Volete un drone?

In fondo era solo questione di tempo. Una volta che si dimostra che una tecnologia funziona prima viene replicata da chiunque ne abbia le basi tecnologiche, poi in qualche modo arriva al mercato. E’ successo con tantissime cose, ora è arrivato il turno degli UAV. Un minimo di riferimenti per prima cosa. Di questa faccenda ha parlato Cory Doctorow nel suo blog, a me lo ha segnalato Davide Mana. Ma quale è la notizia?

Sul portale Alibaba, notissimo sito commerciale cinese, hanno messo in vendita degli UAV. Per esempio qui. Confusi? Non sapete cosa sia un UAV? O perché ritenga la cosa notevole?

Vediamo come viene descritto il prodotto. Il BMP SKY-02 è un “small attack UAV”. Ovvero, un piccolo UAV (unmanned aerial vehicle o veicolo aereo senza pilota) da attacco. Sì, attacco. Le minime istruzioni presenti sulla pagina che vi ho linkato dicono:

Drone may serviced by a personnel with minimum qualification. The ground control station includes small-sized tablet computer for pre-launch input of the UAV flight program, in-flight correction of the program, and if necessary manual control over the UAV.

Ovvero, il drone può essere utilizzato da personale con qualifiche minime. La stazione di controllo a terra include un piccolo tablet per le istruzioni di pre lancio del programma di volo dello UAV, per le correzioni in volo del programma e se necessario al controllo manuale dell’UAV.

Stiamo parlando di un piccolo aereo quindi, di queste dimensioni.

Wing span   0.8 m (apertura alare)
Length        1.0 m  (lunghezza)
Height         0.4 m (altezza)

Altre caratteristiche tecniche.

Maximum takeoff weight  < 3.7 kg (Massimo peso al decollo)
Attack precision                < 3.5 m (Precisione di attacco)
Killing radius                     > 10 m  (Zona di uccisione)
Image quality:      Superior to level-3 (Qualità di immagine)
Attack speed (standard atmosphere)  > 160 km/h (Velocità di attacco)
Cruising speed:                80-90 km/h (Velocità di crociera)
Service ceiling                   3000 m (Massima altitudine)
Relative flight height         50-1500 m (Altezza relativa di volo)
Cruise duration                < 30 min  (Durata del volo)
Action radius                    < 20 km (Raggio d’azione)
Takeoff way:                    Shoot off (Tipo di decollo, da rampa).

Il prezzo? Tra i mille e i duemila dollari americani, più spese di spedizione. Questo per un drone. Se ne volete di più il rapporto costi scende.

Per chiarezza, il velivolo viene venduto disarmato. Ma non ci vuole molta immaginazione per dotarlo di qualcosa di pericoloso. Non mi metto a dare suggerimenti ma credo che la cosa abbia ricadute evidenti.

STS-107 2003-2013

Crew_STS-107_01

Un ricordo del Columbia, dieci anni dopo. Fa ancora male. Come per il Challenger o per i tanti, troppi, caduti dell’era spaziale. Per i sogni che sono svaniti nel fumo e nella nube di detriti, per altre sette vite perse per una serie assurda di concause tecniche e di cattivi appalti, per pezzi di ceramica e componenti di bassa qualità.

Il primo appontaggio

C’è stato un tempo in cui volare era un’esperienza pionieristica, un corteggiare la Morte su macchine fragili di tela e di legno. Un tempo in cui il concetto di osare era pratica quotidiana per chi voleva scoprire o tentare cose inedite. Oggi cade l’anniversario del primo appontaggio su una nave da parte di un aereo. Credeteci o no, stiamo parlando del 18 gennaio 1911.

La Marina degli Stati Uniti stava sperimentando, come altri paesi, l’utilizzo delle nuove macchine volanti avendone intuito un potenziale bellico (anche se allora si era focalizzati più sull’idea di ricognizione) e per i primi esperimenti venne selezionato un giovane e spericolato aviatore, Eugene Burton Ely. Già nel 1910 aveva sperimentato con successo il decollo da una piattaforma temporanea installata su un incrociatore leggero, la USS Birmingham, per poi atterrare su una vicina spiaggia.

Ely utilizzava un Curtiss come questo.

curtiss pusher

Il dispositivo per l’atterraggio era molto simile come concezione a quelli attuali e si deve la sua invenzione ad un altro personaggio d’ingegno, Hugh Armstrong Robinson (*). Stiamo parlando del sistema tailhook, ovvero di un gancio predisposto nell’estremità inferiore della “coda” dell’aereo che va ad agganciarsi a uno dei cavi predisposti nella zona di atterraggio per frenare il velivolo e consentirne l’arresto in spazi ristretti. Se ci riuscite, immaginate cosa doveva essere tentare una manovra del genere con un Curtiss.

Il destino di questo pioniere, come di tanti altri, è stato prematuro. Ely morì in un incidente di volo a soli 24 anni.

(*) a Robinson si debbono anche il primo paracadute “moderno” con i vari congegni di sgancio; il paracadute insieme a Thomas Benoist.

La vigilia dell’Apollo 8

Nel 1968, proprio il 24 dicembre, l’Apollo 8 entrò in orbita lunare. Per la prima volta una missione con equipaggio umano a bordo raggiungeva questo obiettivo.

Data la vigilia di Natale la NASA decise di far leggere ai tre astronauti a bordo i primi dieci versetti del libro della Genesi, il pubblico della Terra seguì la cosa tramite radio e televisione.

Apollo-8-patch

Di seguito la trascrizione della lettura (prelevata di peso dall’edizione in lingua inglese di Wikipedia).

William Anders
“We are now approaching lunar sunrise and, for all the people back on Earth, the crew of Apollo 8 has a message that we would like to send to you.
In the beginning God created the heavens and the earth.
And the earth was without form, and void; and darkness was upon the face of the deep.
And the Spirit of God moved upon the face of the waters. And God said, Let there be light: and there was light.
And God saw the light, that it was good: and God divided the light from the darkness.
Jim Lovell
“And God called the light Day, and the darkness he called Night. And the evening and the morning were the first day.
And God said, Let there be a firmament in the midst of the waters, and let it divide the waters from the waters.
And God made the firmament, and divided the waters which were under the firmament from the waters which were above the firmament: and it was so.
And God called the firmament Heaven. And the evening and the morning were the second day.
Frank Borman
“And God said, Let the waters under the heavens be gathered together unto one place, and let the dry land appear: and it was so.
And God called the dry land earth; and the gathering together of the waters He called seas: and God saw that it was good.
And from the crew of Apollo 8, we close with good night, good luck, a Merry Christmas – and God bless all of you, all of you on the good Earth.”

Note:

William Anders partecipò attivamente solo alla missione 8 del programma Apollo, Jim Lovell era già veterano del programma Gemini (7 e 12) e partecipò alle missioni 8 e 13 del programma Apollo, Frank Borman era anche lui un veterano del programma Gemini (missione 7, insieme a Lovell), partecipò solo alla missione 8 del programma Apollo.

Una data spaziale

Stavo facendo delle ricerche su alcune date su Wikipedia quando sono inciampato su una serie di fatti interessanti, tutti legati alla data di oggi. A quanto pare il 15 di maggio è propizio per i programmi spaziali, fin dagli inizi.

Nel 1958 l’URSS lancia lo Sputnik 3, facendolo seguire nello stesso giorno nel 1960 dallo Sputnik 4. Tanto per non essere da meno anche gli americani nel 1963 lanciano sempre nello stesso giorno l’ultima missione del programma Mercury, la Mercury-Atlas 9.

Già così sarebbe interessante, una sorta di viaggio nella prima fase dell’esplorazione spaziale. Poi si arriva al 1987 e le cose si fanno molto, molto pericolose. Negli ultimi anni di vita dell’URSS arriva infatti a compimento il progetto Polyus con il lancio del prototipo. Cos’era Polyus?

Niente di meno che un sistema laser orbitale da un megawatt, pensato per eliminare i satelliti americani del programma SDI (Scudo stellare).  Un difetto al sistema inerziale fece abortire la missione e di lì a poco l’intero programma venne chiuso a seguito del crollo del sistema sovietico, seguito pochi anni dopo dalla chiusura del programma americano SDI.

Venendo ai nostri tempi, nelle prime ore di oggi è partita l’ennesima missione del programma Soyuz, la TMA-04, destinata a portare in orbita tre astronauti per l’avvicendamento per la stazione spaziale. Il lancio è andato bene, la missione degli astronauti Joe Acaba (USA), Gennady Padalka (Rus) e Sergei Revin (Rus) inizia quindi in una buona giornata.

Chissà, magari la prossima volta il 15 maggio potrebbe segnare l’inizio della missione indiana verso la Luna o la partenza della prima spedizione per Marte…

Cambiare le FFAA italiane

La fine dell’era dei conflitti tradizionali, forze armate nazionali/internazionali contro altre forze armate dello stesso genere, ha una serie di ricadute concettuali notevoli e rischia di rendere sorpassato l’intero concetto di Difesa per come l’abbiamo conosciuto finora. Siamo in un periodo di transizione, dove diventa difficile orientare correttamente gli stanziamenti nazionali per le FFAA sia per quanto riguarda la loro organizzazione che per tutte le questioni logistiche ad esse associate.

Per un paese come l’Italia che nella Difesa investe ben poco del proprio PIL la questione diventa ancora più importante dal momento che una parte della nostra politica estera e dei rapporti con i nostri alleati dipende anche dalla capacità di essere parte delle missioni internazionali di peacekeeping o di presidio contro le attività criminali (es. contro la pirateria). Si potrebbe dire che il caso italiano può costituire un banco di prova per molti altri paesi, dentro e fuori l’Europa, per gli sviluppi futuri del concetto di Difesa.

Queste le condizioni di partenza:

FFAA interamente costituite da professionisti

Settore industriale interno di produzione armi molto sviluppato

Presenza nei consorzi internazionali di sviluppo dei sistemi d’arma

Presenza nei consessi internazionali attivi in varie parti del mondo

Basso livello di budget disponibile

Squilibri nella composizione delle risorse umane

Inefficienze strutturali, logistiche, dipartimentali

Pessimo rapporto con la politica nazionale

Discreta reputazione presso le altre FFAA

Mediocre reputazione sui media internazionali

Attualmente l’Esercito conta su 108.355 effettivi (cifre del 2010), i Carabinieri hanno un organico di 117.943 persone, la Marina Militare arriva a 33.577 unità e l’Aeronautica Militare ha a disposizione 42.960 tra uomini e donne (cifre del 2009). Sono un totale di 302.835 persone, un numero impressionante ma non eccessivo rispetto alla nostra popolazione. Di questi una quota di circa 10.000 effettivi è impegnata a vario titolo all’estero. Va anche considerata un’anomalia italiana, ovvero l’arma del Carabinieri. E’ un ibrido tra un corpo di polizia, una sub forza armata (aviazione, corpi speciali, marina e polizia militare) e in gran parte del territorio nazionale rappresenta lo Stato tout court.

I numeri sopra riportati non presentano uno dei grossi problemi delle nostre FFAA, ovvero la scomposizione della forza tra truppa, sottoufficiali (NCO) e ufficiali. Inoltre non c’è la distinzione tra ruoli logistici e operativi, altro fattore che permette di ragionare sull’efficienza dei propri reparti. Ad oggi abbiamo un numero troppo elevato di alti ufficiali e un rapporto troppo elevato tra numero di NCO e truppa. Fattori che si possono in parte correggere con il ricambio generazionale, alterando gli attuali passaggi di carriera per riequilibrare, ma che richiedono anche azioni molto decise per eliminare tutti gli inutili duplicati della struttura logistica.

E’ evidente come il nostro paese sia in difficoltà economica, i beni del Demanio assegnati alla Difesa e attualmente sotto utilizzati o in disuso devono poter essere convertiti in finanziamenti, leva necessaria per proseguire le opere di modernizzazione tecnologica e per ridare fiato all’industria nazionale, anch’essa investita dalla crisi mondiale. Anche nel campo delle unità disponibili devono essere fatte delle scelte di campo molto dure, anche a discapito dell’orgoglio di qualche alto ufficiale troppo interessato a difendere il proprio orticello piuttosto che l’equilibrio della Difesa nazionale.

Tanto per fare un esempio, attualmente abbiamo in forza due navi con capacità di portaerei, la Garibaldi (CVS-551) e la Cavour (CVH-550), che ogni giorno in cui sono ferme in porto costano centomila euro ciascuna. Il doppio durante le missioni. Il tutto per un appoggio aereo, logistico o bellico, molto limitato e che anche dotando la Cavour del nuovo F-35 Lightning II (peraltro in grave ritardo di sviluppo) non è in grado di spostare gli equilibri in teatro operativo. Demolire unità del genere sarebbe idiota ma venderle? Paesi come il Brasile, l’India, l’Indonesia, il Sud Africa potrebbero essere interessati e avere i mezzi sufficienti per acquistarle. Con quanto incassato si potrebbe concludere senza patemi il programma di costruzione delle unità FREMM, molto più adatte ai nostri compiti di bandiera e in grado di influire positivamente sulla nostra cantieristica.

In un altro post avevo già parlato della decisione, per me assurda, di acquisire il già citato F-35 per la nostra Aeronautica Militare. Non ripeterò le considerazioni già fatte se non per sottolineare il possibile risparmio, quantificabile in miliardi di Euro, a tutto vantaggio dei problemi economici già evidenziati. Sempre a proposito della nostra arma aerea ci sarebbe da riprendere in esame, insieme ai nostri alleati europei, l’intero concetto di velivoli da trasporto per mettere a punto un nuovo progetto che vada finalmente nella direzione di un moderno quadrimotore a basso costo pensionando una volta per tutte il progetto Airbus. Sempre in ambito europeo, dovremmo fare uno sforzo per gestire al meglio il comparto dei droni. E’ in grandissima espansione, consente di utilizzare e sviluppare un know-how dalle ampie ricadute commerciali. Una flotta di velivoli UAV e UCAV sviluppati dalle migliori industrie europee potrebbe candidarsi seriamente al vertice del settore.

All’Esercito è stato chiesto molto in questi anni. Sia dal punto di vista meramente militare che da quello di supporto alla gestione delle calamità naturali, nonché per supportare emergenze d’altro genere (p.e. i rifiuti a Napoli, più volte). Qui la necessità è più legata al personale che non ai mezzi in arrivo o in progettazione. Più volte i media hanno riferito di migliaia di NCO in sovrannumero da destinare in qualche modo ad altre organizzazioni dello Stato (intendendo con questo i Carabinieri, il Corpo Forestale e la Guardia di Finanza). Questione più grave è la pletora di comandi e sotto comandi, abbiamo abbastanza generali da esportarli in mezzo mondo. Da qui discende la necessità già ricordata di sopprimere in tempi celeri le strutture inutili e di gestire nel medio periodo (cinque anni) una ridistribuzione delle unità nel terriotrio nazionale, in modo da poter procedere alla costruzione di nuove strutture (più adeguate alle necessità attuali) e alla dismissione delle strutture esistenti.

Israele versus Iran: il dito sul grilletto

Premessa.

Questo articolo parla di attività militari intraprese da Israele nel recente passato e delle prospettive di una possibile azione ai danni dell’Iran. Non è mio interesse focalizzarmi su temi religiosi, sulle diatribe che riguardano l’esistenza stessa dello stato di Israele e la storia dell’intera regione. Ogni commento che ecceda la ragionevole discussione verrà rimosso con estremo pregiudizio.

Situazione tattica.

Come noto l’Iran ha un programma nucleare molto ben avviato che sta arrivando a completare la produzione autonoma di materiale fissile con tutti i passi necessari per raffinarlo fino al weapon grade. Se si mette in relazione questa capacità con il buon livello della capacità missilistica autoctona e con la fattibilità della costruzione di un ordigno atomico è logico concludere che ci sia un interesse militare da parte di tutti i paesi del Medio Oriente in primis e del resto del mondo in conseguenza dell’importanza dell’area del Golfo Persico. Ad oggi Israele è l’unica potenza nucleare dell’area, elemento deterrente ritenuto fondamentale da gran parte delle gerarchie militari e dai partiti di destra nonché da una parte rilevante dell’establishment americano. Da mesi Tel Aviv fa filtrare dichiarazioni e voci a proposito di un attacco ai siti nucleari iraniani.

I precedenti.

Le forze armate dello stato di Israele hanno una lunga storia di operazioni condotte fuori dai confini nazionali, nella loro dottrina operativa l’interesse nazionale prevale su qualsiasi trattato o convenzione esistente, comprese quelle sottoscritte dallo stesso Israele. Questo è un elemento da tenere sempre presente quando si discute della possibilità di eseguire o meno un’operazione militare da parte del governo di Tel Aviv. La consapevolezza di avere nel consiglio di sicurezza ONU un alleato, gli USA, in grado di porre il veto su qualsiasi decisione non formale contribuisce non poco a questo atteggiamento. Per gli scopi di questo articolo ritengo interessante ricordare alcune operazioni della FFAA israeliane, significative per i risultati ottenuti e/o  per le distanze degli obiettivi rispetto al territorio nazionale.

Operazione Thunderbolt, 4 luglio 1976.

Un gruppo aviotrasportato di forze speciali viene utilizzato per riprendere il controllo di un aereo passeggeri francese dirottato e fatto atterrare in territorio ugandese nell’aeroporto di Entebbe. Il teatro di operazioni è a 4.000 km dal territorio israeliano, l’operazione può essere definita un successo pieno malgrado alcune perdite civili. Un buon riassunto lo potete trovare qui.

http://en.wikipedia.org/wiki/Entebbe_Raid

Operazione Opera, 7 giugno 1981.

Raid aereo per bombardare un reattore nucleare in costruzione in territorio iracheno. Missione conclusa con pieno successo, l’ambizioso programma atomico di Saddam al-Husseini non verrà mai portato a conclusione, grazie anche alle pressioni americane sui francesi per non riprendere la costruzione della struttura. Il teatro di operazioni è a 1.600 km dal territorio israeliano e l’azione viola lo spazio aereo del regno saudita. Interessante notare che l’aviazione iraniana aveva bombardato il sito il 30 settembre del 1980 (i due paesi erano in conflitto). L’intera vicenda presenta molti punti oscuri e un coinvolgimento italiano nelle fasi iniziali. Suggerisco di leggere questo articolo per farsi un’idea.

http://en.wikipedia.org/wiki/Osirak#Iranian_attack

Operazione Wooden Leg, 1 ottobre 1985.

Bombardamento aereo delle strutture OLP in Tunisia, in località Hammam al-Shatt. Missione conclusa con successo, notevole per la dimostrata capacità di rifornirsi in volo con un Boeing 707 modificato. Il teatro di operazioni è a 2.060 km  dal territorio israeliano e l’azione viola lo spazio aereo tunisino. Probabile collaborazione americana logistica, impossibile per la formazione israeliana sfuggire al rilevamento della sesta flotta della Marina USA. Anche questa vicenda è ben riassunta sulle pagine di Wikipedia.

http://en.wikipedia.org/wiki/Operation_Wooden_Leg

Operazione Orchard, 6 settembre 2007.

Meno di cinque anni fa l’aeronautica israeliana bombarda un reattore nucleare in costruzione a Deir ez-Zor, installazione segreta con probabile scopo militare. Missione conclusa con pieno successo, le foto aeree mostrano chiaramente le strutture distrutte.   Il teatro di operazioni è a meno di  500 km dal territorio israeliano e l’azione viola lo spazio aereo siriano nel volo di andata, sconfinando anchein quello turco nel viaggio di ritorno. Come consueto per questo articolo, il riassunto lo trovate nell’articolo linkato sotto.

http://en.wikipedia.org/wiki/Operation_Orchard

Lo scenario iraniano.

Venendo al presente appare chiaro come l’Iran abbia fatto tesoro delle lezioni subite dagli iracheni e dai siriani e dell’assistenza interessata da parte cinese e russa. Non è certo un caso se gli impianti necessari alla filiera di lavorazione dell’uranio siano sparsi in varie regioni e che uno di essi sia stato ricavato all’interno di una montagna. Gli enormi investimenti fatti nell’ultimo decennio e il coinvolgimento di numerosi specialisti pachistani, siriani, nord coreani, russi e cinesi fa capire con quanta determinazione l’Iran sia deciso a dotarsi della capacità autonoma di produrre e gestire materiale fissile. Di pari passo è aumentata la quota del prodotto interno lordo destinata alle forze armate e gran parte di questi fondi sono stati utilizzati per i programmi di ammodernamento delle componenti aeronautiche e di difesa aerea.

Con ogni probabilità nel corso di quest’anno l’Iran annuncerà di aver raggiunto lo scopo del programma, il che significa che forse già oggi hanno a disposizione abbastanza materiale weapon grade.  Quello che rende frenetica l’azione diplomatica di questi mesi e isterica ogni reazione iraniana è il raggiungimento di un punto di non ritorno, ovvero avere da parte iraniana pronti 2-3 ordigni nucleari ‘sporchi’ in grado di fungere da deterrente verso azioni militari altrui. In pratica vogliono raggiungere lo status della Corea del Nord e di Israele, de facto intoccabili per paura di una reazione estrema. Da qui le minacce degli ultimi mesi sulla circolazione navale dello stretto di Hormuz e il nervoso succedersi di esercitazioni da parte delle forze armate e dei Pasdaran. Sempre per lo stesso motivo le massime autorità religiose del paese hanno a più riprese attaccato verbalmente l’Occidente, dando segnali che sono stati ripresi anche in Libano e a Gaza, rispettivamente da Hezbollah e Hamas.

Un ipotetico raid israeliano non andrebbe a colpire tutti i siti della filiera industriale, ce ne sono troppi per coprirli con il numero di aerei disponibile e alcuni sono oggettivamente meno importanti di altri. Per capirci, distruggere dei capannoni pieni di centrifughe (servono per la lavorazione dell’uranio) non ha certo la stessa valenza che centrare un reattore. Questo ovviamente lo sanno anche gli iraniani che non a caso hanno concentrato nei pressi dei siti più importanti aliquote significative dei reparti con capacità AAA. Scegliendo per importanza i primi della lista dovrebbero essere Arak, Ardakan, Natanz, Busher e Lashkar-Abad mentre quello da evitare assolutamente è quello di Tehran, poco significativo tatticamente e inserito in un contesto (la capitale del paese) assolutamente pericoloso. Un obiettivo importante sarebbe il sito di Fordow, che risulta però essere molto vicino alla città santa di Qom (di conseguenza obiettivo sensibile per motivi religiosi).  Come si vede dalla mappa i siti sono piuttosto distanti tra di loro e il fattore critico dato dal tempo di sorvolo di territorio ostile diventa condizionante. Ricordo che un raid non ha le caratteristiche di una campagna di guerra aerea simile a quella condotta dagli USA contro l’Iraq qualche anno fa. Senza la sopressione preventiva via bombardamento degli aeroporti avversari e delle strutture C4I (command, control, communication, computer, intelligence) diventa impossibile assicurarsi il dominio dei cieli.

In più qualsiasi rotta di avvicinamento al territorio iraniano comporta la violazione di almeno due spazi aerei potenzialmente ostili (due tra Giordania, Arabia Saudita e Iraq) e la necessità operativa di mantenere in cielo almeno due gruppi di aerei cisterna con relativo supporto di protezione rende la logistica di tutto l’attacco estremamente rischiosa. Se l’aeronautica iraniana riuscisse a intercettare le cisterne l’intero attacco diventerebbe una catastrofe senza precedenti, sia dal punto di vista meramente militare che da quello propagandistico. L’appoggio diplomatico americano potrebbe minimizzare i rischi di sorvolo sui paesi citati ma ha l’effetto collaterale di esporre alla reazione di tutto il mondo arabo gli USA in un momento dove l’instabilità portata dalla primavera araba ha rimescolato le carte geopolitiche dell’intera regione.

Un raid con un solo obiettivo, per esempio Natanz, avrebbe probabilità di successo molto più elevate e rappresenta la scelta più probabile da parte israeliana. Tuttavia si tratterebbe di un successo militarmente limitato che potrebbe non essere sufficiente per rallentare lo sforzo nucleare avversario e darebbe alla gerarchia politica/religiosa iraniana un nemico esterno palese davanti al quale compattare la rabbia popolare, elemento non da poco date le proteste che attraversano l’intera società persiana. Il rischio concreto è una vittoria di Pirro, utile solo ai due contendenti per agitare un trofeo davanti alla propria opinione pubblica e per alzare di molto la temperatura nell’intero quadrante del Medio Oriente.

Ho già ricordato come l’Iran stia investendo molto in aerei e missili per colmare il gap qualitativo e quantitativo che lo separa dallo status di potenza regionale. L’industria nazionale ha personalizzato ed evoluto i vecchi Northrop F-5 e i Grumman F-14 (residuo del governo di Rezha Palevi, alleato degli americani) con la fattiva partecipazione di esperti russi e cinesi, sul modello (ironia della sorte) di quanto fatto dagli israeliani con i propri apparecchi. Attenzione quindi ad immaginare un’aviazione iraniana debole ed incosistente, rassegnata al massacro contro i piloti di Tel Aviv. Ricordo anche il recente abbattimento da parte iraniana di un modernissimo drone americano, a quanto pare ottenuto interferendo con il controllo satellitare.

In generale un raid israeliano potrebbe essere l’operazione più rischiosa mai tentata negli ultimi quarant’anni e portare risultati molto limitati. Credo che i vertici militari lo sappiano e che stiano cercando di spiegarlo con le dovute maniere alle fazioni più interventiste della politica. Volendo quantificare le possibilità di riuscita in termini percentuali temo che le cifre realistiche siano le seguenti:

riuscita di un attacco a un solo sito: 75%;

riuscita di un attacco a tre o più siti: 30%;

perdite nel primo scenario: 5-10% della forza (se l’attacco riesce);

perdite nel secondo scenario: 35-50% della forza (se l’attacco riesce).

Lo spazio per ragionare e per evitare scenari bellici c’è ancora, al netto di tutte le dichiarazioni roboanti e delle stupidaggini propalate sui media. Un attacco a un sito nucleare attivo porta inevitabilmente a una contaminazione della zona e dato il quadro generale a una sicura ripresa delle ostilità in Libano e nella striscia di Gaza. Fino all’ultimo momento vale la pena cercare di evitarlo e tenere il punto su quelle sanzioni economiche che possono essere in grado di prosciugare le finanze iraniane.

Scheda sull’aviazione israeliana

http://en.wikipedia.org/wiki/Israeli_Air_Force

Scheda sull’aviazione iraniana

http://en.wikipedia.org/wiki/Iranian_Air_Force

(nota bene #1: le mappe sono tutte di pubblico dominio, alcune fanno parte della serie prodotta dalla CIA per i loro Factbook annuali, altre provengono dalle library di Wikipedia)

(nota bene #2: le immagine degli aerei israeliani e iraniani le ho trovate in rete, non mi è stato possibile risalire agli autori. Spesso queste fotografie provengono da agenzie governative e vengono messe in pubblico dominio)

Il futuro dell’Aeronautica Militare

La vicenda delle spese militari delle FFAA italiane è da decenni al centro di un dibattito pubblico a dir poco disinformato e distante dalla realtà. Se è facile fare titoli sui quotidiani o preparare servizi da sessanta secondi sui media è altrettanto vero che le politiche di spending review avviate dal governo in carica devono incidere anche sul funzionamento della difesa italiana.

Molto in sintesi ricordo che il nostro paese non solo è impegnato nelle missioni militari sotto egida ONU o NATO ma che siamo anche impegnati in numerosi progetti di cooperazione decisi sia in sede di Unione Europea che per rapporti bilaterali. Attualmente abbiamo circa diecimila militari delle quattro armi impegnati in questi compiti. Il mantenimento di questi compiti è parte di una serie di trattati internazionali sottoscritti dalla nostra nazione. Si può discutere e sarebbe bene farlo sulla necessità di impiegare mezzi militari nelle missioni di peace keeping e sul concetto stesso di missione di peace enforcing ma non è questo il tema di questo articolo.

Prendo spunto da una delle polemiche più recenti sui costi attuali e previsti delle FFAA, ovvero dalla fornitura alla nostra Aeronautica Militare di 109 aerei Lockheed Martin F-35 Lighting II (nel contratto sono anche previsti altri mezzi della stessa famiglia, adattati per VSTOL/STOL per la Marina Militare e i velivoli addestratori per un totale di 131 aerei). Viene stigmatizzato il costo complessivo dell’operazione, stimato in  quindici miliardi di euro. Si tratta di una cifra estremamente rilevante, di solito però viene omesso che si tratta dell’intera fornitura e non dei soli aerei. Nel pacchetto vanno conteggiate anche altre voci quali una parte dei ricambi, la formazione del personale di volo e di terra, gli aggiornamenti periodici di hardware e software.

Chiarisco subito che per la nostra Aeronautica Militare è necessario, in tempi brevi, arrivare a sostituire gran parte del parco aeromobili attualmente in uso per obsolescenza e/o per essere adeguati al livello di servizio richiesto dai nostri partner NATO e dell’Unione Europea. In particolare i Panavia Tornado e gli AMX Ghibli sono da sostituire, così come va tenuto presente che i General Dynamics F-16 che abbiamo in affitto dovranno essere restituiti quest’anno (o in alternativa si deve rinnovare il contratto con gli oneri che ne derivano). Quindi bisogna decidere come spendere al meglio i soldi dello Stato piuttosto che stabilire se comprare o no degli aerei.

Ritengo l’F-35 un aereo estremamente interessante come concezione ma decisamente al di sopra delle necessità italiane. Per i compiti assegnati all’AM non abbiamo bisogno di un mezzo di superiorità aerea di quinta generazione, pensato per competere con mezzi russi e cinesi in scenari strategici che difficilmente possono presentarsi nel vecchio continente. Lo sviluppo di questo mezzo tra l’altro non è del tutto completato e la valutazione operata dall’Air Force americana ha evidenziato come sia necessarie centinaia di modifiche ai vari sistemi per poterlo considerare adeguato alle richieste contrattualizzate. La versione per l’impiego della Marina è ancora più indietro come perfezionamenti epoterebbe ad estendere oltre misura la vita degli aeromobili disponibili ad oggi o a cercare soluzioni-ponte di difficile attuazione (gli inglesi stanno pensando di utilizzare il Dassault Rafale per la loro nuova portaerei). Una piccola parte della produzione di questo aereo è di competenza italiana ma la ricaduta occupazionale è da considerarsi limitata rispetto ad altre opzioni disponibili mentre è discutibile la ricaduta tecnologica. Dato quanto sopra esposto a mio parere il contratto è da cassare appena possibile.

In alternativa all’aereo americano, date le caratteristiche tecniche richieste e la disponibilità sul mercato è logico operare una selezione preventiva delle macchine disponibili. Per un paese come il nostro, produttore e partner di aziende produttrici, diventa importante favorire anche la possibilità di produrre parti dell’aereo selezionato in Italia (sia per la ricaduta tecnologica che per il fattore occupazionale). Questo porta ad escludere un altro aeromobile americano, il General Dynamics F-16, peraltro molto costoso in termini di manutenzione e dalla vita operativa non eccelsa. Altra considerazione riguarda la necessità di integrazione con il resto dei paesi facenti parte della NATO e dell’Unione Europea. Le due cose insieme portano ad escludere a priori aerei di fabbricazione russa e cinese.

Ovvia considerazione è quella della flessibilità di ruolo operativa per poter adattare i mezzi disponibili, numericamente scarsi, alla maggior varietà possibile di impiego sia per la difesa del territorio nazionale che per la partecipazione alle missioni internazionali. Questo porterebbe ad escludere intercettori puri o aerei troppo lenti, adatti quindi ai soli scopi di bombardamento / uso di contromisure ECM.

Esaminando brevemente la situazione dei nostri alleati è facile notare che molti aerei siano di fabbricazione  americana e che le notevoli eccezioni siano le seguenti:

Saab JAS39 Gripen;

Eurofighter Typhoon.

Lascio fuori gli apparecchi della Dassault (nello specifico il Rafale), non perché non siano validi ma perché utilizzati praticamente solo dalla Francia, il che va contro il concetto di integrazione con le altre forze aeree.

Il jet svedese è attualmente in uso in ambito NATO nella Repubblica Ceca e in Ungheria e rimanendo nell’ambito europeo è in valutazione per Croazia, Danimarca, Olanda, Svizzera, Regno Unito (versione per la Marina), Slovacchia e Bulgaria. Sempre rimanendo nel vecchio continente va riportato che Austria, Finlandia, Germania, Polonia, Norvegia e Romania avevano valutato il Gripen per le rispettive forze aeree per poi scegliere altri aerei. A vantaggio del caccia della Saab va il fattore prezzi, sia per l’acquisto che per le successive spese dei cicli di manutenzione.

L’Eurofighter nasce in un contesto di collaborazione in ambito NATO, simile come impostazione a quello del progetto Panavia Tornado. È già in servizio sia nella nostra AM che nei servizi corrispondenti di Austria, Germania, Regno Unito e Spagna. Inoltre va sottolineato che è in parte fabbricato in Italia da Alenia, il che consente di mantenere una ricaduta occupazionale interessante, superiore di gran lunga a quella consentita dalla coproduzione del già citato F-35. Di contro il Typhoon costa decisamente più del Gripen, sia come costo unitario che come manutenzione.

Per capire le differenze di costi, riporto quanto appreso da un interessante articolo di provenienza croata (vedi link a fine articolo, in lingua inglese) dove vengono comparati l’F-16 e lo JAS39.

Costo unitario: F-16 (block 60) 85 milioni di dollari, F-16 (block 52) 74 milioni di dollari, JAS39 68 milioni di dollari.

Costo orario di utilizzo: F-16 (block 52) 3.700 dollari/ora, JAS39 2.500 dollari/ora.

Costo annuale di utilizzo: F-16 (block 52) 2.2 milioni di dollari, JAS39 1.5 milioni di dollari.

Numero operatori (maintenance crew): F-16 (block 52) 230 unità, JAS39 60 unità.

Facile concludere che il Gripen è decisamente più conveniente. Un altro articolo a proposito del mercato possibile per gli Eurofighter (vedi link a fine articolo) indica come 106 milioni di dollari il costo complessivo (acquisto, manutenzione, ricambi, formazione) di un Typhoon. Va tenuto però presente che la nostra AM, avendo già in esercizio questo aereo, avrebbe costi minori e che facendo parte del consorzio che li costruisce una parte della spesa ‘rientra’ nel nostro settore industriale.

A questo punto il fattore dirimente è di tipo politico e non economico.  

Scegliere la fornitura più costosa (il Typhoon) ha questi  vantaggi:

ricaduta occupazionale;

ricaduta tecnologica;

maggiore integrazione a livello NATO e UE;

assorbimento costi di addestramento del personale.

Viceversa se la scelta ricadesse sul Gripen il risparmio per l’intera fornitura sarebbe tale da compensare la necessità di formazione del personale della nostra AM con ampio margine. Gli svantaggi andrebbero sul lato industriale (nessuna ricaduta) e sul piano strategico (minore integrazione operativa).  Per completezza va aggiunto che in circostanze simili il nostro governo potrebbe fare un’offerta alla Saab per la produzione di parti del loro aereo su licenza in Italia e in presenza di una commessa da più di cento mezzi è decisamente probabile che si raggiungerebbe un accordo.

Personalmente, date le condizioni economiche del paese, sarei favorevole all’adozione del Gripen.

Scheda su Wikipedia con il compendio dei mezzi in uso all’Aeronautica Militare

http://it.wikipedia.org/wiki/Aeronautica_Militare#Aeromobili_in_uso

Schede su Wikipedia dei jet oggetto di discussione nell’articolo (anche le immagini provengono da Wikipedia)

http://en.wikipedia.org/wiki/Gripen

http://en.wikipedia.org/wiki/Eurofighter_Typhoon

http://en.wikipedia.org/wiki/General_Dynamics_F-16_Fighting_Falcon

http://en.wikipedia.org/wiki/F-35

Stampa croata sulla comparazione costi dei possibili fornitori delle forze armate

http://www.nacional.hr/en/clanak/34674/f-16-vs-gripen-croatian-air-force-to-spend-800-million-for-new-wings

Articolo di Bloomberg sul possibile mercato degli Eurofighter

http://www.bloomberg.com/news/2011-03-22/allies-prepare-to-attack-qaddafi-s-ground-forces-debate-command-structure.html

 

The Rocketeer – 1991

Cercavo un’immagine fantastica da usare per il gruppo Moon Base su Facebook e mi tornato alla mente questo film di più di venti anni fa, una storia che adesso definiremmo dieselpunk e che deriva da un fumetto nato negli anni ’80. Credo che il poster faccia capire anche a livello grafico a cosa ci si ispirava.

A suo modo è un concentrato di luoghi comuni del cinema di quegli anni, con una sceneggiatura che potremmo senza dubbio definire ingenua. Dopo pochi minuti si sa benissimo come va a finire e si possono predire senza azzardi di sorta i momenti focali dello svolgimento della trama. A voler essere giusti si può avanzare qualche dubbio anche sulla qualità della recitazione. In compenso la regia di Joe Johnston è più che dignitosa.

Eppure, lo ricordo con molto piacere. Sarà che erano anni in cui non sapevo che razza di losco figuro fosse Howard Hughes, qui rappresentato come un geniale e generoso patriota, nè mi facevo troppe domande sul senso di un’impossibile operazione di spionaggio nazista condotta con quei mezzi. Già allora sapevo benissimo che le gesta del protagonista erano del tutto non plausibili, così come potevo accorgermi di una certa approssimazione generale.

Ma quest’uomo con un razzo sulla schiena che decolla verso il pericolo (interpretato da Billy Campbell), pur essendo un fondamentale imbranato, che si mette in gioco in modo naif per difendere cose che neppure capisce del tutto… quello non poteva lasciarmi un segno. La visione grandiosa di uno Zeppelin, il mondo a due passi dalla WWII, Jennifer Connelly che cercava di rappresentare tutte le emule di Betty Page… ero più giovane e capivo meglio i sogni.

Da recuperare? Sì, se riuscite a non essere troppo bullonari come me. No, se volete un film d’azione moderno o ritrovare qui le atmosfere dei film di super eroi della Marvel. Dal canto mio lo metto nella wishlist, prima o poi lo acchiappo.

Voto: 06,50 / 10,00.