Continuiamo il viaggio tra le repubbliche post sovietiche, puntando verso sud. Dopo Bielorussia e Ucraina è il turno della Georgia. O almeno, di quello che ne rimane. Il destino di questo piccolo paese è particolarmente incerto, così come è stata travagliatissima la sua storia recente.
A partire dal 1991 ci sono stati nell’ordine: un colpo di stato tra la fine del ’91 e l’inizio del ’92, un periodo di guerra civile tra il ’92 e il ’95, conflitti con le regioni dell’Abkhazia e dell’Ossetia del Sud a partire dal ’95, una rivoluzione pacifica (detta delle rose) nel 2003, una crisi con la regione dell’Ajaria nel 2004, una guerra con la Russia nel 2008 che ha comportato de facto la perdita di sovranità delle regioni già citate dell’Abkhazia e dell’Ossetia del Sud.
E’ una situazione che ha pochi paragoni e credo non stupisca constatare come tanti georgiani abbiano finito con l’emigrare in cerca di lidi più pacifici, così come rimane evidente come la vicenda georgiana si vada ad inserire nel più ampio contesto delle turbolente regioni del Caucaso, Cecenia in testa, che tanto hanno contribuito all’instabilità della Russia post comunista. Il fattore migratorio è stato importante anche sul piano interno, i conflitti sopra citati hanno comportato l’espulsione di centinaia di migliaia di persone da e per i territori contesi con tutte le conseguenze del caso. Non è esagerato sostenere che lo sviluppo di questa nazione sia stato fortemente condizionato da questi fattori.
Si può attribuire in buona parte al prestigio personale e alle buone relazioni internazionali di Eduard Ambrosis dze Shevardnadze (ex ministro degli esteri dell’URSS) se da subito la Georgia è entrata nella sfera di influenza statunitense, il che può essere considerato nel bene e nel male come il punto dirimente di molte vicende successive.
La Russia post sovietica poteva davvero tollerare di avere uno stato potenzialmente ostile ai suoi confini, soprattutto in prossimità della zona del Caucaso? Quanta parte hanno avuto i georgiani nel periodo 1992-2003 nell’assistere una o più delle fazioni cecene?
E ancora, era solo la voce della paranoia quella che suggeriva ai russi di temere che tramite la Georgia gli Stati Uniti veicolassero armi e consiglieri militari sul modello di quanto fatto in Afghanistan durante l’occupazione dell’URSS?
In ogni caso la risposta russa non si è fatta attendere a lungo. Una volta recuperata la stabilità interna i programmi di assistenza alle fazioni ribelli in Abkhazia e nell’Ossetia del Sud sono diventati massicci, così come la sponda diplomatica e l’uso pesante dei media (accusando i georgiani di atrocità di ogni genere, senza che le organizzazioni internazionali trovassero evidenze).
L’obiettivo era preparare il terreno per un intervento diretto delle forze armate russe, cosa puntualmente avvenuta nel 2008 per stroncare sul campo qualsiasi velleità del presidente Mikheil Saakashvili. Interessante notare come si sia scelto di forzare la mano all’Occidente in corrispondenza del cambio di presidenza negli USA, ritenendo probabilmente che sia il presidente uscente (George W. Bush) che l’entrante (Barack H. Obama) non volessero correre troppi rischi di escalation con i macelli dell’Iraq e dell’Afghanistan in piena ebollizione.
La posizione georgiana rimane peculiare; hanno fatto richiesta di ammissione alla NATO, impegnato uomini in Iraq (una presenza simbolica ma molto pubblicizzata), preso misure importanti per aprire il più possibile agli investitori stranieri con ampia preferenza per quelli di provenienza statunitense. Tuttavia una parte significativa della cittadinanza appoggia i partiti politici che vogliono invece riavvicinare il più possibile il paese alla sfera di influenza russa. Per una giovane democrazia come quella georgiana non è certo semplice portare avanti una politica di sviluppo in una situazione come quella sopra descritta.
Un vantaggio sostanziale potrebbe derivare proprio dall’intensa attività diplomatica che ha portato in breve tempo a stringere relazioni commerciali con i paesi vicini, in particolare con la Turchia. Il forte programma di riforme di Saakashvili e il massiccio apporto di investimenti ha migliorato molto l’economia locale, arrivando de facto a sovracompensare quanto perso come risorse e PIL dalla scissione delle regioni ribelli. Ne deriva che il quadro generale sia positivo anche in questi anni di crisi economica mondiale anche se i ritmi di crescita sono ovviamente rallentati. E’ ipotizzabile che la Georgia arrivi in breve tempo all’adesione a pieno titolo alla NATO, il che potrebbe costituire un potente viatico per l’adesione alla Comunità Europea.