Uzbekistan, il pugno di ferro

Dopo il Kazakhstan scendiamo ancora verso sud e troviamo l’Uzbekistan, passando in un paese con problemi ben più gravi. Se Nazarbayev può essere definito un despota, l’unica parola adeguata per definire Islom Abdug‘aniyevich Karimov è dittatore. Presidente del paese fin dagli albori dell’indipendenza del 1991 (eletto con l’86% dei voti) non ha mai abbandonato la carica. Rieletto nel 2000 con oltre il 90% dei voti, ha fatto emendare la costituzione per estendere il proprio mandato e garantirsi de facto la presidenza a vita dato il controllo esercitato dal suo governo sulla vita politica del paese.

L’Uzbekistan avrebbe tutto per essere una nazione benestante, se non ricca. Poco meno di trenta milioni di abitanti e una ricchezza notevole di risorse naturali (oro, uranio, petrolio, rame, gas) assommati a una posizione geografica che consente di rivolgersi sia al mercato cinese che a quello europeo.  Altra voce forte per l’export arriva dal cotone anche se in questo caso l’uso di manodopera minorile ha comportato azioni di boicottaggio da possibili compratori occidentali. Il punto debole arriva dalla corruzione. I profitti, enormi, finiscono nelle mani dell’elite e del clan del presidente, il tutto tramite un filtro di burocrazia di vecchio stampo sovietico che riesce a coniugare inefficienza e rapacità.

Il forte controllo statale e un generale senso di ostilità verso interlocutori “forti” ha comportato un basso tassi di investimenti dall’estero, deprimendo i volani economici interni di sviluppo sia in termini infrastrutturali che di creazione di imprese private. Il modello economico rimane quello centralizzato, ben poco non è direttamente in mano allo stato. Con il crescere dei prezzi delle materie prime tuttavia il potenziale di crescita economica rimane molto alto. Difficile però pensare che si possano fare grossi passi avanti senza alterare il modello sopra citato, manca la volontà da parte della classe dirigente.

Al quadro economico è d’obbligo affiancare il difficilissimo quadro sociale interno. Decenni di feroce repressione contro gli avversari politici e contro qualsiasi formazione di matrice islamica hanno lasciato nel paese fortissime tensioni. La contraddizione è evidente, il 90% dei cittadini si dichiara in qualche forma di fede islamica e le azioni durissime contro i partiti o i movimenti della stessa ispirazione stride. Va anche aggiunto che il governo locale ha mascherato alcune di queste azioni come operazioni anti terrorismo, atteggiamento che ha fatto breccia durante l’amministrazione Bush. Tuttavia episodi estremi come il massacro di Andijaan nel 2005 hanno mostrato chiaramente come il governo non esiti a massacrare centinaia (se non migliaia) di persone se messo di fronte a proteste di piazza.

Gli USA hanno parecchie responsabilità in questo paese. Per poter stabilire una loro base a Karshi-Khanabad nel periodo 2001-2005, utile per la guerra in Afghanistan, hanno come minimo ostacolato ogni tipo di pressione diplomatica o economica sul governo locale rendendo chiaro che i diritti delle popolazioni locali contano meno di zero di fronte alle campagne militari. In ogni caso l’eredità di sfiducia nei confronti dell’Occidente durerà a lungo, così come il ricordo dei massacri. Difficile a questo punto ipotizzare a breve sviluppi positivi nell’evoluzione del quadro politico locale.

Per il futuro c’è da tenere presente la figlia del dittatore, Gulnara Karimova. Tutrice dei numerosi investimenti della famiglia sia all’estero che nel paese, titolare in prima persona o attraverso società di comodo di asset significativi, pare poter aspirare a un ruolo di primo piano nel presente e nel futuro dell’Uzbekistan. Non è da escludere che una volta defunto il dittatore possa contrapporsi a un altro personaggio dato in forte ascesa.

Si tratta di una sorta di successore designato, Akbar Abdullaev, nipote della moglie del dittatore e a quanto pare massimo esponente del crimine organizzato locale. Pare che non ci sia traffico che non passi dalle sue mani e che abbia come passatempo il vantarsi degli omicidi che avrebbe commissionato, almeno stando a quanto messo in Rete dagli oppositori del regime.

Chiaro a questo punto come il prossimo futuro dell’Uzbekistan sembri fosco quanto il presente. La futura transizione del potere, non troppo distante nel futuro data l’età del dittatore, aprirà una stagione di grandi incertezze. La stabilità locale preme a tutti i suoi potenti vicini e partner commerciali, non ultima la Cina che da queste parti ha investito in maniera massiccia nell’industria estrattiva locale e nella produzione di idrocarburi. L’amministrazione Obama da queste parti ha ben pochi interessi e di politiche europee qui non s’è mai praticamente avuto sentore. E’ probabile a questo punto che ci sia un periodo limitato di instabilità fino al prossimo insediarsi di una figura forte, sul modello di quanto accaduto in Russia negli anni ’90.

Il prezzo della corruzione

Torno all’argomento delle classifiche internazionali che avevo trattato qualche post fa (qui) per una considerazione sull’impatto che queste notizie possono avere per un paese come il nostro. Utilizzo una delle classifiche più citate dai media, quella sulla percezione del livello di corruzione (Corruption Perception Index) stilata da Transparency International.

Transparency International – CPI – serie storica delle posizioni italiane a partire dal 1998

1998 – 39esimo posto (su 85 posizioni)

1999 – 38esimo posto (su 99 posizioni)

2001 – 29esimo posto (su 91 posizioni)

2002 – 31esimo posto (su 102 posizioni)

2003 – 35esimo posto (su 133 posizioni)

2004 – 42esimo posto (su 145 posizioni)

2005 – 40esimo posto (su 158 posizioni)

2006 – 45esimo posto (su 163 posizioni)

2007 – 41esimo posto (su 179 posizioni)

2008 – 55esimo posto (su 180 posizioni)

2009 – 63esimo posto (su 180 posizioni)

2010 – 67esimo posto (su 178 posizioni)

2011 – 69esimo posto (su 182 posizioni)

Nota: il numero delle posizioni varia in funzione di quanti ex aequo compaiono nella classifica, le rilevazioni sono sempre globali.

Penso sia facile dedurre che perdere 30 posizioni nell’arco di pochi anni sia sintomo di una condizione in rapido peggioramento, nonché di una distanza sempre maggiore tra il nostro paese e i partner europei. Difficile anche non pensare che un fattore come questo non sia pesante nella considerazione di chi dall’estero voglia investire in Italia. 

Il peso della corruzione nel nostro paese viene attualmente valutato in sessanta miliardi di Euro all’anno ma questa cifra, pur impressionante, non è il lato peggiore della cosa. Quello che ci danneggia di più è lo squilibrio competitivo, la costante che distorce qualsiasi livello di appalto e rende la reputazione del nostro paese poco più di una barzelletta.

Tra i nostri partner europei (intendendo con questa definizione l’Europa a 27 stati) l’unico ad avere un livello di corruzione maggiore del nostro è la Grecia che non a caso è sprofondata in una sorta di default tecnico che ha fatto scattare il pagamento dei famigerati CDS (Credit Default Swap) per svariati miliardi di Euro. Ma come risultava la Grecia nelle classifiche CPI?

Transparency International – CPI – serie storica delle posizioni greche / italiane a partire dal 1998

1998 – 36esima (su 85 posizioni) Italia 39esima

1999 – 36esima (su 99 posizioni) Italia 38esima

2001 – 42esima (su 91 posizioni) Italia 29esima

2002 – 44esima (su 102 posizioni) Italia 31esima

2003 – 50esima (su 133 posizioni) Italia 35esima

2004 – 49esima (su 145 posizioni) Italia 42esima

2005 – 47esima (su 158 posizioni) Italia 40esima

2006 – 54esima (su 163 posizioni) Italia 45esima

2007 – 56esima (su 179 posizioni) Italia 41esima

2008 – 57esima (su 180 posizioni) Italia 55esima

2009 – 71esima (su 180 posizioni) Italia 63esima

2010 – 78esima (su 178 posizioni) Italia 67esima

2011 – 80esima (su 182 posizioni) Italia 69esima

Come si può notare fino al 1999 la Grecia aveva una reputazione migliore della nostra. Solo dopo il 2000, dopo i notevoli sforzi fatti per l’adesione alla moneta unica si cominciano a sentire i primi accenni di possibili manovre sui conti pubblici ellenici, voci poi rivelatosi purtroppo vere qualche anno dopo. Va comunque fatto notare come in alcuni anni successivi (2004, 2005, 2008) non ci sia poi molta distanza tra le posizioni italiane e quelle indicate per la Grecia.

Dato il fresco esempio dato dal caso greco e le costanti tendenze della speculazione internazionale ad attaccare l’area Euro (stanno pestando il Portogallo in queste ultime settimane) appare chiaro come si debba agire con grande decisione per ridurre fortemente l’impatto della corruzione nella nostra economia. Per quanto possa sembrare strano, l’influenza del crimine organizzato non è poi marcata nel fenomeno in Italia. Il malcostume si è sviluppato a tutti i livelli come ci dicono le inchieste della magistratura e i rapporti della Guardia di Finanza.

L’unica possibilità è data da un massiccio sforzo della pubblica opinione, modificare il sentire i corrotti come “furbi”, smetterla di cercare scorciatoie quando ci si rivolge ai vari ambiti della PPAA. Per esperienza personale posso affermare che la via giudiziaria, specialmente nel civile, è molto lunga come tempi ma che nel complesso il sistema funziona. Tocca perseverare, tirare dritto di fronte a chi cerca di indicarci vie illecite o meno che legali.

Quanto è lontana Strasburgo!

Nelle ultime settimane il tema dei provvedimenti contro la corruzione ha ripreso quota, grazie anche alla testimonianza dolorosa del presidente della Corte dei Conti all’apertura dell’anno giudiziario. Per farla breve, vent’anni dopo Tangentopoli e l’inchiesta nota come Mani Pulite, non solo non abbiamo risolto questo problema ma al contrario è diventato ancora più forte, raggiungendo importi complessivi che fanno impallidire. A quanto pare la cifra è stimata a 60 miliardi di euro.

Relazione del presidente Luigi Giampaolino, qui.

Press release della Corte dei Conti, qui.

Di conseguenza si torna a parlare dei tanti, troppi, DDL fermi presso la Camera o il Senato in attesa di discussione e si torna ad interrogarsi su come mai non si è riusciti a trasformare la nostra adesione alla convenzione di Strasburgo del 1999 in atti legislativi concreti. La cosa curiosa è che i media danno per scontato che chiunque conosca il testo della convenzione dal momento che non si prendono la briga di spiegarlo e fanno filtrare la notizia che siamo gli unici a essere rimasti inadempienti.

Peccato che le cose non stiano proprio così. Intanto le convenzioni sono due e non una. È prevista una convenzione per i contesti criminali / penali (il titolo esteso è “convenzione penale sulla corruzione STCE n.173”) e una per i contesti civili (il titolo per esteso è “convenzione civile sulla corruzione STCE n.174”). Se vi prendete la briga di seguire i link troverete le pagine descrittive dei testi delle convenzioni, curiosamente non è disponibile la versione in italiano per quella civile. Strano, eh?

Testo STCE 173, qui.

Testo STCE 174, qui.

Situazione per la STCE 173 (penale).

Paesi che non hanno firmato la convenzione.

Austria, Bosnia Herzegovina, Bulgaria, Croazia, Georgia, Germania, Islanda, Irlanda, Italia, Liechtenstein, Lituania, Malta, Moldavia, Norvegia, Romania, Russia, San Marino, Slovacchia, Turchia, Ucraina.

Al di fuori del consiglio d’Europa, riportati come significativi.

Bielorussia, Canada, Santa Sede, Giappone, Messico, USA.

Paesi che hanno firmato e fatto scadere i termini di rinnvo della convenzione.

Estonia, Lettonia, Montenegro, Polonia, Serbia, Slovenia, Svezia.

Situazione per la STCE 174 (civile).

Paesi che non hanno firmato la convenzione.

Liechtenstein, Monaco, Portogallo, Russia, San Marino, Svizzera.

Al di fuori del consiglio d’Europa, riportati come significativi.

Canada, Giappone, Messico, Santa Sede, USA.

Paesi che hanno firmato ma non ratificato la convenzione.

Andorra, Danimarca, Germania, Gran Bretagna, Irlanda, Islanda, Italia.

Nota bene: Montenegro e Serbia hanno ereditato adesione e ratifica dall’ex Yugoslavia.

Al di fuori dai paesi del consiglio d’Europa ha firmato e ratificato la convenzione la Bielorussia, singolare che una semi dittatura come quella abbia voluto, tra il 2004 e il 2006, compiere un atto del genere. È possibile che sia stata una condizione imposta per ragioni commerciali o diplomatiche, non ho trovato conferme o smentite in merito.

Come è intuibile i testi delle due convenzioni differiscono non poco e di conseguenza richiedono dai singoli stati firmatari provvedimenti differenti. Quello che mi sembra strano è che la polemica fatta sui media riguarda la sola convenzione civile, firmata dall’Italia nel 1999, evitando ogni riferimento a quella penale, mai sottoscritta. Misteri del giornalismo o di come si debbano raccontare le cose agli italiani.

Interessante che paesi che fanno parte della “grey list” (Liechtenstein, Monaco, Montenegro, San Marino, Santa Sede) o che sono noti rifugi fiscali (Andorra, Gran Bretagna, Svizzera) si trovino in situazioni “miste” o del tutto al di fuori delle convenzioni citate, sarebbe interessante sapere dalle istituzioni europee o dal GRECO (l’ente anti corruzione) in che considerazione vengono tenuti dal punto di vista dell’osservanza delle norme.

Il punto comunque non è far rilevare che siamo in buona compagnia quando si parla di nazioni non aderenti alla convenzione STE 173 o che ci sono altri inadempienti alla convenzione STE 174. Questo per due motivi, il primo è che esistono nei singoli paesi leggi che in parte superano o compiono gli obiettivi delle convenzioni, il secondo è che nel nostro sciaguratissimo paesello siamo in piena zona rossa per tutti i fenomeni legati alla corruzione come ricordato in apertura. Peggio di noi in Europa c’è solo la Grecia. Sarà un caso? Sessanta miliardi di euro all’anno sono un danno devastante alla nostra economia, sia diretto che indiretto. Come si può avere un mercato equilibrato con i giusti fattori di concorrenza con questo squilibrio?

Sappiamo dalle cronache giudiziarie come questo fenomeno sia trasversale tra pubblico e privato, di come sia diffuso capillarmente nel territorio nazionale e di come sia strettamente relato in molti casi con le trame del crimine organizzato. In compenso sappiamo, per deduzione elementare, che per ogni corrotto esiste un corruttore ovvero qualcuno che per un motivo o per l’altro si adegua a uno stato di cose criminale e ne diviene a tutti gli effetti complice. Quanti di voi sono stati danneggiati da fenomeni del genere? Quante volte qualcuno vi è passato davanti, vi ha fatto perdere del lavoro o un guadagno?

Dai venti euro pagati a un infermiere (Palermo) per avanzare nelle liste d’attesa degli esami alle centinaia di migliaia di euro pagati a un assessore regionale per un appalto (Milano), dai cinquecento euro pagati per essere cancellati dalle liste dei cattivi debitori (Roma) ai bonus non monetari (viaggi, noleggi di auto e barche) per accattivarsi il gradimento dei potenti (Milano, Napoli, Venezia). Ogni singolo atto, ogni mazzetta o mazzettina quante persone danneggia?

Uno a cinque

Nota per i naviganti: per l’intero mese di ottobre 2011 tutti i post di questo blog riporteranno come prima parte queste righe per ricordare che è possibile votare per il concorso SF qui fino alle 23.59 del giorno 31 di questo mese. Modalità di voto e lista delle proposte sono contenuti nel post linkato.

 

Uno a cinque. Forse addirittura uno a sette. Questi sono i rapporti ipotizzati tra la massa di denaro reale (uno) e quella virtuale (cinque o sette). Il che significa che il denaro considerato reale è quello che corrisponde ad attività produttive o di servizi mentre quello virtuale è generato dalle operazioni finanziarie.

Con una leva del genere non stupisce che questa crisi economica, generata dalle speculazioni finanziarie e dall’incapacità dei maggior governi di farvi fronte, sia la peggiore mai registrata nella storia del capitalismo.

Quello che colpisce delle manovre fin qui portate a termine nei vari paesi e nei piani suggeriti dagli enti sovranazionali come l’FMI o la WB è che si concentrano unicamente sui fattori del debito pubblico degli stati sovrani e sulle misure per incentivare la crescita produttiva. In altre parole se si abbassa il debito e si fa alzare il PIL va tutto bene.

Peccato che i due casi in cui c’è stata davvero una ripresa dopo un fallimento nazionale, sto parlando di Argentina e Islanda, si siano distinti per strategie che solo in parte hanno accolto le indicazioni dei guru dell’economia. In entrambi i casi sono stati ignorati o pesantemente sforbiciati i debiti contratti verso gli investitori stranieri, concentrandosi invece sul mantenere il più possibile alto il livello di occupazione interno. L’Argentina ha anche attuato una svolta protezionistica essendo un paese a vocazione industriale oltre che a poter contare su un buon settore agroalimentare.

Ora ci stiamo avviando verso un deficit controllato dello stato greco effettuando un ‘haircut’, un taglio del valore nominale dei titoli di stato. In pratica si dice ai possessori dei titoli che quello che hanno in mano vale solo una percentuale del valore originale, in questo caso si parla di un taglio del 50%. Peccato che un giochetto del genere funziona solo se l’ammontare totale dei titoli è basso, altrimenti il patrimonio delle banche che li hanno in portafoglio sprofonda e tocca salvarle. Visto che stiamo parlando delle maggiori banche tedesce e francesi è una montagna di denaro da sborsare.

Una strategia del genere è impossibile da approcciare per il debito italiano o quello spagnolo. Sono troppo grandi, lo scossone derivante da una mossa del genere manderebbe al creatore troppe banche tutte assieme. A costo di ripetermi suggerisco di nuovo di pensare al concetto di tagli graduali, se vogliamo fare gli economisti della domenica potremmo chiamare questa strategia ‘progressive haircut’. Suona bene?

Tagliare quindi. Un punto percentuale alla volta, magari cinque nel primo passaggio per dare subito una scossa. Decongestionare i bilanci delle banche un pezzetto dopo l’altro, dirottando di conseguenza gli investimenti in titoli di Stato verso altre direzioni. Ehi, ma così non si rifinanzia il debito! Dichiariamo fallimento! Panico-paura-terrore, qualcuno suoni l’allarme!

No, il debito dello Stato va davvero rifinanziato. Il nostro come quello greco, quello spagnolo, portoghese, francese, tedesco ecc. ecc. Con titoli nuovi. Mi venga la peronospera ferox ma per una volta ha ragione Tremonti. La risposta per i debiti sovrani europei sono davvero gli Eurobond. Emessi dalla BCE, sotto stretto controllo delle neonate autority comunitarie. Per essere chiarissimi, vuol dire cedere una parte rilevante della sovranità nazionale all’Europa.

Una cosa del genere è dirompente. Non è mai stata fatta prima. Un po’ come l’Euro. Ovvero come la cosa che per ora ha impedito il crollo totale dell’economia europea, sia per i paesi che vi hanno aderito che per quelli che sono rimasti fuori. Secondo voi ci sono le condizioni per farlo? Ricorderemo Draghi come il traghettatore delle economie europee?

Gli appelli ai paesi del BRICS (come inseriamo l’Indonesia nell’acronimo? BRICSI?) perché sottoscrivano quote significative dei debiti sovrani andrà inascoltato. Questa partita la vogliono giocare dentro l’FMI, in modo da ribaltarne gli equilibri di potere a loro favore. Ciò porterebbe l’Europa a un ruolo marginale, con le conseguenze immaginabili. Anche per questo il concetto di Eurobond non è da sottovalutare.

Stiamo per andare incontro a una transizione, una tappa dal potenziale sociale devastante. In ogni modo ci troveremo a cedere una parte rilevante della nostra sovranità nazionale, dobbiamo scegliere a che condizioni. Metterci solo nelle mani della Commissione europea come ci troviamo adesso, de facto il governo non sceglie cosa fare ma applica quanto viene ‘suggerito’, non ci consente alcun spazio di decisione e ci mette sullo stesso piano della Grecia.

Viceversa possiamo usare la massa abnorme di debito, 1900 miliardi di Euro, proprio come leva per andare verso una transizione più intelligente. In ogni caso la nostra autonomia è finita. Il ‘progressive haircut’ ci lascerebbe lo spazio necessario per difendere lo stato sociale e le garanzie contrattuali, sempre a condizione di ridurre gli oneri da evasione/elusione/corruzione. Là fuori c’è una massa di più di 250 miliardi di Euro che ogni anno viene in qualche modo sottratta allo Stato, è sufficiente ridurla per far svanire i problemi di oggi.