Hurrah per l’Islanda

Nota per i naviganti: per l’intero mese di ottobre 2011 tutti i post di questo blog riporteranno come prima parte queste righe per ricordare che è possibile votare per il concorso SF qui fino alle 23.59 del giorno 31 di questo mese. Modalità di voto e lista delle proposte sono contenuti nel post linkato.

 

Ve lo ricordate il crac dell’Islanda? Il primo paese europero occidentale a saltare per aria all’inizio della crisi economica globale, l’ex isola felice dove avevano speculato tutti a partire dai maggiori istituti di credito inglesi e tedeschi. A quanto si apprende da Repubblica il paese è sul punto di essere considerato ‘guarito’, l’economia è tornata a crescere, l’occupazione pure, il sistema locale di welfare ha sempre retto il bastione impedendo una crescita incontrollata della pressione sociale.

Non posso che esserne contento, intendiamoci. Ho sempre avuto simpatia per questa mini nazione da 320.000 abitanti, priva di forze armate e con una storia interessantissima. Difficile per me anche non tenere conto del fatto che le ridotte dimensioni della popolazione la rendono quanto di più simile possibile a una democrazia diretta.  Ma, nei miei articoli c’è sempre un ‘ma’, gli islandesi sono riusciti a risolvere i loro problemi grazie a due fattori. Il primo è un’economia rimasta sana nei fondamentali, il secondo l’aver sigillato cinque miliardi di euro di debiti verso istituti stranieri chiudendo le tre maggiori banche del paese e trasferendo d’ufficio i depositi dei cittadini in tre banche create da zero per garantire la liquidità.

Il resto l’ha fatto un prestito miliardario dalle casse dell’FMI, da quello che ho capito in via di estinzione. Adesso il governo islandese si sta per presentare alla comunità europea per avviare il processo di adesione all’euro con lo scoglio dei citati cinque miliardi da evitare. Le banche creditrici che per ora hanno dovuto inscrivere quei crediti come perdite stanno facendo pressioni perché si pervenga a una soluzione negoziale che faccia loro recuperare la maggior parte della cifra, idea fermamente respinta dal governo islandese.

La strategia dell’Islanda NON è replicabile da nessuno dei paesi in crisi. Questa è la cattiva notizia. Portogallo, Grecia, Irlanda, Spagna e Italia hanno masse di debito pubblico tali da impedire un assorbimento dello shock da mancato pagamento conseguente a un default e/o dal blocco dei debiti verso l’estero. I sistemi bancari dei paesi citati inoltre sono troppo interconnessi con le altre realtà europee, il che innescherebbe un effetto domino insostenibile. Quindi non abbiamo trovato l’uovo di Colombo per chiudere una volta per tutte la crisi apertasi nel 2008.

A costo di essere noioso, torno a sostenere la necessità di un accordo per tagliare i debiti sovrani, ormai nella direzione di diventare insostenibili anche per i paesi con rating AAA. Una discesa controllata e ben gestita, figlia di un accordo internazionale importante come quello di Bretton Woods, potrebbe essere l’unica via d’uscita per tornare a un sistema economico ripulito dai titoli spazzatura e da masse di denaro virtuale utile solo agli speculatori.

Uscire dalle macerie

Cosa si fa quando crolla un modello socio-economico? Come si reagisce a un cambio di paradigma in grado di condizionare l’economia mondiale? A mia memoria, correggetemi se sbaglio, non è mai accaduto che un modello sistemico arrivasse ai suoi limiti come sta accadendo negli ultimi anni.

A partire dal 2008, con l’inizio della presente crisi economica mondiale, abbiamo visto sbriciolarsi tutte le certezze, i pochi capisaldi su cui si ancorano le convenzioni che regolano i mercati internazionali. Se poteva essere prevedibile un downgrade del rating sul debito americano dato l’enorme deficit e il costo di due guerre disastrose, se si poteva indicare all’interno dell’area euro un insieme di paesi deboli per ragioni strutturali e infine se poteva essere messa in conto una maggiore instabilità politica nell’area del Medio Oriente, nessuno comunque aveva previsto uno scenario in cui si verificassero tutte queste cose contemporaneamente. Per tacere del Giappone, colpito al cuore dal disastro combinato di un terremoto, di uno tsunami e della contaminazione nucleare.

Per essere chiari, se il sistema euro crolla tutto quello che abbiamo visto fino ad ora della crisi economica diventerà una sorta di antipasto. Non esistono aree economiche che possano dirsi al sicuro da un impatto del genere. Se l’euro svanisce il sistema di interscambio commerciale e valutario di questo pianeta salta per aria data l’importanza che ha assunto questa valuta e il peso delle economie che vi si riconoscono.

I metodi tradizionali applicati dalla BCE, le misure contenute nei programmi dell’FMI o le teorie degli economisti si stanno dimostrando non in grado di far fronte alla crisi e pensare di scaricare tutto il peso del fallimento sulle classi meno abbienti ha effetti devastanti sul quadro sociale.  A differenza degli anni ’70 del secolo scorso questa volta non ci saranno i partiti di sinistra e/o i sindacati a contenere lo scontento popolare, potremmo assistere a veri e propri crolli istituzionali in mezza Europa. C’è qualcuno che pensa di poterselo permettere?

L’unica leva utilizzabile è quella del debito pubblico. Non però nel senso di espandere i deficit senza controllo o di ammettere indiscriminatamente i default nazionali. Significherebbe distruggere il sistema bancario, altra cosa che non possiamo permetterci. Come già esposto nell’articolo precedente si può decidere di abbassare in maniera concorde questa massa di denaro virtuale alleggerendo la pressione che insiste sui bilanci nazionali senza depauperare in maniera insostenibile le banche che possiedono la gran parte di questi titoli.

Tagliare una quota del 5% conviene a tutti. Anche ai paesi più virtuosi. L’alternativa tra cui scegliere è tra avere una montagna di crediti inesigibili e una massa sempre molto grande di denaro concreto. Ci vorrebbe un accordo internazionale, una seconda Bretton Woods, per mettere a confronto le banche centrali dei paesi parte del G20 (le sole in grado di agire in maniera incisiva).

Meno debito uguale meno interessi. Meno debito uguale meno emissioni di titoli. Meno debito uguale fare abbassare il ricorso ai CDS. Meno debito uguale tagliare gli artigli agli speculatori.

Siamo al momento delle proposte e non a quello dei lamenti. Questo potrebbe essere un uovo di Colombo in grado di riportare la gestione dell’economia entro binari accettabili.