The myth of the Noble Savage and some unconvenient thruths

When it comes to talking about Africa, there’s a familiar story doing the rounds almost everywhere in Italy. Stop it if you already know it and directly go to the second part of this post.

The African story.

You see, Africa could be the paradise of our world. Without the evil interferences of foreigners and the horrible acts of the multinational companies, our African friends will be free to use wisely their valuable resources and be finally free. The worst of the worst are the European countries, that never stop to crush every hope for the Africans.

Does it sound familiar? Well, this tale is spinning since the ’60s, so I guess that you have heard it before. The subtext is that the white European monsters are the true enemies of the African countries and that before the start of the European colonialism the tribes and the nations of the black continent were in peace, free and happy. Modern-day companies, according to this tale, are no more than another evil scheme to oppress Africans. It’s the old myth of the Noble Savage.

I know for sure that studying history is not the favorite pastime of many people in my country, not to mention the absence of the most fundamental notions of geography, but now and then I like to speak out about this dull notions. You see, I’m getting older and my patience is becoming scarce, think about Einstenium to get the picture.

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France and Africa: a matter of money

The recent hush-hush between Italy and France about immigration from Africa stirred many discussions in the ‘net, with a whole lot of rage and indignation for the harsh words used by the French President and other people related to the French authorities against Italy.

When it comes to Africa and to the complex history between African countries and the former European powers the name of France stands out for a decision made in 1945, right after the Bretton Woods Agreements. They created two brand new currencies, named CFA Franc and CFP Franc, for their colonies with a fixed exchange with the French Franc. The former was created for the African colonies, the latter for the overseas territories (French Polynesia, New Caledonia, Wallis and Futuna). To add a layer of bureaucratic redundancy, CFA Franc was split in West African Franc and Central African Franc.

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The trouble with peace

one-world

After the end of the Cold War we had a number of conflicts with the direct participation of NATO countries, wars and “peace missions” that hardly got any real winner. USA and its allies won every battle on the field but how many of this wars gave us a better world?

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Beneficenza?

L’avvicinarsi del Natale comporta tra le altre cose l’arrivo a diluvio di messaggi pro donazione a migliaia di enti più o meno famosi, più o meno benefici. Sui media testimonial di varia natura si affannano a spiegarci com’é bello sentirsi buoni donando a [inserire ente] o di come sia utile e meraviglioso mandare un SMS da due euro al numero [inserire numero]. Dato che è Natale, non vorrete per caso essere brutti-cattivi-asociali anche in questa occasione, vero?

donate

Sto scherzando, ma solo fino a un certo punto. Se il concetto di beneficenza è assolutamente giusto, è altrettanto vero che andrebbe fatta con un minimo di criterio. Intendiamoci, piuttosto che niente va bene anche mandare un SMS più o meno a caso ma un ragionamento andrebbe fatto, specialmente in questa fine 2012 dove quattro anni di crisi economica durissima hanno lasciato un segno profondo nella società italiana.

Ci sono migliaia e migliaia di ottime cose da sostenere, progetti che coprono qualsiasi interesse filantropico possibile e che spesso sono l’unica risposta disponibile per risolvere dei problemi. Va benissimo, anzi ringrazio alcune di queste realtà per avermi fornito informazioni e/o conferme di cose su cui stavo cercando informazioni. Quello che contesto è il tipo di messaggio. L’equivalenza occidentale=ricco è morta nel 2008 e le campagne basate sul senso di colpa mi fanno solo arrabbiare.

Quello che sta venendo fuori è invece un risentimento astioso, un “prima pensiamo ai nostri” che non appartiene più solo al vocabolario di qualche emulo di Scrooge. Nel momento in cui lo stato sociale sembra essere sul punto di crollare o, peggio, di essere cancellato l’interesse per le attività delle ONLUS in Africa o in Asia crolla in maniera verticale. Organizzazioni come la Caritas o il Banco Alimentare sono sommerse dalle richieste, Emergency ha raccontato di come ai suoi ambulatori in territorio italiano si presentino sempre di più cittadini italiani.

scrooge

Perché devo pensare a quelli là quando in classe di mia figlia c’è chi non riesce a comprare i libri o a pagare la mensa scolastica?” Questa domanda me l’hanno rivolta stamattina e mi sono trovato a non saper rispondere. Mi sembra sempre più assurdo fare confronti di priorità, parlare delle tante persone che campano con meno di un dollaro US al giorno con chi ha paura di essere messo in cassa integrazione o di non riuscire a far fronte al mutuo.

Sulle pagine di questo blog ho recensito il libro di Dambisa Moyo (qui) dove la tesi di fondo era che l’Africa ha avuto troppi aiuti e che deve imparare a cavarsela da sola. Che abbia ragione o meno, è proprio quello che sta per succedere. Un occidente spaventato e impoverito  spenderà sempre meno verso i paesi in via di sviluppo, le sue ONG saranno sempre più impegnate a tamponare i buchi dei welfare state. L’ampliarsi del divario tra chi ha e chi non ha sta agendo come leva in funzione di un distacco sempre maggiore tra il “primo mondo” e il resto del pianeta.

L’unica soluzione a tutto questo è cominciare a far sparire il denaro finto, i triliardi di dollari US virtuali che hanno innescato la spirale finanziaria e che hanno fatto da combustibile per le tante bolle immobiliari che sono scoppiate dal 2008 ad oggi. Riportare le cose alla prospettiva dell’economia reale e accorgersi, una volta per tutte, che il denaro è un mezzo e non un risultato.

Top 5: i libri che vorrei leggere

Una piccola avvertenza: nessuno dei libri presenti nella top 5 esiste, almeno per quello che ne so io al momento. Nel senso che non solo non sono reperibili, ma che non sono mai stati scritti. Mi piace pensare di star pescando nel mare quantico delle infinite possibilità e che qualcuno, da qualche parte, li stia davvero scrivendo. Se pensate che qualche libro recente rientri in quanto descritto nella top 5, per favore fatemelo sapere.

Quinto posto:

una biografia ben documentata, scritta con il necessario distacco e non agiografica, di Edward Teller.

Quarto posto:

un saggio serio sulla fine del colonialismo europeo in Africa, qualcosa che copra dagli anni ’50 agli anni ’70.

Terzo posto:

un saggio serio sulla fine del colonialismo europeo in Asia, periodo però compreso tra il 1900 e il 1970.

Secondo posto:

un solido romanzo ucronico, magari ambientato in Sud America.

Primo posto:

un solidissimo romanzo SF, sottogenere hard SF, pesantemente contaminato dal noir.

Lo so, è una specie di wishlist. Ma perché non sognare?

 

Africa-Cina la lunga marcia

Nel 2009 è finita una lunga marcia, una rincorsa durata decenni. Per la prima volta la Cina è diventata il primo partner commerciale dell’intera area africana, lasciandosi finalmente alle spalle gli USA che a loro volta avevano messo in secondo piano le ex potenze coloniali, Inghilterra e Francia in primis. Da allora questo primato si è consolidato, risultando in pratica in un graduale aumento che va a ridurre il peso delle commesse africane negli affari altrui.

Africa “rossa” quindi? O Cina “nera”? L’interscambio va appunto nei due sensi e la Cina è il maggiore destinatario delle esportazioni in materie prime e semilavorati africani e anche la crisi economica che impera dal 2008 non ha rallentato più di tanto il flusso verso “la fabbrica del mondo”. Il rapporto pare essere sempre più consolidato, al punto da far pensare a molti osservatori che la Cina sia in grado di condizionare quasi tutti i paesi africani nel medio / lungo periodo (ovvero da cinque anni nel futuro in avanti).

Come sempre accade il dato economico influenza l’intero quadro geopolitico e mette davanti tutto il mondo a una situazione dagli sviluppi importantissimi. Se è vero che questo sarà il secolo cinese c’è da dire che mettendo una seria ipoteca sul futuro dell’Africa la Cina ha una serissima possibilità di dominare anche il successivo.  Il tutto senza un approccio diverso dagli altri paesi ma in virtù della forza bruta dei mezzi economici utilizzati e della capacità di essere un unico sistema a livello nazionale ed internazionale.

Tutto questo difficilmente fa notizia sui media italiani, il che rende perplessi se si pensa a quanto le nostre imprese hanno lavorato e stanno lavorando nel continente africano e ai legami strategici delle forniture di petrolio e gas (per non parlare anche di altre materie prime come il platino). Se possiamo sempre contare sulla nostra buffa classe dirigente per robuste quantità di ignavia, stupisce invece che non si facciano sentire gli imprenditori che hanno visto ridursi notevolmente il volume di affari in diversi paesi a favore di aziende cinesi o comunque gradite agli emissari di Pechino.

Nel paragrafo iniziale parlavo di una lunga marcia, termine scontato quando si parla di Cina, ma utile per indicare l’estensione del progetto cinese. I primi trattati commerciali risalgono alla fine degli anni ’50, poco dopo quindi la prima fase del post colonialismo africano. La chiave di volta, ricordo che in quegli anni ci fu il conflitto coreano, è la strategia di contrapposizione sul modello est-ovest della guerra fredda. Quindi più rivolta verso il lato geopolitico che non verso quello sostanzialmente economico. Per intenderci, lo stesso lavoro che stavano facendo l’URSS da un lato e la triade USA-UK-Francia dall’altro.

Negli anni ’60 e ’70 c’è la seconda fase delle guerre di liberazione o dei passaggi di consegne tra potenze europee e stati africani. Anni in cui, malgrado relazioni burrascose con l’URSS e gli altri paesi del Patto di Varsavia, la Cina mantiene e migliora il proprio ruolo in molti stati africani. Una sorta di terza via o di utile contrasto per chi voleva giocare su molti tavoli come Siad Barre in Somalia o Anwar Sadat in Egitto. In questi due decenni la Cina è fortemente impegnata nel sud-est asiatico (Viet Nam, Laos, Cambogia) e il concetto di  supporto fornito / richiesto  ai partner africani è ancora incentrato sul lato geopolitico. Armi, unità di medici/infermieri e consiglieri militari da una parte, appoggio alla Cina in sede internazionale dall’altra (1971, seggio all’ONU per la Cina) .

Sulle armi c’è un discorso supplementare. La produzione cinese è stata in gran parte influenzata dai modelli russi in tutti i comparti fino a tutti gli anni ’80, con l’importante differenza di risultare meno costosa e meno soggetta a vincoli in termini di opportunità politica per la vendita. Con il crollo dell’URSS si sono aperti per i cinesi ulteriori quote di mercato con il progressivo degrado dell’influenza russa in molti paesi. Allo stesso tempo lo sviluppo di una generazione di armi più distante dai modelli russi ha permesso di migliorare anche sotto l’aspetto qualitativo le forniture mantenendo prezzi abbordabili. Già dalla fine degli anni ’80 il naviglio commerciale riconducibile a compagnie cinesi era in grado di coprire qualsiasi spedizione compromettente, alla faccia dei vari embarghi decisi in sedi ONU.

Sempre alla fine degli anni ’80 inizia la svolta della presenza cinese in Africa. Il focus si sposta sul lato economico e sulle necessità finanziarie. In pratica la Cina crea un numero rilevante di entità finanziarie, riconducibili in ultima istanza al bilancio nazionale, per garantire un sistema di prestiti agli stati africani orientati alla realizzazione di opere pubbliche o allo sviluppo delle industrie locali, sempre a condizioni migliori rispetto a quanto proposto dalla World Bank o dall’FMI. Questo è il primo pilastro della presenza cinese, seguito logicamente dal secondo: le opere pubbliche finanziate o lo sviluppo industriale locale avviene per il tramite di imprese cinesi o che operano in accordo con general contractor cinesi. Questo secondo pilastro porta al terzo, conclusivo della strategia: la presenza sul territorio di un numero crescente di cittadini cinesi, destinati ad inserirsi sempre più in profondità nei meccanismi sociali ed economici locali.

Di pari passo a questa strategia progredisce la realtà industriale in Cina e con essa la necessità crescente di approvvigionamento di materie prime e semilavorati. Questo porta a un incremento del traffico mercantile nelle due direzioni e nell’ampliarsi della bilancia commerciale tra i paesi partner e la Cina. Questo ci porta fino al nuovo millennio, con i meccanismi sopra descritti presenti nella maggior parte dei paesi africani. Stiamo parlando di iniziative che ogni anno vedono in gioco miliardi di dollari solo per gli interessi dei prestiti e che hanno consentito alla Cina di diversificare l’approvvigionamento di petrolio in maniera molto più articolata rispetto ai paesi europei o agli USA. Non sono stato in grado di trovare cifre certe sulla presenza di personale cinese nei paesi africani o, di contro, sull’emigrazione dall’Africa verso la Cina. In entrambi i casi si fa riferimento a cifre nell’ordine delle centinaia di migliaia ad essere prudenti.

Ultimo fattore, il livello di considerazione politica che garantisce la Cina ai suoi partner africani. Alle consuete missioni commerciali e industriali si affiancano numerose occasioni in cui i più alti livelli del governo cinese si recano in Africa o ricevono i capi di stato a Pechino. Se si considera che molti leader africani spesso non hanno un vero e proprio riconoscimento ad alto livello e ancor meno visibilità internazionale avere un rapporto del genere con la prossima superpotenza mondiale diventa un fattore in più di fidelizzazione. I rapporti della Cina con le istituzioni internazionali, dall’ONU in giù, sono tali da consentire di non avere il minimo problema a sostenere personaggi come Robert Mugabe e Omar al-Bashir.

Dato questo quadro generale, si può parlare di una forma di colonialismo moderno? Difficile pensare che le nazioni che hanno contratto forti debiti con la Cina e/o hanno al loro interno una forte presenza commerciale o industriale cinese possano decidere di svincolarsi dai loro rapporti senza rischiare conseguenze pesanti. Non è il debito il fattore più rilevante. Negli ultimi dieci anni i cinesi hanno azzerato molti debiti inesigibili, anche sulla spinta internazionale delle campagne per lo sviluppo africano, possono senza dubbio permettersi anche di assorbire perdite importanti. Quello che fa da deterrente è la dipendenza dalle aziende cinesi, spesso le uniche in grado di controllare in maniera efficace le infrastrutture. Anche la crescente importanza delle reti di telefonia mobile in Africa è fortemente dipendente dall’impiantistica realizzata da manodopera cinese.

Difficile quindi immaginare una crescita futura dei paesi africani senza la partnership cinese, in tutti i settori. I paesi europei non sono in grado di agire in maniera adeguata, l’influenza americana si è molto ridotta e quella russa è ai minimi termini. L’unico vero problema può essere dato dalle influenze religiose di stampo islamico, non a caso sostenute da ingenti masse di denaro dai paesi dell’area del Golfo Persico. Tuttavia l’adesione al lato più radicale della Jihad è molto limitata e può al più essere problematica nell’area del Corno d’Africa e nell’area nigeriana. Ai cinesi potrebbe bastare aspettare, continuando nel frattempo a fare affari e penetrare sempre più a fondo nei ceti medio-alti dei paesi africani.