Populismo e crapula

Avete mai visto cosa succede quando una pentola abbandonata troppo a lungo sul fuoco straborda? E’ l’immagine che continua a venirmi in mente in questi giorni, scatenata in primis dalle cronache relative ai vizi dei consiglieri della regione Lazio e alla loro insaziabile fame di denaro. Al di là di quanto sia effettivamente rilevante sul piano penale, materia di cui si occupano le procure di Roma e Viterbo, sono le tipologie comportamentali ad interessarmi.

La figura da commedia all’italiana del politico arraffone era già nota dal dopoguerra, così come si conosce da tempo come vizi e potere si accompagnino spesso e volentieri. Quello che è crollato è il limite del rendere pubblico tutto, l’ostentazione di ogni sfarzo e di ogni sfizio. Sono abbastanza vecchio da ricordare certi personaggi della DC romana, tipo Vittorio Sbardella “Lo squalo” e altri loro epigoni in altre zone d’Italia e non mi stupisce come abbiano trovato degni eredi.

I politici della prima repubblica, diciamo prima dell’inchiesta “Mani pulite”, tendevano a minimizzare, a negare ad oltranza ogni addebito, a rifugiarsi in “non so”, “non ricordo” anche di fronte alla più completa evidenza. L’attuale generazione ha cambiato costume, si compiace di rimarcare come abbiano le loro esigenze, di come lo stress li costringe a rilassarsi in modo così pacchiano. Il motto è diventato “ma anche gli altri fanno lo stesso”, la bandiera del benaltrismo e del ridurre l’intera classe dirigente allo stesso marasma.

Le stesse persone, dopo aver calpestato qualsiasi istituzione, si lamentano poi della disaffezione verso i partiti, delle proteste, parlano di antipolitica e del conseguente affermarsi di fenomeni come il movimento di Beppe Grillo. Si sono bruciati i ponti alle spalle, hanno sparso sale sulle rovine e ti guardano, belli pimpanti, dagli schermi televisivi, pronti a borbottare oscure spiegazioni contabili e a urlare sulla voce dei loro interlocutori per non fare capire nulla a chi ancora li segue sul piccolo schermo.

Ad aiutarli, in questa progressiva demolizione del nostro paese, siamo proprio noi. Non solo perché li abbiamo votati o perché ci ostiniamo a credere che sia comunque necessario avere delle istituzioni che regolino la vita comune. Li aiutiamo perché al massimo aderiamo a proclami sui social network o mandiamo qualche cinguettio iroso / sarcastico. In piazza non ci andiamo più. A rischiare il confronto con le forze dell’ordine ci vadano gli altri, non abbiamo tempo neppure per scrivere uno striscione.

Questo naturalmente finché non veniamo toccati anche nel nostro privato. Se la nostra isoletta di tranquillità viene violata o messa a rischio allora ci agitiamo, ci muoviamo. Piccoli gruppi, facilmente isolati, negati dai media e ridotti a più miti consigli con la semplice applicazione dell’indifferenza. Tutti nei propri angolini a sentirsi miserabili e a sognare un improbabile futuro in cui l’intera popolazione si solleverà per abbattere la classe dirigente.

Divide et impera”, massima attribuita a Caio Giulio Cesare, è da molti anni il mantra di chi vuole detenere a lungo il potere. Ha funzionato e sta funzionando benissimo. Tutti dietro al nostro computer a mettere “like”, cercando di non pensare alla disoccupazione in crescita e all’economia che peggiora. Tutti con il televisore acceso, i film scaricati per vie traverse, gli ISEE mantenuti bassi per pagare meno i servizi pubblici e il lavoretto in nero per pagarsi i vizi. Siamo poi così diversi da chi critichiamo? Davvero? O il benaltrismo ha vinto la sua partita, mettendo fine al concetto di repubblica?

Tra sindacati nazionali che si reggono su tessere fantasma e bilanci sospetti, partiti ridotti ad aggregazioni affaristiche e movimenti dall’agenda fumosa c’erano rimasti solo i simboli delle istituzioni nazionali a cui aggrapparci per trovare un minimo di solidità. La presidenza della Repubblica, la magistratura, le forze dell’ordine. Esattamente i tre bersagli di vent’anni di delegittimazione, oggetto di bordate di fango (per non dire di peggio) da media asserviti e frange più o meno estreme (e manovrate) della politica. Ormai dovremmo togliere il verde e il rosso dalla bandiera e lasciare solo il bianco. Peccato sia talmente sporco da non essere più distinguibile, il che lo rende perfetto come vessillo del populismo che si è fatta sempre più strada nel nostro vivere comune.

Da dove siamo ora abbiamo due scelte. Se davvero tutti sono parte dello stesso calderone allora possiamo solo scegliere di far parte dell’orda e appropriarci di qualcosa, di qualsiasi cosa, prima che tutto crolli. Se invece c’è ancora la speranza che qualcuno di noi italiani possa rimettere le cose in carreggiata, allora possiamo scegliere di sostenere queste persone e spingere, davvero spingere, per cambiare le cose. Magari anche uscendo di casa per incontrare altri come noi, per dimostrare che c’è un’alternativa al mugugnare dietro uno schermo. Tutte le piccole solitudini che abbiamo intorno a noi sono persone. Che hanno paura come noi, che tirano avanti ogni giorno sospirando come noi.      

Dopo Roma

Nota per i naviganti: per l’intero mese di ottobre 2011 tutti i post di questo blog riporteranno come prima parte queste righe per ricordare che è possibile votare per il concorso SF qui fino alle 23.59 del giorno 31 di questo mese. Modalità di voto e lista delle proposte sono contenuti nel post linkato.

 

Ho pensato a lungo prima di scrivere questo post, l’idea era non farsi trascinare dai disordini di Roma e non cedere spazio all’emotività. Ora più che mai occorre ragionare.

Le manifestazioni contemporanee dei cosidetti ‘indignados’ sono state un successo su scala planetaria, non si vedeva niente del genere dai primi anni ’90 e l’impressione di base, fortissima, è che siamo ancora alla fase iniziale della protesta. Quei cartelli, ‘siamo il 99%’, sono qualcosa di più di uno slogan e danno meglio di altre cose l’idea della portata a cui si potrebbe arrivare se non si trovano soluzioni a questa crisi economica. Da notare che ci sono stati fior di cortei anche in paesi non in crisi nera, segno evidente che la preoccupazione per questo modello socio-economico arrivato al capolinea è trasversale anche rispetto al reddito pro capite e ai livelli di occupazione.

Non ci sono leader riconosciuti, non c’è una piattaforma formale di rivendicazione da discutere. Questo è il lamento dei politici, in Italia e fuori, di fronte a queste dimostrazioni. Questa è la contrapposizione plateale tra vecchio e nuovo sistema. Non riuscire a confrontarsi perché non ci sono leader. Non poter trattare perché non ci sono garanti dall’altra parte. Si cerca di affrontare con la logica degli anni ’70 fatti e istanze del 2011. Questo è un errore catastrofico.

Con queste proteste, come già accaduto quest’anno con le rivoluzioni arabe, la Rete trova una sua legittimità sociale. Torna a un ruolo di servizio, messo in ombra fino ad ora dal dilagare della pornografia e dal ciarpame (spam-schemi truffa-pubblicità occulte). Una strategia comune a quasi tutti i gruppi è quella di essere presenti 24/7 sui social network, sui blog, su tutte le finestre di contro informazione. È impossibile anche solo pensare di impedire il diffondersi del loro materiale. Oscurare la Rete e/o il sistema di telefonia è diventato proibitivo anche in paesi come Cina o Iran.

I ranghi della protesta aumentano ogni giorno. Ogni decimale di punto  in meno del tasso di occupazione, ogni impiego precario, ogni diritto negato ampiano il numero delle persone che questo sistema economico sta emarginando. È un vero e proprio tradimento, un furto di futuro inimmaginabile pochi anni fa. E nei paesi più a rischio economico, tra cui l’Italia, questo meccanismo rischia di deragliare.

La magistratura chiarirà le dinamiche dei fatti di Roma. Mi auguro con il decisivo apporto di tutti quei manifestanti pacifici che hanno fotografato i violenti, che li hanno filmati o registrati. Anche questo è un cambiamento notevole. Se è vero che è impossibile filtrare a priori chi voglia inserirsi in una manifestazione pacifica con intenti bellicosi, è altrettanto vero che si può identificare con buona sicurezza molti di loro e metterli nelle mani degli investigatori. Suggerisco anche di metterli in Rete appena possibile, con tanto di nomi e cognomi.

Che questa società sia ingiusta e attraversata da privilegi di stampo feudale lo sanno tutti, che la cosa pubblica sia gestita spesso in modo criminale non stupisce nessuno. La risposta violenta non fa altro che armare la mano di chiunque chieda repressione su larga scala. Cui prodest?

Ci sono resoconti di prima mano di manifestanti pacifici che parlano di strane manovre, echi delle tattiche degli anni ’70 a base di infiltrati e di gente manovrata come burattini per tagliare la gambe alla protesta. Sento evocare gli spettri amari di Cossiga e di Scelba, di settori deviati dei servizi segreti e di branche delle forze dell’ordine che agiscono sotto il controllo di questo o quel politico. Può darsi che sia così. Sono cose già viste nel nostro paese.

Contrastare queste frange richiede una strategia molto diversa da quella in corso di applicazione. Non sto parlando di leggi speciali o di arresti preventivi. Se davvero lo si volesse si potrebbe gestire lo scontro di piazza in maniera estrema, cosa che farebbe esattamente il gioco di chi spera di scatenare una battaglia senza quartiere. Bisogna affidarsi a un’opera di intelligence e tracciare la rete di contatti che hannomesso in piedi fino a comprenderla e penetrarla. Il resto lo si fa seguendo le norme attuali, più che sufficienti.

La fine delle ideologie del ‘900, la successiva scomparsa dei partiti di massa di sinistra e il diluirsi del ruolo delle organizzazioni sindacali ha tolto il blocco organizzato che garantiva il corretto svolgersi delle azioni di protesta e non si vede all’orizzonte chi possa pensare di riempire questo ruolo in futuro, almeno nel nostro paese. Quindi sta a una pletora di soggetti diversissimi organizzarsi e trovare il modo di agire per conservare la capacità di protestare per portare avanti le proprie idee.

Non so dire come si svilupperanno le cose in futuro ma di una cosa sono certo; finché non si troverà la maniera di alleviare il peso della crisi sulle popolazioni queste proteste non solo non cesseranno ma troveranno sempre nuovi modi di essere espresse. Chi come noi ha una classe dirigente vecchia e per larghe parti inadeguata è destinato a pagare il prezzo più alto. Bisogna favorire a tutti i costi un ricambio totale, accettando anche di sacrificare qualche personaggio di grande spessore pur di ottenere il risultato.

Lasciamo al loro ruolo gli imprenditori, mettiamo in primo piano i civil servant che sono la spina dorsale della nostra nazione. Persone normali, dotate dei mezzi intellettuali per capire le sfide che hanno davanti e della dignità che serve per mettersi al servizio dello Stato. Ci sono ancora, basta ascoltarli.