Come promesso / minacciato, torno sull’argomento vaccinale, declinato nella versione Covid-19. Ho avuto la sfortuna di seguire il dibattito pubblico italiano sull’obbligo vaccinale per i sanitari, con gli ovvi riflessi sulla questione se estenderlo all’intera popolazione, e devo dire che sono estremamente deluso dai suoi esiti. Che fosse difficile avere un dibattito maturo e consapevole era purtroppo ovvio, così come era chiaro dall’inizio che l’esito era scontato. Tuttavia, malgrado l’esperienza maturata, avevo almeno la speranza che ci potesse essere qualche barlume di razionalità.
Parto dai media, sia perché ho il dente avvelenato nei loro confronti, sia per il semplice fatto che sono fondamentali nel formare il consenso popolare – specialmente per le fasce meno abbienti e meno istruite dei nostri concittadini. Si è partiti immediatamente con la tesi che non potevano sussistere discussioni, ritirando fuori l’etichetta di “negazionista” per chiunque esprimesse dubbi di qualsiasi genere, fino ad etichettare come “no vax” chi osasse anche valutare l’idea di non fare questo particolare vaccino. Il trucco semantico è sempre lo stesso, trito e ritrito quant’altri mai. Appiccicare etichette negative a chi si oppone alla narrazione, limitare il più possibile l’espressione di dubbi, cavalcare la paura e il risentimento per ottenere la soppressione del dissenso.
Il giochino per certi versi ha funzionato. All’opinione pubblica è stato servito un nuovo nemico, il temibile sanitario egoista che non vuole vaccinarsi, e una soluzione per affrontarlo, cioè richiederne licenziamento e/o demansionamento immediato. Non è noto se sia prevista anche la fantozziana crocifissione in sala mensa, ma è meglio non dare troppe idee ai minus habens. Facezie a parte, è interessante notare come sia semplice passare dal considerare i lavoratori del settore “eroi” ad additarli come paria nell’arco di poche settimane. Come se non bastassero le promesse disattese di bonus e di altre misure di compensazione, o come se si potessero ignorare i disastri gestionali perpetrati nella sanità. Mi limito a far notare che un sanitario che usi i DPI e che osservi i protocolli di sicurezza sia perfettamente in grado di prestare la sua opera senza alcun rischio per i pazienti, indipendentemente da vaccini o altro.
Visto che una delle tesi imperanti è che queste misure ce le chiede l’Europa, vi fornisco un link a un interessante riepilogo sull’argomento (QUI) e per sintesi vi riporto che lo scorso 21 gennaio al consiglio d’Europa è stata approvata a grande maggioranza una risoluzione che contiene quanto segue:
«che i cittadini siano informati che la vaccinazione non è obbligatoria e che nessuno a livello politico, sociale o in altra forma può fare pressioni perché le persone si vaccinino se non lo scelgono autonomamente»
Io non sono un avvocato, sia chiaro. E’ facile comunque prevedere che ci saranno dei ricorsi sia in sede penale che civile, con gli inevitabili addentellati per quanto riguarda la costituzionalità di una misura che in pratica differenzia una parte dei cittadini rispetto al resto della popolazione. E’ altrettanto facile intravedere seri problemi di funzionalità in un qualsiasi presidio ospedaliero ove una parte consistente del personale dovesse opporsi all’obbligo vaccinale.
La cosa che più stupisce è l’assenza dal dibattito pubblico della domanda più semplice. Come mai personale con qualifiche professionali elevate ed esperienza si oppone a questo obbligo? Se sono qualificati ad essere dottori o infermieri significa che si tratta di laureati, spesso con specializzazioni e/o dottorati. Se le aziende ospedaliere li impiegano a pieno titolo per prendersi cura dei pazienti, come mai poi si preparano a disconoscerli? Immagino abbiate notato come la stragrande maggioranza dei media abbia accuratamente evitato queste semplici questioni. Trovo difficile pensare che un medico impazzisca di colpo, o che un infermiere perda improvvisamente fiducia nell’efficacia dei vaccini. Mi sarei aspettato un dibattito aperto su cose come questa, quello che ho visto è una serie di minacce più o meno velate e di richiami alla disciplina da parte degli ordini professionali. Il tutto in categorie che hanno pagato un prezzo terribile in termini di vite umane nelle azioni di contrasto a questo virus.
Alla fine, il concetto di base è sempre la paura. Se fallisce quella della malattia, allora si usa quella economica. O quella sociale, invitando il pubblico alla riprovazione dei reprobi. E se fallissero anche queste leve? Se qualcuno vincesse un ricorso o se qualche TAR ordinasse la sospensione dell’applicazione di un licenziamento (o demansionamento)? Siamo davvero sicuri che questa sia la strada migliore da percorrere per avere maggior sicurezza?