Tra le tante, troppe, anomalie italiane nel campo politico abbiamo la stramba prevalenza dei partiti più piccoli, delle remore che finiscono per dettar rotta agli squali. Nell’Italia repubblicana abbiamo sempre avuto coalizioni di partiti al governo, tratto comune a molte altre democrazie, ma qui da noi i rapporti di forza sono quasi sempre stati anomali.
Ricordate il pentapartito? DC-PSI-PLI-PSDI-PRI, un coacervo di lettere per identificare un partito grosso e quattro partiti minori che avevano come ragione sociale comune il concetto di governo e di spartizione, con l’addendum di tener fuori dalla stanza dei bottoni PCI e MSI (il famoso concetto di “ali estreme” che ci accompagna dagli anni ’70). Ebbene, lo dico per i più giovani, chi comandava nel governo del pentapartito? Tutti tranne la DC. Le bizze dei leader degli altri quattro partiti, che tutti insieme non facevano i consensi della DC, erano la musica su cui si ballava.
Va detto che c’era un certo gradi di compiacimento nella cosa. L’esistenza di una guida come il “manuale Cencelli” che prevedeva fin nei particolari come distribuire posti di governo e sottogoverno a seconda del peso dei partiti della coalizione la dice lunga sulla consuetudine. Non stupisce quindi che in quadro così poco lineare le legislature non arrivassero mai alla loro scadenza naturale e che la maggior parte del tempo fosse dedicato alla “coltivazione” dei propri interessi o di quelli delle lobby.
Un sistema del genere non poteva perpetuarsi in eterno e infatti abbiamo avuto la gioia di assistere al suo crollo sotto il combinato disposto di inchieste giudiziarie e del decadimento della classe dirigente. Peccato che la cosiddetta “seconda repubblica” abbia mostrato lo stesso vizio della “prima” (*) anche in presenzaa di effettive alternanze. Il campo del centro destra è stato fortissimamente condizionato dalla Lega Nord (sia in presenza di Forza Italia ed Allenaza Nazionale e in seguito del Popolo della Libertà) mentre i governi del centro sinistra hanno subito le pressioni di vari partitini, sia di sinistra che di tendenza centrista.
Il periodo post 1994 ha portato come novità il costante appello al “voto utile”, al concentrare i consensi solo su alcuni partiti per limitare la rappresentanza dei partiti minori e in questo senso la legge elettorale è stata modificata più volte per inserire soglie di sbarramento e favorire il concetto di coalizione. Altro elemento, questo di raccordo tra il prima e il dopo 1994, l’appello a modificare la nostra forma costituzionale per arrivare al concetto di “chi vince prende tutto” che segnerebbe in negativo qualsiasi democrazia occidentale.
Il punto è che nessuna forza politica ha saputo assicurarsi il consenso della maggioranza assoluta dei votanti e questo fatto semplicissimo proprio non riesce a filtrare nelle teste di chi dirige i partiti. Non sono gli elettori che, cattivi e infidi, non capiscono ma sono i partiti (o i movimenti) che non sono in grado di convincere con il loro messaggio politico la popolazione. Avere una maggioranza relativa, anche oltre una barriera importante come il 30%, non è sufficiente per dire di rappresentare la maggioranza degli italiani. Inoltre permane una cosuccia, l’articolo 67 (**) della Costituzione, che permette ad ogni parlamentare piena libertà d’azione e di conseguenza di poter lasciare il partito e il gruppo di appartenenza originale (con cui è stato eletto) per confluire in altre formazioni o fondarne di nuove.
Norme simili all’art.67 esistono anche in altri ordinamenti, così come la pluralità di soggetti politici è un fatto consolidato in tante democrazie. Allora come mai le cose qui vanno diversamente? Come mai il premier inglese Cameron può governare il Regno Unito insieme ai liberali in posizione di forza nella loro alleanza? Come mai la signora Merkel guida il governo federale tedesco sostenendosi su un’allenza tra cristiano democratici e liberali con rapporti di forza chiari e nessun problema di deputati che lasciano le fila dei pariti governativi? Come mai persino in Belgio, dopo un periodo record senza un governo stabile, sono riusciti a trovare un’intesa in grado di mettere d’accordo i partiti a base etnico/linguistica?
Sarebbe facile concludere in maniera populista, accusare l’intera classe dirigente italiana a partire dal 1948 di essere stata incapace di mettere le basi per una vita pubblica adeguata alle esigenze di una nazione moderna. Appunto, troppo facile. Dietro ogni clientela, dietro ogni gaglioffo che si affaccia sui media per le solite storie di corruzione c’è una cerchia di persone. Persone che non vengono elette, che non diventano pubbliche, che alimentano a suon di voti e favori il circolo vizioso per mangiare dalla greppia dello Stato, che vogliono, fortissimamente vogliono, che il sistema rimanga influenzabile e debole. Un numero spropositato di piccole lobby, di amici degli amici degli amici, anelli di una catena lunghissima che ha strangolato l’economia e la politica italiana.
Il nemico siamo noi. Noi abbiamo rieletto fino alla nausea i nostri rappresentanti. Noi abbiamo sostenuto i partiti o i movimenti, noi abbiamo firmato perché potessero presentarsi alle elezioni, noi abbiamo assistito mugugnando a generazioni intere di favori e particolarismi. Sembra un circolo vizioso, una catena causa-effetto che non è possibile interrompere, vero? Non è del tutto vero. Almeno dal punto di vista dei consensi da quanto si è visto negli ultimi anni. Il numero di coloro che si vogliono astenere è il più alto sempre, almeno a livello tendenziale, così come il novero degli indecisi ha assunto una dimensione inedita per il nostro paese. Infine, i rigori economici che ci ha portato questa crisi sembrano aver attizzato un astio sempre presente nella società italiana che potrebbe, sottolineo potrebbe, forzare qualche cambiamento.
Tutto questo però si scontra con quello che abbiamo appena avuto modo di verificare, il cumulo di apparentamenti che va a sostegno del PdL o del PD. Partitini o movimenti più o meno piccoli, più o meno rissosi, più o meno infestati di riciclati dell’ultima ora che si accodano ai pesci più grossi per cercarsi uno strapuntino nel carrozzone. Più di 200 simboli presentati al Ministero dell’Interno sono un segnale eclatante di come non si voglia neppure prendere in considerazione l’idea di cambiare registro.
Quindi tocca a noi. Come al solito. Con le risate dei nostri alleati europei a fare da sottofondo a quel carnevale sciancato che chiamiamo elezioni.
(*) la distinzione tra prima o seconda repubblica è del tutto arbitraria in assenza di un cambio reale a livello costituzionale. Malgrado vari tentativi di riforme le istituzioni sono del tutto simili.
(**) che recita “Ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato”.