Ricerca – la grande assente nella competizione elettorale

Ho avuto l’infelice idea di leggermi i programmi dei principali partiti o movimenti che si presentano alle prossime elezioni politiche nazionali, l’idea era trovare in quelle pagine virtuali qualche traccia di attenzione verso i temi della ricerca di cui abbiamo parlato nelle ultime settimane. Idea infelice. Quattro parole qua e là, vaghi accenni per dire che sì, c’è un problema di fondi e delle necessità. Decisamente non una priorità, per non dire poco più di un fastidio, al limite un possibile richiamo per il settore più giovane dell’elettorato.

Il focus principale è sull’economia. Giusto. Siamo in crisi dal 2008 e le cifre dell’occupazione e della produzione industriale, nonché dei consumi, stanno facendo paura. Tutto vero. Come già detto in altre occasioni però il concetto di ricerca fa parte delle soluzioni e non del problema. Così si ragiona in Europa, in Asia e nelle Americhe. Basta varcare le Alpi. Ci vuole che arrivino i progetti di indirizzo europeo sul grafene, citati spesso sui media nell’ultima settimana, perché se ne parli.

La spinta deve arrivare dal basso. E deve essere di portata tale da non poter essere ignorata. Vi chiedo quindi di prendere in considerazione questa iniziativa.

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L’idea è quella di visitare il sito, qui, e di decidere se volete spendere il vostro nome per questo progetto di legge popolare. Novantamila persone non bastano, bisogna andare molto più in là.

Ricerca – come è gestito l’otto per mille

In queste ultime settimane, ogni lunedì, vi ho parlato dell’iniziativa di legge popolare per destinare l’otto per mille alla ricerca. Mi sono però reso conto che il funzionamento di questa parte dei tributi versato allo Stato non è del tutto chiaro per chi segue questo blog e mi sembra opportuno chiarirlo, almeno per sommi capi.

Per prima cosa va tenuto presente che l’otto per mille non è una scelta. Non nei termini di scegliere se pagarlo o meno. Viene comunque prelevata questa quota dalle tasse pagate, sia se si è specificata una scelta sia che questo non venga fatto. Quindi si arriva alla distinzione sulla destinazione di questo denaro. La prima parte del meccanismo vincola la seconda, ovvero le scelte di chi ha deciso di versare il proprio otto per mille condizionano la ripartizione dell’inoptato.

Se il 10% dei contribuenti sceglie di firmare per la religione X, questa riceverà l’ammontare corrispettivo delle scelte espresse più una seconda cifra, il 10% del totale degli inespressi. Quindi chi sceglie finisce per farlo anche per chi non lo fa, una sorta di delega del libero arbitrio. Aggiungere quindi un’ulteriore casellina per la ricerca non va a sottrarre direttamente cifre allo Stato o alle varie religioni (a proposito da quest’anno dovrebbero entrare altre due chiese nel novero dei possibili destinatari) ma andrebbe a incidere sul monte delle cifre inoptate.

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Per chiarezza, non è che si va a risolvere tutti i problemi finanziari delle ricerca italiana con questa fonte di entrate. Al massimo si potrà alleviare qualche difficoltà. Rimane comunque un segnale forte da dare, la richiesta dal basso di spendere in una direzione che porta ricchezza, in tutti i sensi. Invito quindi tutti a visitare il sito dedicato all’iniziativa, qui, per rendersi conto di cosa si tratta e per decidere se aderire o no. Se la cosa vi piace parlatene in giro, sui social network e nei vostri contatti personali di ogni giorno.

Raro come la ricerca

Abbiamo visto la scorsa settimana come sia evidente il circolo virtuoso che parte dalla ricerca per arrivare a un nuovo prodotto (o un servizio) e di come abbia un’ovvia ricaduta economica e occupazionale. La si potrebbe definire come ricerca adatta ai privati dal momento che, su piccola o grande scala, può essere ascritta al concetto di investimento volto a generare un profitto.

Le cose cambiano, in peggio, quando si approccia il concetto di malattie rare. Per definizione riguardano direttamente un basso numero di persone, il che rende poco attraente per un’impresa investire risorse per trovare (o migliorare) terapie o cure. E’ proprio in questi casi che lo Stato deve supplire a queste carenze nell’interesse della comunità; mi riferisco allo Stato perché ormai il livello di spesa necessario per gli investimenti in ricerca medica sono al di fuori delle possibilità di molte ONG o fondazioni.

Se volete informazioni sulle malattie rare attualmente censite e su cosa stia facendo lo stato italiano in tal senso vi suggerisco di visitare questo sito. Dove troverete ulteriori collegamenti e una messe di informazioni per capire, almeno a grandi linee, che possibilità ci siano come assistenza e cure. Tuttavia rimane il concetto che senza programmi adeguati di ricerca ben difficilmente si arriverà a delle soluzioni.

Torno quindi a segnalarvi questa iniziativa:

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Di nuovo richiedo a voi che mi leggete di seguire il link segnalato (qui) e di informarvi su cosa si vuole ottenere con questo progetto. Nel caso vi convinca, come ha convinto me, aderite e fate conoscere questa proposta sui social network.

Ricerca – un esempio da Livorno

Per continuare a parlare di ricerca trovo utile cominciare a fare degli esempi, ovvero mostrare come gli effetti presenti e futuri di un progetto possano poi concretizzarsi in cose di sicuro interesse come brevetti, fatturato e posti di lavoro qualificati. Sul territorio livornese, depresso come pochi dal punto di vista economico, è partita da poco una start-up ovvero una nuova azienda che andrà ad occuparsi di un settore peculiare, la robotica percettiva. Non sapete cosa sia? Non preoccupatevi, siete in buona compagnia. In buona sostanza si tratta di simulatori.

La filiera che ha portato alla creazione della “Better Than Real” (in acronimo Btr) è questa: progetto nato nella Scuola Superiore del Sant’Anna di Pisa, finanziamenti pubblici dei piani Piuss per la sede e interesse di imprenditori locali dell’area livornese, nello specifico la Global Service e la Port Technical Service. Università, fondi pubblici, attività di privati; i tre elementi che portano da un progetto di ricerca e uno spin-off, cioè al passaggio dall’ambiente di studi a quello dell’impresa.

L’idea è quella di applicare il concetto di simulazione a realtà complesse come la gestione del movimento merci di un porto, in una direzione dove l’utilizzo di mezzi meccatronici prenderà sempre più piede rendendo importantissimo il loro corretto utilizzo oltre che all’obiettivo di massimizzarne la resa. Ci sono iniziative europee, il Fesr, che erogano finanziamenti per spingere la ricerca in questa direzione. Quindi, riepilogando, fondi italiani e stranieri orientati allo sviluppo industriale, da cui scasturiscono progetti e brevetti industriali, per portare alla ricaduta di nuove aziende che applichino queste soluzioni. Soldi che generano altri soldi, tutto basato sull’economia reale e con una ricaduta positiva occupazionale.

Investire si deve quando si parla di ricerca e lo Stato, anche quello italiano, deve fare il massimo senza aver paura di usare strumenti anche poco tradizionali. Da qui il sostegno convinto al progetto di cui vi avevo già parlato la scorsa settimana, alla legge d’iniziativa popolare per sostenere l’8 per mille alla ricerca.

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Ancora una volta, vi invito a leggere il materiale disponibile sul sito e a fare quanto in vostro potere per fare conoscere questo progetto a quante più persone possibili.

Ricerca – possiamo fare qualcosa

Nell’agosto dell’anno scorso vi avevo brevemente segnalato un progetto interessante, una di quelle iniziative che fanno vedere come sia possibile cercare delle soluzioni, anche parziali, ai tanti problemi che abbiamo come paese. Mi riferisco in particolare a questo:

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Di che si tratta? In sintesi di presentare l’ennesimo progetto di legge di iniziativa popolare, con due importanti differenze. La prima consiste nella massa critica di consensi, invece di accontentarsi delle canoniche 50.000 firme i promotori di questo progetto vogliono andare molto oltre, per intenderci ad arrivare a cifre con sei zeri, per evitare di essere bellamente ignorati come è capitato a tanti altri progetti. La seconda è rivolta agli enti locali, nel senso di far loro approvare delle delibere (i.e. in consiglio comunale) che sostengano l’iniziativa. La cosa ha valore legale nel senso che esprime un indirizzo favorevole da parte dell’ente interessato, altro elemento che si vuole far pesare nei confronti del Parlamento.

Quindi cosa vi chiedo? Non una, non due ma ben tre cose.

La prima, ovvia, è di aderire a questo progetto andando sul sito (qui) e firmando. Non vi farebbe male leggervi per bene le spiegazioni sulle finalità, giusto per capire che questa non è una cialtronata.

La seconda, altrettanto ovvia, è quella di rilanciare il segnale. Sul vostro blog, sui social network, tra le vostre conoscenze.

La terza, un pò più difficile, è di mandare due righe via email alla stampa locale in cui segnalate l’iniziativa. Questo per arrivare ai tanti che sono al di là del digital divide e per far capire che a noi, a tutti noi, la ricerca interessa.

Grazie.

L’Italia e il Gender Gap Report 2012

Tra i tantissimi indicatori che vengono elaborati ogni anno da una pletora di enti ho scelto di mettere in evidenza una sintesi di quelli relativi alla condizione delle donne. Mi riferisco a quanto inserito dal World Economic Forum nel suo “Gender Gap Report 2012”.

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E’ un documento abbastanza complesso e suggerisco chi sia interessato a questo genere di cose di scaricarlo per leggerlo con tutta calma. Al di là dei dati statistici di cui parleremo in questo post ci sono notizie utili e qualche sorpresa per chi è abituato a ragionare per preconcetti.

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Il fondatore di SpaceX vuole mandare 80.000 persone su Marte

Traduco un articolo apparso in origine sulla benemerita io9.com, uno dei punti di riferimento per chi si interessi di queste cose. Sembra uno scenario futuribile ma ricordiamoci che anche del Falcon 9 dicevano che non poteva funzionare.

Orig.:  “SpaceX founder unveils plan to send 80,000 people to Mars” a firma di George Dvorsky (link)

Elon Musk, il fondatore e il CEO della SpaceX (azienda creata per lo sviluppo da parte di privati di mezzi per il volo spaziale), ha annunciato un piano ambizioso per colonizzare Marte portando 80.000 pionieri sul Pianeta Rosso al costo di 500.000 dollari a viaggio. La prima fase del programma, che è contingente allo sviluppo di un razzo riutilizzabile che possa decollare e atterrare verticalmente, potrebbe partire in maniera modesta con solo un pugno di esploratori che lasciano la Terra ogni volta. Ma in breve tempo, la popolazione in grado di autosostenersi potrebbe crescere in qualcosa di molto più grande.

L’annuncio è stato fatto dal miliardario Musk alla Royal Aeronautical Society a Londra lo scorso 16 Novembre. Era presente per parlare dei suoi investimenti e ricevere la medaglia d’oro della società per aver aiutato a sviluppare l’industria spaziale commerciale.

Scrivendo su Space.com, Rob Coppinger riporta nel dettaglio:

Insieme ai fondatori della nuova colonia su Marte ci saranno grandi quantità di equipaggiamento, comprese macchine per produrre fertilizzanti, metano e ossigeno dal nitrogeno e dal diossido di carbonio presenti nell’atmosfera di Marte e dal ghiaccio presente sotto la superficie del pianeta.

I pionieri del Pianeta Rosso prenderanno con sé anche materiali adatti per costruire cupole trasparenti, nelle quali, quando saranno pressurizzate con il diossido di carbonio presente nell’atmosfera marziana, si potranno far crescere piante terrestri sul suolo marziano. Quando la colonia marziana diventerà più auotosufficiente, il grande razzo comincerà a portare più persone e meno rifornimenti ed equipaggiamento.

L’idea di Musk per questo tentativo di colonizzazione di Marte non comprende Cyclers, navi spaziali riutilizzabili che viaggerebbero costantemente avanti e indietro tra il Pianeta Rosso e la Terra – almeno non all’inizio.

Probabilmente non un Cycler; il problema con i Cyclers è che hai bisogno di molte navicelle,” Musk ha dichiarato a SPACE.com. “Devi avere propellente per tenere le cose allineate dato che le orbiete [della Terra e di Marte] non sono [sempre] sullo stesso piano. All’inizio non avremmo Cyclers.

Musk è arrivato alla tariffa di 500.000 dollari pensando che dovrebbe essere nelle possibilità della maggior parte delle persone nei paesi avanzati — una spesa simile a quella necessaria per comprare una nuova casa. Ha stimato che l’intero programma potrebbe costare circa 36 miliardi di dollari, una spesa che dovrebbe essere coperta sia dai governi che dall’industria privata:

Bisogna spendere dei soldi per stabilire una base su Marte. e’ necessario per mettere giù i fondamentali,” ha dichiarato Musk. “Era vero per le colonie inglesi [nelle Americhe]; ci volle una spesa notevole per metter ein moto le cose. Ma una volta che avremo voli regolari per Marte, si può ridurre il costo fino a mezzo milione di dollari per persona per arrivare a Marte. Per allora penso che ci saranno abbastanza persone che vorranno comprare il biglietto per farne un ragionevole business case.

Per realizzare tutto questo, SpaceX ha già cominciato a lavorare sulla loro prossima generazione di razzi Falcon 9 riutilizzabili. Il prototipo, chiamato Grasshopper [cavalletta], è un primo stadio del Falcon 9 con gambe di atterraggio. Questo razzo ha già fatto due voli corti, compreso uno nel quale ha raggiunto l’altezza di sei piedi (due metri), e un altro nel quale è arrivato all’altezza di 17.7 piedi (5.4 metri).

Musk sta sperando di avere un primo stadio del razzo completo per il 2018 ma ha ammesso che queste potrebbero essere “le ultime parole famose”.

Neanderthal Vs Homo Sapiens (da Slate.com)

Da un luogo in Rete che ufficialmente non esiste raccolgo una segnalazione, relativa a questo articolo che ho trovato divertente oltre che degno di nota; Slate.com si conferma ancora una volta come una rivista curiosa, sempre oltre il limite della noia.

Titolo originale: “Who Would Win in a Fight: a Modern Human or a Neanderthal?” di Brian Palmer, lo trovate qui.

Li abbiamo battuti nell’evoluzione. Ma avremmo fatto lo stesso a mani nude?

Un gruppo di archeologi, paleoantropologi e paleoartisti hanno creato una ricostruzione più precisa di un Neanderthal, basandosi su uno scheletro quasi completo trovato in Francia più di 100 anni fa. L’uomo di Neandethal di La Ferassie era basso ma robusto. Se un uomo moderno arrivasse a scontrarsi con un Neanderthal, potrebbe vincere?

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Fuori dal sistema solare

Un altro emissario della civiltà umana sta per lasciare il nostro sistema solare, una sorta di passaggio simbolico di testimone tra una generazione di esploratori dello spazio (il programma Voyager) e le missioni del presente, tornate finalmente sui media con il successo di Curiosity su Marte.

Buffo pensare come un hardware di 35 anni fa, ridicolo come potenziale rispetto alla generazione attuale di dispositivi, sia in grado di continuare la sua missione di scoperta. Amaro invece confrontarlo con tanti prodotti di oggi, fabbricati senza cura e con la prospettiva di vita utile misurabile in pochi mesi.

Il Voyager 2 continua la sua corsa, memento della volontà di scoperta del genere umano. Buon viaggio!

Perché su Internet sono tutti così arrabbiati?

Traduzione di un articolo apparso sullo Scientific American, una delle prime ricerche su un fenomeno che conosciamo tutti fin troppo bene. Ringrazio Davide Mana per avermelo segnalato, spero possa contribuire in maniera sensata a una disamina del problema.

Perché su Internet sono tutti così arrabbiati?

Una tempesta perfetta genera maleducazione online, dall’anonimato virtuale alla mancanza di responsabilità, distanza fisica e lo strumento della scrittura.

Di Natalie Wolchover e Life’s Little Mysteries (pubblicato il 25-07-2012)

Con la campagna presidenziale, i dibattiti sulla sanità e il controllo delle armi nelle notizie di questi giorni, non si può evitare di essere coinvolti nelle “flame war” che sono presenti negli spazi dei commenti su Internet. Ma gli psicologi dicono che questi scambi al vetriolo dovrebbero essere evitati – o semplicemente censurati  sui media disponibili online – perché danneggiano la società e la salute mentale.

In questi giorni i commenti online “sono straordinariamente aggressivi, senza risolvere nulla,” dice Art Markman, un professore di psicologia presso l’università del Texas a Austin. “Alla fine non ci si può sentire come nessuno ti abbia ascoltato. Avere una forte esperienza emozionale che non si risolve in una maniera sana non può essere una buona cosa.

Se è così insoddisfacente e malsana, perché lo facciamo?

Una tempesta perfetta di fattori contribuisce a generare la maleducazione e l’aggressione viste nelle sezioni dei commenti dei siti Web, dice Markman. Primo, i commentatori sono spesso virtualmente anonimi e quindi non direttamente responsabili per la loro maleducazione. Secondo, sono distanti dal bersaglio della loro rabbia – sia per l’articolo che stanno commentando che per un altro commento sullo stesso articolo – e si tende a contrapporsi più facilmente con soggetti astratti piuttosto che con interlocutori diretti. Terzo, è più facile essere sgradevoli scrivendo che parlando, da qui la pratica ormai fuori moda di lasciare note rabbiose (quando la gente usava la carta), secondo quando dice  Markman.

Siccome i discorsi nelle sezioni dei commenti non avvengono in tempo reale, i commentatori possono scrivere lunghi monologhi, i quali tendono a trincerarli nei loro punti di vista estremi. “Quando stai avendo una conversazione di persona, chi riesce a fare un monologo eccetto che nei film? Anche se ti arrabbi, c’è uno scambio e alla fine devi calmarti e ascoltare per avere una conversazione,” (ancora Markman).

Battersi in una serie di commenti può anche dare una sensazione di appagamento, sebbene sia ingannevole. “C’è così tanto che accade nelle nostre vite che è difficile trovare tempo per andare fuori e fisicamente aiutare una causa, il che rende alettante l’attivismo da poltrona,” questa l’opinione di un blogger su un articolo del Daily Kos del 23 luglio.

Infine Edward Wasserman, professore in etica del giornalismo presso l’università Washington e Lee, fa notare un’altra causa del vetriolo: pessimi esempi dati dai media. “Sfortunatamente, i mass media hanno fatto una fortuna insegnando alla gente le maniere sbagliate per parlarsi tra loro, offrendo esempi come erry Springer, Crossfire, Bill O’Reilly. Comprensibilmente il pubblico conclude che la rabbia è il vernacolo della politica, che è come si parla in pubblico delle idee,” così Wasserman in un articolo scritto per il sito della sua università.

La comunicazione, secondo lo studioso, avviene quando si comprende la prospettiva dell’altro, la si capisce e si risponde. “Il tono di voce e la gestualità possono avere una grande influenza sulla propria abilità di capire cosa ci stanno dicendo,” dice Markman. “Più si è distanti dal faccia a faccia, dal dialogo in tempo reale, più è difficile comunicare.

Secondo Markman i gestori dei media dovrebbero moderare la rabbia e l’odio che sono diventati la norma negli scambi tra i lettori. “E’ importante far sentire tutti i pareri su un argomento. Ma non è importante lasciare spazio agli attacchi personali o avere messaggi con toni estremamente arrabbiati. Anche qualcuno che porti ragioni legittime con un tono iroso danneggia la natura della discussione, perché incoraggiano risposte dello stesso tipo. Se in un sito rimangono pubblici commenti contenenti attacchi personali del tipo più sgradevole, si sta mandando il messaggio che è un comportamento accettabile.

Sempre secondo Markman, si dovrebbero cercare interlocutori con cui conversare e dovremmo sforzarci di includere nei nostri circoli sociali delle persone che pensano diversamente da noi. “Svilupperete un sano rispetto per le persone che hanno opinioni diverse dalle vostre“.

Cercare soluzioni per i problemi più difficili che tendono a generare la maggior parte dei commenti online richiede lunghe discussioni e compromessi. “La negoziazione avanti-e-indietro che accade avendo una conversazione con qualcuno con cui non si è d’accordo è una capacità,” dice Markman.  Questa capacità sta languendo, sia tra il pubblico che tra i nostri leader.

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Nota tecnica: qui il link alla pagina di Scientific American, va fatto notare che ho rimosso tutti i link che comparivano nella versione originale, così come i collegamenti ai profili sui social network dell’autrice. La traduzione, per povera che sia, è di mia mano. Chiarisco che mi sono preso diverse libertà nel testo per adattarlo al meglio alla lingua italiana e suggerisco comunque di prendere visione dell’originale.