Ognuno di noi fa tantissime cose nell’arco della sua vita, a volte in maniera decisamente efficace, con punte di eccellenza in questo o quel campo di azione.
Non è legato solo alla propria veste professionale, o alle proprie vesti dal momento che ci si trova a cambiare ambito e mansioni con una facilità crescente indotta dal precariato e da un mercato del lavoro a dir poco instabile. No, non voglio parlare di questo tipo di cose. Il punto è che per quanto si possa essere bravissimi a fare mille cose diverse, nessuna potrebbe essere espressione di un talento vero e proprio.
Dove si trova la differenza?
Cosa distingue il talento da un’ottima tecnica o da una predisposizione?
Quale può essere il discrimine tra il fare bene qualcosa e fare quello che ci permette di esprimere il nostro talento?
E ancora, come fare a capire che talenti possediamo?
Non ho risposte da guru o da scienziato da dare, sia chiaro. Questo è un tema su cui ragiono da decenni, senza aver trovato un metodo o una strategia per dare risposte chiare a queste domande. Volendo scherzare, si potrebbe anche dire che il mio talento è quello di perdere tempo dietro questioni filosofiche.
A costo di essere brusco, non mi interessa neppure sapere quali talenti possiedano i miei lettori, nè come siano arrivati ad esprimerli. Non è questione di menefreghismo, è che secondo me ognuno deve trovare le proprie risposte e/o il proprio percorso per arrivarci.
Ad oggi l’unica risposta che ho trovato è ascoltare. Quando facciamo qualcosa, ognuno le sue, è possibile che ne si traggano grandi soddisfazioni, oneri e onori. Ma il punto importante arriva quando sentiamo dentro una sorta di voce, un calore che ci fa capire che quella specifica azione, quel modo di vivere il particolare attimo, è davvero importante per noi. Credo sia lì la percezione interna del talento, il momento particolarissimo in cui ci si rende conto che si sta facendo la differenza per se stessi.
Se vi dovesse capitare questo tipo di sensazione, fermatevi. Ascoltate.