simili. Chi è stato condannato e ha saldato i suoi conti con lo Stato ha pieno diritto a riabilitarsi, ad essere attivo nel sociale, a fare del suo meglio in campo economico eccetera.
La linea da non oltrepassare per me arriva con il passaggio dall’elettorato attivo a quello passivo. A chi è stato condannato in via definitiva, non importa per cosa e per quanto tempo (o per quali ammende) non deve essere consentito di presentarsi per delle cariche pubbliche. E’ una questione di coerenza e di buon senso. Se impediamo ai pregiudicati di presentarsi per i concorsi pubblici è assurdo pensare di ritrovarceli nei ranghi della classe dirigente, le ultime legislature ci hanno fornito esempi chiarissimi in tal senso.
Link a repubblica.it per gli articoli sull’argomento:
Uhm…sono abbastanza d’accordo con te, tranne che su un punto: l’incandidabilità di chi è stato condannato e HA SALDATO il suo debito con la giustizia. Voglio dire che mi sembra un po’ ipocrita dire che qualcuno ha saldato il suo debito e si è riabilitato…e poi precludergli delle possibilità. Insomma: si è riabilitato, sì o no? Se sì, allora bisogna riconoscergli gli stessi diritti di un qualsiasi cittadino, se no… Beh, non dovrebbe essere libero.
Cioè, un condannato che ha scontato la sua pena può..che so, mettere al mondo un figlio e prendersene cura ma non occuparsi delle faccende pubbliche? Non mi sembra un discorso che fili molto…
Altra faccenda è, intendiamoci, chi è riuscito a sfuggire o ad aggirare la giustizia, e a non scontare mai la sua pena…
Mi rendo conto della criticità del punto, sono interrogativi che mi sono posto anche io. Rimane un problema, a due livelli; primo, se un pregiudicato non può fare un concorso pubblico perché deve poter far parte dell’elettorato passivo? Secondo, se il pregiudicato in questione ha fatto il suo bravo percorso e si è riabilitato, come faccio ad essere sicuro che non sia contiguo ad elementi “critici” rispetto alla legalità delle istituzioni? Un conto è il privato, un altro la collettività.
Si, riconosco il problema, in effetti la questione è spinosa…tuttavia, ecco come risponderei io. Primo: infatti secondo me anche quello va rivisto: Una questione è essere in attesa di giudizio, o essere condannato e non aver scontato la pena per qualche motivo…altra questione è invece aver pagato il proprio debito con la giustizia ed essersi riabilitato.
Secondo: mi sembra troppo simile ad un processo alle intenzioni…sarebbe come a dire che un omicida che ha pagato il proprio debito con la giustizia deve essere interdetto ai rapporti umani, perché potrebbe uccidere ancora…insomma, credo che sia un pericoloso precedente che mina il senso dei programmi di reinserimento nella società degli ex-detenuti, per dirne una…
L’intera questione del reinserimento è la base di questo problema. Io credo sia possibile, in presenza di strumenti adeguati e della volontà dell’interessato, ripartire veramente da zero dopo aver saldato il debito con lo Stato. Se poi il pregiudicato in questione vuole anche impegnarsi per la società (o per la collettività) può sicuramente farlo in tanti modi rimanendo al di fuori dell’agone politico / istituzionale. Quando poi a tutto questo si aggiunge anche il fattore terrorismo, nervo scoperto per un paese che non ha fatto i conti con il passato, si va ad estremizzare tutto. Per quello parlo di paradosso nel titolo del post.
Sì, è vero quello che dici, e in effetti sarebbe anche da me condivisibile al 99%, ma… C’è un ma. E’ vero che si può partecipare in tanti modi alla vita della collettività, però… Ecco, il fatto che qualcuno che ha commesso un reato (o un errore?) si veda per sempre preclusa una possibilità, qualunque essa sia… Beh, questo non ce la faccio a mandarlo giù. Ne faccio una questione di Libertà con la L maiuscola. Anche perché noi diamo per scontato che il pregiudicato in questione sia un Fiorito, un Dell’Utri, un Cosentino… Quando invece potrebbe davvero essere qualcuno che ha commesso degli errori in gioventù. E in quel caso l’ingiustizia sarebbe ancora maggiore.
Capisco la tua posizione e per certi versi la condivido. Tuttavia preferisco il concetto di ingiustizia, limitato al concetto di elettorato passivo, che il rischio concreto di mettere la cosa pubblica nelle mani delle persone sbagliate. Le persone che hai nominato, nessuna esclusa, senza la politica sarebbero dentro da un pezzo. L’errore, magari minimo, in gioventù ha peso per ttua la vita, salvo cancellazione dal registro penale. Se non puoi fare il vigile urbano, non puoi fare neppure il sindaco.
Per me va benissimo non vedere un pregiudicato ricoprire cariche pubbliche. Se però esiste questo limite invalicabile che vale tutta la vita, che dire di chi si è risparmiato una condanna solo per via dei termini di prescrizione?
Ce n’è anche in parlamento e mi sembra che non siano messi tanto peggio di Solimano quanto a crimini… Citando quello che Wikipedia dice di Andreotti:
“Mentre la sentenza di primo grado, emessa il 23 ottobre 1999, lo aveva assolto perché il fatto non sussiste, la sentenza di appello, emessa il 2 maggio 2003, distinguendo il giudizio tra i fatti fino al 1980 e quelli successivi, stabilì che Andreotti aveva «commesso» il «reato di partecipazione all’associazione per delinquere» (Cosa Nostra), «concretamente ravvisabile fino alla primavera 1980», reato però «estinto per prescrizione». Per i fatti successivi alla primavera del 1980 Andreotti è stato invece assolto.”
E insomma, ce lo teniamo in parlamento dal 1945…
Considero la nomina di Andreotti a senatore a vita uno dei più grandi errori della storia repubblicana, non a caso lo nominò Cossiga. A mio modo di vedere se un qualsiasi cittadino è anche solo indagato non può presentarsi a una qualsiasi elezione fino a quando non ha chiarito qualsiasi addebito. E’ così che funziona nelle nazioni più avanzate e non capisco perché qui non si possa fare lo stesso. Quanto a Solimano, ribadisco che non ce l’ho con lui ma lo ritengo un ottimo esempio per parlare di questo problema.