Volete un drone?

In fondo era solo questione di tempo. Una volta che si dimostra che una tecnologia funziona prima viene replicata da chiunque ne abbia le basi tecnologiche, poi in qualche modo arriva al mercato. E’ successo con tantissime cose, ora è arrivato il turno degli UAV. Un minimo di riferimenti per prima cosa. Di questa faccenda ha parlato Cory Doctorow nel suo blog, a me lo ha segnalato Davide Mana. Ma quale è la notizia?

Sul portale Alibaba, notissimo sito commerciale cinese, hanno messo in vendita degli UAV. Per esempio qui. Confusi? Non sapete cosa sia un UAV? O perché ritenga la cosa notevole?

Vediamo come viene descritto il prodotto. Il BMP SKY-02 è un “small attack UAV”. Ovvero, un piccolo UAV (unmanned aerial vehicle o veicolo aereo senza pilota) da attacco. Sì, attacco. Le minime istruzioni presenti sulla pagina che vi ho linkato dicono:

Drone may serviced by a personnel with minimum qualification. The ground control station includes small-sized tablet computer for pre-launch input of the UAV flight program, in-flight correction of the program, and if necessary manual control over the UAV.

Ovvero, il drone può essere utilizzato da personale con qualifiche minime. La stazione di controllo a terra include un piccolo tablet per le istruzioni di pre lancio del programma di volo dello UAV, per le correzioni in volo del programma e se necessario al controllo manuale dell’UAV.

Stiamo parlando di un piccolo aereo quindi, di queste dimensioni.

Wing span   0.8 m (apertura alare)
Length        1.0 m  (lunghezza)
Height         0.4 m (altezza)

Altre caratteristiche tecniche.

Maximum takeoff weight  < 3.7 kg (Massimo peso al decollo)
Attack precision                < 3.5 m (Precisione di attacco)
Killing radius                     > 10 m  (Zona di uccisione)
Image quality:      Superior to level-3 (Qualità di immagine)
Attack speed (standard atmosphere)  > 160 km/h (Velocità di attacco)
Cruising speed:                80-90 km/h (Velocità di crociera)
Service ceiling                   3000 m (Massima altitudine)
Relative flight height         50-1500 m (Altezza relativa di volo)
Cruise duration                < 30 min  (Durata del volo)
Action radius                    < 20 km (Raggio d’azione)
Takeoff way:                    Shoot off (Tipo di decollo, da rampa).

Il prezzo? Tra i mille e i duemila dollari americani, più spese di spedizione. Questo per un drone. Se ne volete di più il rapporto costi scende.

Per chiarezza, il velivolo viene venduto disarmato. Ma non ci vuole molta immaginazione per dotarlo di qualcosa di pericoloso. Non mi metto a dare suggerimenti ma credo che la cosa abbia ricadute evidenti.

Dagong sbarca in Europa

Quando si parla di agenzie di rating il pensiero di tutti vola alle tre sorelle di lingua inglese, Standard & Poor’s, Moody’s e Fitch. I più ignorano che esiste anche un altro imp0rtante giocatore in questa partita, una voce destinata a breve a conquistare una parte della ribalta internazionale. Parlo di Dagong, l’agenzia cinese di rating che sta aprendo a Milano la sua prima succursale europea. Si tratta di una delle prime mosse in terra straniera per Dagong, da considerare insieme alla prossima apertura ad Hong Kong.

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Cosa cambia con la presenza all’estero? Dal punto di vista formale poco o nulla, la presenza dell’agenzia cinese non è neppure una mossa puramente simbolica anche se è vero che c’è un simbolismo evidente. Questa agenzia è anche la voce di una parte consistente del capitalismo cinese e la manifestazione più forte del peso crescente dei fondi di private equity a guida cinese o mista cinese/partners. Stiamo parlando di masse di denaro con nove zeri dietro la cifra in euro e della possibilità concreta che ci sia parecchio shopping nel corso di quest’anno, data la felice (per i cinesi) coincidenza di bassi prezzi e di una certa debolezza di fondo di una parte del capitalismo occidentale. Se poi si ragiona sulla prossima scadenza dell’Expo a Milano (2015) il cerchio si chiude.

La Cina sta passando da anni alla terza fase della sua economia, quella in cui investe sui mercati esteri evoluti e prova a ritagliarsi uno spazio a tutti i livelli delle filiere economiche e finanziarie dopo aver stabilito un fattore forte di predominio in quelle produttive. Segnatevi il nome Mandarin Capital, nelle vicende economiche del 2013 in Italia lo sentiremo fare spesso.

La voce di Unicredit

Per questo post parto dall’intervista di Federico Ghizzoni, AD di Unicredit, pubblicata da “Affari&Finanza” del 14.01.2013 in un articolo a firma di Marco Panara. Il contesto dell’articolo è un’analisi sulle prospettive del 2013 da un punto di vista particolare, ovvero nelle scelte e negli orientamenti di una banca di grandi dimensioni che guarda sia al mercato italiano che a una serie di mercati europei ed extraeuropei.

In più va fatto rilevare come Ghizzoni sia definibile come “uomo di sistema” data la somma delle sue esperienze nel comparto bancario e la rete di conoscenze di cui dispone nel sistema capitalistico (non solo italiano). Ho scelto alcuni brani che considero significativi, a margine le mie considerazioni.

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La struttura industriale italiana sta cambiando. Tra le medie e grandi imprese ce ne sono alcune in difficoltà che potrebbero scomparire ma ce ne sono altre che potrebbero comprare. Chi esporta, ha tecnologie e modelli di business avanzati ha la possibilità di crescere facendo acquisizioni a prezzi prima impensabili. Alla fine di questo processo avremo più imprese di maggiore dimensione.

Unicredit ha nella sua vocazione anche l’intermediazione, i ruoli da advisor nelle fusioni e nei takeover. Essendo coinvolta nel capitale di alcune aziende e essendo creditrice di molte altre ha tutto l’interesse a ridurre la sua esposizione e a favorire fusioni o incorporazioni per risolvere tante situazioni a rischio che potrebbero scoppiarle in mano nel 2013. Discorsi simili li stanno facendo anche in Intesa San Paolo che ha gli stessi identici problemi da risolvere.

(in risposta a: Cosa ha messo in moto questo processo?)

La crisi ovviamente, e la selettività del credito. Le banche non possono più supportare tutti, devono scegliere e quindi i più deboli sono destinati a sparire. L’effetto si vede anche sulle catene di controllo: dovendo scegliere le banche tendono a finanziare la parte industriale. E’ una correzione positiva, le catene di controllo troppo lunghe aumentano il costo del rischio.

Qui si rafforza il concetto di prima, ovvero una selezione guidata verso un futuro con meno aziende con i conti in disordine ottenuta con la spinta del credito. Niente di nuovo, lo si fa dai tempi di Cuccia, ma qui l’accento diventa più chiaro spostandosi verso le interminabili filiere di società scatola che finiscono per diluire le capacità di controllo e rendono scivoloso il controllo delle società stesse. Unicredit non vuole rivedere i tempi di Colaninno in Telecom e gradisce poco il caos in Pirelli. L’avviso è chiarissimo.

(in risposta a: Come state affrontando l’eccesso di impieghi rispetto alla raccolta che è la croce del sistema bancario italiano)

[omissis] Nel 2013 continueremo su questa strada agendo su imprese di fasce dimensionali più basse grazie anche alle nuove regole che consentono i minibond e i project bond. E’ un processo virtuoso, in Italia le imprese dipendono dal credito bancario per l’85 per cento delle loro attività, è troppo. Dobbiamo spingere quelle che possono sul mercato dei capitali per avere lo spazio per dare credito alle più piccole che a quel mercato non possono accedere. E dobbiamo aumentare la pressione per aumentino il capitale proprio, che alza il rating e riduce il costo del credito. Oggi investire in azienda è più conveniente che in passato”.

Qui il discorso rivolto alle aziende è ai livelli di un ceffone. In sostanza viene detto che Unicredit non intende svolgere sempre e solo il ruolo di finanziatore e lucrare sugli interessi ma punta a svolgere il ruolo di service finanziario, sia fungendo da canale per la raccolta fondi che come advisor per chi può collocarsi in Borsa. L’aumentare la pressione per far aumentare il capitale delle imprese è un ennesimo avviso, non tanto sottile, ai tanti imprenditori che in questi anni hanno pensato solo a intascare dividendi senza mettere un euro di denaro fresco in azienda. Unicredit punta a ridurre le sofferenze e a liberarsi di almeno una parte di quelle pratiche che considera più a rischio, il core business è essere una banca di sistema e non un bancomat come ai tempi di Capitalia gestione Geronzi. I servizi ad alto valore aggiunto pagano bene, pagano subito e consentono di avere una struttura ridotta in termini di personale. Il modello di riferimento diventa Morgan Stanley e non l’essere una rete di banche più o meno grandi.

Ricerca – un esempio da Livorno

Per continuare a parlare di ricerca trovo utile cominciare a fare degli esempi, ovvero mostrare come gli effetti presenti e futuri di un progetto possano poi concretizzarsi in cose di sicuro interesse come brevetti, fatturato e posti di lavoro qualificati. Sul territorio livornese, depresso come pochi dal punto di vista economico, è partita da poco una start-up ovvero una nuova azienda che andrà ad occuparsi di un settore peculiare, la robotica percettiva. Non sapete cosa sia? Non preoccupatevi, siete in buona compagnia. In buona sostanza si tratta di simulatori.

La filiera che ha portato alla creazione della “Better Than Real” (in acronimo Btr) è questa: progetto nato nella Scuola Superiore del Sant’Anna di Pisa, finanziamenti pubblici dei piani Piuss per la sede e interesse di imprenditori locali dell’area livornese, nello specifico la Global Service e la Port Technical Service. Università, fondi pubblici, attività di privati; i tre elementi che portano da un progetto di ricerca e uno spin-off, cioè al passaggio dall’ambiente di studi a quello dell’impresa.

L’idea è quella di applicare il concetto di simulazione a realtà complesse come la gestione del movimento merci di un porto, in una direzione dove l’utilizzo di mezzi meccatronici prenderà sempre più piede rendendo importantissimo il loro corretto utilizzo oltre che all’obiettivo di massimizzarne la resa. Ci sono iniziative europee, il Fesr, che erogano finanziamenti per spingere la ricerca in questa direzione. Quindi, riepilogando, fondi italiani e stranieri orientati allo sviluppo industriale, da cui scasturiscono progetti e brevetti industriali, per portare alla ricaduta di nuove aziende che applichino queste soluzioni. Soldi che generano altri soldi, tutto basato sull’economia reale e con una ricaduta positiva occupazionale.

Investire si deve quando si parla di ricerca e lo Stato, anche quello italiano, deve fare il massimo senza aver paura di usare strumenti anche poco tradizionali. Da qui il sostegno convinto al progetto di cui vi avevo già parlato la scorsa settimana, alla legge d’iniziativa popolare per sostenere l’8 per mille alla ricerca.

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Ancora una volta, vi invito a leggere il materiale disponibile sul sito e a fare quanto in vostro potere per fare conoscere questo progetto a quante più persone possibili.

Ricerca – possiamo fare qualcosa

Nell’agosto dell’anno scorso vi avevo brevemente segnalato un progetto interessante, una di quelle iniziative che fanno vedere come sia possibile cercare delle soluzioni, anche parziali, ai tanti problemi che abbiamo come paese. Mi riferisco in particolare a questo:

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Di che si tratta? In sintesi di presentare l’ennesimo progetto di legge di iniziativa popolare, con due importanti differenze. La prima consiste nella massa critica di consensi, invece di accontentarsi delle canoniche 50.000 firme i promotori di questo progetto vogliono andare molto oltre, per intenderci ad arrivare a cifre con sei zeri, per evitare di essere bellamente ignorati come è capitato a tanti altri progetti. La seconda è rivolta agli enti locali, nel senso di far loro approvare delle delibere (i.e. in consiglio comunale) che sostengano l’iniziativa. La cosa ha valore legale nel senso che esprime un indirizzo favorevole da parte dell’ente interessato, altro elemento che si vuole far pesare nei confronti del Parlamento.

Quindi cosa vi chiedo? Non una, non due ma ben tre cose.

La prima, ovvia, è di aderire a questo progetto andando sul sito (qui) e firmando. Non vi farebbe male leggervi per bene le spiegazioni sulle finalità, giusto per capire che questa non è una cialtronata.

La seconda, altrettanto ovvia, è quella di rilanciare il segnale. Sul vostro blog, sui social network, tra le vostre conoscenze.

La terza, un pò più difficile, è di mandare due righe via email alla stampa locale in cui segnalate l’iniziativa. Questo per arrivare ai tanti che sono al di là del digital divide e per far capire che a noi, a tutti noi, la ricerca interessa.

Grazie.

XII edizioni chiude i battenti

Sulle pagine di questo blog ho spesso criticato la politica editoriale e i modelli di business delle case editrici italiane, così come ho parlato della pessima situazione del mercato editoriale in generale. Ribadisco che si tratta di un settore della nostra economia dove ci sono molte zone d’ombra e che una parte del nostro dissesto culturale arriva da qui.

dark mind

Ritorno sull’argomento per segnalare una pessima notizia, ovvero che la XII edizioni ha deciso di chiudere le proprie attività editoriali. Per chi non l’avesse conosciuta si tratta di una piccola casa editrice che fin dai primi passi ha deciso di puntare su una politica editoriale alternativa, alla ricerca di un livello di qualità e di cura dei volumi che non trova molti riscontri in Italia.

Non so dire come mai i responsabili di XII abbiano maturato l’idea di chiudere i battenti, né sono in grado di fare previsioni su un possibile ritorno di questo marchio nel prossimo futuro. Posso però dire senza tema di smentita che da questo dicembre il mercato italiano avrà perso una delle poche voci interessanti. Fino alla fine dell’anno il magazzino della casa editrice rimarrà disponibile per gli acquisti e mi permetto di suggerire di visitare questo link, dove troverete anche qualche parola su questa situazione.

Per chiarezza d’opinione e per rispetto preciso che non sempre mi sono trovato d’accordo con le scelte editoriali della XII; viceversa ne ho sempre apprezzato il ruolo, sia come “palestra” per far emergere nuovi talenti che come ambiente in cui dare spazio a proposte fortemente alternative rispetto ai trend di mercato.

Il fondatore di SpaceX vuole mandare 80.000 persone su Marte

Traduco un articolo apparso in origine sulla benemerita io9.com, uno dei punti di riferimento per chi si interessi di queste cose. Sembra uno scenario futuribile ma ricordiamoci che anche del Falcon 9 dicevano che non poteva funzionare.

Orig.:  “SpaceX founder unveils plan to send 80,000 people to Mars” a firma di George Dvorsky (link)

Elon Musk, il fondatore e il CEO della SpaceX (azienda creata per lo sviluppo da parte di privati di mezzi per il volo spaziale), ha annunciato un piano ambizioso per colonizzare Marte portando 80.000 pionieri sul Pianeta Rosso al costo di 500.000 dollari a viaggio. La prima fase del programma, che è contingente allo sviluppo di un razzo riutilizzabile che possa decollare e atterrare verticalmente, potrebbe partire in maniera modesta con solo un pugno di esploratori che lasciano la Terra ogni volta. Ma in breve tempo, la popolazione in grado di autosostenersi potrebbe crescere in qualcosa di molto più grande.

L’annuncio è stato fatto dal miliardario Musk alla Royal Aeronautical Society a Londra lo scorso 16 Novembre. Era presente per parlare dei suoi investimenti e ricevere la medaglia d’oro della società per aver aiutato a sviluppare l’industria spaziale commerciale.

Scrivendo su Space.com, Rob Coppinger riporta nel dettaglio:

Insieme ai fondatori della nuova colonia su Marte ci saranno grandi quantità di equipaggiamento, comprese macchine per produrre fertilizzanti, metano e ossigeno dal nitrogeno e dal diossido di carbonio presenti nell’atmosfera di Marte e dal ghiaccio presente sotto la superficie del pianeta.

I pionieri del Pianeta Rosso prenderanno con sé anche materiali adatti per costruire cupole trasparenti, nelle quali, quando saranno pressurizzate con il diossido di carbonio presente nell’atmosfera marziana, si potranno far crescere piante terrestri sul suolo marziano. Quando la colonia marziana diventerà più auotosufficiente, il grande razzo comincerà a portare più persone e meno rifornimenti ed equipaggiamento.

L’idea di Musk per questo tentativo di colonizzazione di Marte non comprende Cyclers, navi spaziali riutilizzabili che viaggerebbero costantemente avanti e indietro tra il Pianeta Rosso e la Terra – almeno non all’inizio.

Probabilmente non un Cycler; il problema con i Cyclers è che hai bisogno di molte navicelle,” Musk ha dichiarato a SPACE.com. “Devi avere propellente per tenere le cose allineate dato che le orbiete [della Terra e di Marte] non sono [sempre] sullo stesso piano. All’inizio non avremmo Cyclers.

Musk è arrivato alla tariffa di 500.000 dollari pensando che dovrebbe essere nelle possibilità della maggior parte delle persone nei paesi avanzati — una spesa simile a quella necessaria per comprare una nuova casa. Ha stimato che l’intero programma potrebbe costare circa 36 miliardi di dollari, una spesa che dovrebbe essere coperta sia dai governi che dall’industria privata:

Bisogna spendere dei soldi per stabilire una base su Marte. e’ necessario per mettere giù i fondamentali,” ha dichiarato Musk. “Era vero per le colonie inglesi [nelle Americhe]; ci volle una spesa notevole per metter ein moto le cose. Ma una volta che avremo voli regolari per Marte, si può ridurre il costo fino a mezzo milione di dollari per persona per arrivare a Marte. Per allora penso che ci saranno abbastanza persone che vorranno comprare il biglietto per farne un ragionevole business case.

Per realizzare tutto questo, SpaceX ha già cominciato a lavorare sulla loro prossima generazione di razzi Falcon 9 riutilizzabili. Il prototipo, chiamato Grasshopper [cavalletta], è un primo stadio del Falcon 9 con gambe di atterraggio. Questo razzo ha già fatto due voli corti, compreso uno nel quale ha raggiunto l’altezza di sei piedi (due metri), e un altro nel quale è arrivato all’altezza di 17.7 piedi (5.4 metri).

Musk sta sperando di avere un primo stadio del razzo completo per il 2018 ma ha ammesso che queste potrebbero essere “le ultime parole famose”.

Le nubi nel gruppo Espresso

Ieri sulle pagine de “La Repubblica” (pag.29, taglio basso a sx) ho trovato un comunicato firmato dal coordinamento dei comitati di redazione del gruppo (ovvero di tutti i CdR delle varie testate) che fotografa una situazione decisamente contradditoria. Mi spiego, seguendo le notizie economiche, nello specifico quelle legate al gruppo in questione, ci sono praticamente solo segnali positivi. Ricavi, raccolta pubblicitaria, ROE, MOL, tutto sopra i livelli medi del settore con qualche punta di eccellenza. In più, volendo guardare alla diffusione, il quotidiano è cresciuto molto in questi anni e testate storiche come L’espresso mantengono molto bene la propria posizione. Del gruppo fanno parte molte testate locali, riviste, un sito/portale che  tra i più visistati d’Italia, un certo numero di emittenti radio e TV. In teoria, malgrado la crisi, le cose dovrebbero andare benino.

Leggete questo:

Il coordinamento dei CdR Espresso, Repubblica, Finegil e Elemedia esprime forte preoccupazione per le ulteriori riduzioni giornalistiche nel Gruppo. E’ stato dichiarato lo stato di crisi anche al settimanale L’espresso, testata storica e marchio editoriale, che si aggiunge a quello appena attuato per l’Agl. Oggi (venerdì 23 u.s.) L’espresso non sarà in edicola in segno di protesta cntro il pesante programma di tagli annunciato dall’azienda in assenza di un piano editoriale.  Con questa azione i redattori dell’Espresso intendono tutelare il patrimonio di una testata che in questi anni ha continuato a distinguersi per le sue battaglie civili, le sue inchieste e la sua indipendenza da qualsiasi centro di potere. I tagli all’organico, nonostante un bilancio di gruppo in utile anche per il 2012, mettono a rischio il livello dell’informazione fino ad oggi garantito con autorevolezza sin dal suo primo numero, il 2 ottobre del 1955. Siamo di fronte all’ennesimo sacrificio richiesto alle redazioni dopo i ridimensionamenti a Radio Capital, al Piccolo di Trieste (che ha proclamato una nuova giornata di sciopero per il primo dicembre e dove è stato presentato anche un piano per la riduzione delle pagine e l’ampliamento dell’offerta su internet) a Bolzano – Trento, al Messaggero Veneto, nei Quotidiani veneti e confermato anche dalla cessazione dei contratti a termine alla Provincia Pavese, dalla chiusura della testata Velvet e, infine, dall’incertezza delle relazioni sindacali a La Nuova Sardegna. Ai colleghi va la solidareità di tutti i CdR del Coordinamento, che ribadiscono la necessità e l’urgenza di un piano di sviluppo editoriale che non prescindendo dalla valorizzazione del primo patrimonio aziendale: i giornalisti. Per questa ragione si rinnova la richiesta di un incontro urgente dei CdR del Coordinamento Gruppo Espresso e della Fnsi con i vertici aziendali che possa rilanciare il dialogo e abbia come primo obiettivo il consolidamento delle testate e la definizione di un progetto strategico con regole condivise sulla multimedialità. Il Coordinamento dei CdR chiede altresì al Governo di non avallare stati di crisi in gruppi editoriali in attivo intervenendo in questo senso sul decreto Sacconi dell’8 ottobre 2009

(a firma de) Il Coordinamento dei CdR Espresso-Repubblica-Finegil-Elemedia

Poco tempo fa Carlo De Benedetti (presidente del gruppo) aveva rilasciato diverse dichiarazioni critiche per la cattiva gestione di questa crisi da parte di personaggi come Sergio Marchionne (AD, FIAT), a proposito di come fosse importante difendere il ruolo dei dipendenti, di quanto fosse importante investire per l’innovazione e la formazione. Se non ricordo male è uscito da poco un saggio sull’argomento. Se si tengono in considerazione i bilanci e la tipologia specifica di queste imprese come si spiega quanto contenuto nel comunicato che avete appena letto?

Multiplo e le idee

Lunedì u.s. ho letto una notizia in breve sul supplemento de “La Repubblica” dedicato alle tematiche economiche, “Affari & Finanza”, che mi ha fatto incuriosire. Le parole chiave sono “automa”, “robot”, “Open Source” e “Kickstarter”. Un progetto che comprenda questo tipo di informazioni mi attira in maniera irresistibile e nei giorni successivi ho approfondito.

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Lo stato della crisi

Si parla spesso di quanto siano stati duri questi anni dal punto di vista economico e di quante aziende siano finite con l’avere gravissimi problemi nel continuare l’attività ma spesso questo avviene senza avere un’idea di quanto siano estesi gli stati di crisi.

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