Italy as a business opportunity

This week will be about italian economy, with a focus about some worrying factors or trends that are under way.  There’s a basic statement to do: due to the current economic crisis, Italy offers very good investments options with a fair range of prices. Name a business sector or a specific activity, I’m almost sure you will find what you need for sale.

Bureaucracy

As an investor you have to be smart and be sure about all the concurrent issues about your project. You have to consider bureaucracy for instance; it’s always a problem and in Europe you will need to remember that there are at least three levels of bureaucracy: local, national and european. The problem is that sometimes that three different levels collide, with uncertain results. So, the first move is to hire an italian law firm, better if it’s located in the same place you want to invest.

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The second step is about financial coverage. In Italy the words “credit crunch” have become a kind of barrier, even for little operations or for everyday money transfers. The biggest banks are dominant and not a lot open to consider new business so it’s a wise move to explore if there are medium or little bank operators located in the place you want to invest. A medium or little bank is often more costly but it can be  far more flexible to accommodate your special needs and/or to put your business in relation with local authorities or local companies.

If  you want to start a new business or acquire an old one it’s better to think about local taxes. In Italy there is a very complex set of laws and rules about national and local taxes (that’s a good reason to hire an italian consultant), a number of areas in the country got a set of special instruments to use, that could mean a heavy local tax cut for years and/or access to special financial loans. Using a bit of diplomacy you could set up fair conditions for your business with minimum extra effort.

It’s better to avoid direct business relations with politicians, no matter how high they are placed in local or national government. In the last twenty years we got a lot of major scandals related to politics and more are on the way. I strongly suggest not to barter short-time advantages with medium-time issues with the law. Once you enter in an italian tribunal you have no idea about when your troubles will be over, with all the legal expenses to be paid year after year.

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For a more easy access to the Italian market look for the Italian bonds. They still got interesting prices and good rates for the medium period. Stay away from the stock market but keep a close eye about chips like ENI or other state-controlled companies. Look for the few that are considering foreign markets to debut, like Ferragamo in the 2012, or for the spin-off companies from the likes of Pisa University (robotics and such). For long-term investments consider real estate, Italy is one of the few countries where you can buy a real castle or similar high-prestige buildings.

Le tre monete

Una delle novità più rilevanti della rete 2.0, quella attuale dominata dai social network e della ricerca dell’interattività, è la conferma di un tendenza pre esistente: l’utilizzo di tre diversi tipi di “monete” per fare business.

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Soldi, carta e bit

Questo è un paese buffo, dove il concetto di passato sembra non riuscire ad attecchire. Ogni volta che si presenta un qualsiasi cambiamento sorgono le stesse resistenze, si esprimono gli stessi argomenti per combattere battaglie di retroguardia totalmente inutili, per lo più basate su preposizioni espresse come assiomi matematici che si vogliono essere indiscutibili.

E’ pienamente comprensibile esprimere dissenso o proporre alternative ma non sarebbe male farlo con qualche argomento logico o almeno dopo aver svolto il minimo sindacale di ricerca. Mi riferisco alla discussione assurda che dura da mesi sull’inesistente guerra tra libri in formato cartaceo versus ebook. Viene teorizzato uno scenario apocalittico che porterebbe alla scomparsa dei supporti cartacei, alla rovina di tutte le librerie, al crollo fragoroso dell’industria editoriale fino alla “sicura” scomparsa della cultura della parola scritta data la “nota” inaffidabilità dei supporti informatici.

La discussione parte quindi da uno scenario di povertà intellettuale sconfortante, probabilmente frutto di quell’istinto per la polemica che affligge gran parte dei nostri connazionali. Verrebbe anche da mettere in stretta relazione i fattori culturali noti, tipo lo scarso livello di istruzione riscontrato ai test rispetto alla media europea e il bassissimo livello di lettori forti certificato più volte dall’ISTAT, con questo continuo vociare sui social network e nella blogosfera.

Vediamo di dare uno sguardo al recente passato, esercizio utile quando si vuole fare analisi su cambiamenti che presentano forti similitudini. Qualche anno fa il mondo della musica commerciale si trovò ad affrontare il primo vero salto tecnologico, ovvero il diffondersi di supporti magnetici a fianco della tradizionale versione su vinile. Ho abbastanza anni da ricordare una serie di polemiche sulla purezza del suono, su come si perdesse una parte dell’esperienza artistica (!) con il passaggio sui compact disc e infine come il suono risultasse non riprodotto correttamento oltre i 20.000 Hz (frequenza peraltro non alla portata della stragrande maggioranza degli esseri umani). Ve lo ricordate?

Dietro queste diatribe c’era una guerra commerciale di grande portata con due multinazionali, Sony e Philips, impegnate a promuovere i propri prodotti per conquistare un mercato dal potenziale economico impressionante. Per chi non lo ricordasse alla fine vinse l’azienda giapponese con i rivali olandesi parzialmente compensati con la cessione e la gestione dei brevetti. Sempre in quegli anni ci fu il conflitto sui formati delle videocassette, VHS versus Betamax, che vide trionfare il formato tecnicamente peggiore per questioni del tutto commerciali.

In tempi più recenti è arrivata la seconda rivoluzione, quella del formato digitale. Nel pieno boom della Rete, la prima vera fase di espansione di internet, la comparsa dei formati alternativi al supporto fisico trovò un’industria del tutto impreparata e la totale inadeguatezza delle norme sui copyright e il commercio elettronico.  Il risultato finale, ormai lo possiamo vedere bene, è che l’industria è stata fortemente ridimensionata nel suo ruolo di gatekeeper del mercato, che gli artisti hanno acquistato un ruolo più importante nelle scelte commerciali e che il segmento retail (i negozi e le catene commerciali) ha pagato il prezzo più alto con la scomparsa di molti punti vendita. L’ultimo sviluppo ha dimostrato come una buona proposta su YouTube, se sostenuta via social network, sia in grado di affermarsi su scala globale scavalcando del tutto qualsiasi forma di intermediario tradizionale.

Si può affermare in sintesi che l’industria musicale dal 1982 al 2012 sia cambiata enormemente. Il mercato è rimasto, muove miliardi di dollari ogni giorno ed è diventato più accessibile. Nel frattempo le nicchie di mercato rimangono e godono di buona salute. C’è chi produce dischi di vinile e chi non ha nessun tipo di supporto fisico, accedono allo stesso mercato e prosperano senza danno alcuno per i clienti. Il pubblico è quello che ha tratto più vantaggio dal cambiamento; i lettori MP3 e i loro successori sono diffusi a basso costo in tutto il mondo e l’offerta per chi accede alla Rete è vastissima, spesso con un buon rapporto tra qualità e prezzo.

L’editoria ricorda da vicino la posizione dell’industria musicale del 1982. E fuori dai nostri angusti confini si sta già adattando da parecchi anni al salto tecnologico dal momento che non ci si può sottrarre a questo tipo di evoluzione.  Quello che cambia non è solo il mezzo che si usa per leggere ma un intero paradigma di mercato.  E’ in discussione il ruolo di gatekeeper degli editori, l’esistenza della filiera di distribuzione, il destino del segmento retail. Esattamente come per il settore della musica. L’affermarsi di player internazionali come Amazon sta costringendo le aziende italiane ad adeguarsi per rimanere presenti sul mercato, ad evolvere il loro modo di fare affari. E’ la stessa cosa, con qualche anno di ritardo.

Nessuno vuole eliminare i libri cartacei, così come nessuno voleva eliminare i dischi in vinile. Continueranno ad esistere, almeno fino a quando non smetteremo di utilizzare la carta per passare a qualcosa di altrettanto duttile (non esistono materiali del genere ad oggi ma c’è chi ci sta lavorando). Il vero problema è nelle abitudini di consumo e la storia recente ci insegna che è questione di pochi anni per avere la transizione che al di là delle Alpi è già avvenuta. Queste forme di resistenza culturale, peraltro immotivate, sono indice di rigidità mentale, di paura del nuovo.

Se davvero ci sono tutti questi difensori del libro-di-carta, come mai i dati dell’ISTAT ci mostrano un calo di lettori? Come mai le librerie sono quasi sempre deserte? Come mai ci sono così poche famiglie che hanno un numero decente di volumi in casa? Dove sono queste torme di appassionati quando vengono presentati i nuovi libri o quando si fanno eventi per promuovere la lettura?