Uscire da Facebook – riflessioni

Un paio di settimane fa ho messo in pausa il mio account personale su Facebook. Niente di difficile, ovviamente. Tuttavia, è pur sempre qualcosa che ha impegnato una porzione considerevole del mio tempo libero negli ultimi anni, al punto da essere una delle abitudini ricorrenti nelle mie giornate. Potevo cancellarlo. Potevo utilizzare i comandi messi a disposizione dalla piattaforma per sospenderlo in maniera palese. Ho preferito pubblicare un breve messaggio e fare altro.

Mettiamo da parte il concetto di “fare altro” per un momento; questo post non serve tanto per il pubblico, è più una sorta di messaggio per il me del futuro, utile a cristallizzare uno stato d’animo e una serie di riflessioni personali. Quando si fa qualcosa, dovrebbero esserci delle motivazioni. Non importa quanto possano essere futili o dozzinali, la sequenza di causa ed effetto dovrebbe essere mantenuta se si vuole dirsi creature razionali. Devo dire che ho visto un costante peggioramento in Facebook, qualcosa che persone più illuminate di me avevano visto arrivare da tempo.

Non parlo solo dell’azienda. Facebook è sempre stato strumento di una strategia economica e di orientamento del costume, il fatto che sia diventato più palese dimostra soltanto che non ritengono più di dover essere discreti. Il che è significativo ma non decisivo, almeno dal mio punto di vista. Si dice che la natura aborra il vuoto, metafora calzante anche per la politica e la cultura. Non stupisce quindi che chi si trova ad avere una posizione predominante ne approfitti, con l’ovvio vantaggio di favorire una serie di imprinting culturali che hanno trovato vaste platee di pubblico plaudente.

I cambiamenti culturali sono stati evidenti, questo guardando la ristretta platea dei miei contatti e/o delle pagine cui ero connesso. Dovendo identificare delle tendenze principali, difficile non notare che qualsiasi argomento rilevante provoca una polarizzazione pressoché immediata. D’altro canto, la spinta a dimostrarsi conforme a una narrativa si è dimostrata in grado di scatenare una sorta di gara al ribasso, una competizione a chi mette in mostra tutte le bandierine approvate per primo – spesso a scapito di una propria coerenza. Come scritto tante volte in passato, lo spazio per discussioni razionali su temi divisivi è praticamente scomparso, così come si è ridotto ai minimi termini il numero di persone in grado di sostenere una discussione matura.

Sempre in relazione ai cambiamenti culturali, devo dire che è stato davvero triste constatare il progressivo scivolamento verso l’adesione alle già citate narrative di interlocutori giovani e promettenti; a quanto pare, neppure un buon livello di istruzione è in grado di fornire gli strumenti adatti a discernere tra quanto sia proveniente dall’esterno rispetto a quanto matura nel proprio ambito personale. Peccato. Trovo difficile credere che ci sia un percorso di riappropriazione per queste persone, spero di sbagliarmi. Leggo spesso un paragone tra questo fenomeno e l’adesione alle ideologie politiche del ventesimo secolo, continuo a trovarlo del tutto inappropriato. Mettere sullo stesso piano delle spinte ideali e le idee di una società a venire con questi fenomeni orditi a tavolino mi fa ribrezzo.

Il mio flusso di informazioni, il cosiddetto “feed”, era diventato un coacervo di prese di posizione e di dichiarazioni d’intenti sempre più netto, al punto da scadere spesso nel ridicolo. Avremmo bisogno di un moderno Mel Brooks per avere un adeguato livello di satira, sempre che possa trovare spazio per produrre una cosa del genere all’interno della scena mediatica attuale. Da un punto di vista più personale, sono diventato via via più insofferente verso tutto questo. Le spinte emotive si sono trasformate in emotività immediata, una sorta di rifiuto irrazionale, e ho compreso che avevo trovato il mio personalissimo punto di rottura. Una volta compreso questo, la conseguenza era ovvia. Ho perso qualcosa, specialmente pensando a chi comunque era riuscito a rimanere se stesso in quel bailamme.

Quello che ho guadagnato, e qui si può riprendere il concetto di “fare altro“, si può sintetizzare in due cose: tempo e energia. Realizzare quanto tempo nella mia giornata era speso su Facebook è stato un momento abbastanza brusco. Sempre poco rispetto al capire quanta energia sprecavo nel seguire cose per cui ho un interesse reale molto basso. Quindi? Faccio letteralmente altro. Tutto quello che mi viene in mente. Se e quando mi viene in mente, senza dovermi far dettare il ritmo o gli argomenti dalla polemica di giornata e/o dal contatto di turno. Sbaglierò, ma a mio parere ormai in quel contesto la situazione è questa:

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