Messaggio dalla Sicilia

Guardando i risultati del voto regionale siciliano, al netto delle possibili alleanze successive, appare chiaro che le premesse evidenziate negli ultimi mesi dai sondaggi si sono rivelate solo parzialmente vere. Ne deriva un quadro ancora più incerto, non solo in chiave locale, con il grosso quesito dell’effettiva governabilità.

Il punto focale è il crollo della percentuale dei votanti. Per quanto fosse stato anticipato e atteso, vedere che si è passati dal 66.68% del 2008 al 47.42% di quest’anno mette i brividi. A parte scendere sotto la quota psicologica del 50% questo dato conferma in maniera inequivocabile il distacco della popolazione dal concetto di voto. Che questo avvenga per disaffezione, protesta, delusione o altre ragioni rimane comunque un segnale, un’indicazione di non affidabilità data alla democrazia.

E’ vero che la Sicilia viene da anni interi di scandali locali, che ormai le figure credibili sul piano politico si sono ridotte di numero fino a temerne l’estinzione e che tutti i partiti e i movimenti hanno spinto moltissimo sui fattori più populisti. Tuttavia, vedere circa 20 punti percentuali in meno di votanti non può essere imputato solo ad aver votato solo di domenica (nelle consultazioni 2008 si era votato anche il lunedì dalle 8 alle 15). Altrettanto vero è che in altri paesi vota meno della maggioranza degli aventi diritto senza che si gridi allo scandalo.

Non posso fare a meno però di sottolineare il cambiamento, reale e pericoloso al di là di chi poi governi la Sicilia dopo lo scrutinio elettorale. Per le prossime elezioni regionali in Lazio e in Lombardia, per le politiche del 2013, questo è un campanello d’allarme abnorme. Dato il quadro generale si rischia di far pesare ancora di più i pacchetti di voti “pilotati”, così come viene da pensare che il clima di scontro nel campo del centro destra sia solo in parte compensato da voti “di protesta” verso altri partiti / movimenti. Il campo dei delusi dei vari partiti si è allargato a dismisura, così come si sta approfondendo il solco tra i più giovani e la scena politica.

Su tutti i fronti, regionali e nazionali, si va verso una stagione di cambiamenti e di riforme obbligate, cose che con ogni probabilità provocheranno altri scontri sociali e andranno ad incidere in maniera pesantissima sulle classi sociali più basse. Sono scenari da populismo estremo in Italia, basterebbe ricordarsi un po’ di storia del ‘900 per pensarci. In questa stagione il nuovo ago della bilancia potrebbe essere il Movimento Cinque Stelle, forte di una base di consensi che nella fase attuale può significare la differenza tra una legislatura efficace o il ritorno a governi “tecnici”.

Non ricordo nella storia repubblicana altre fasi in cui sia nel campo conservatore che in quello progressista ci fosse altrettanta confusione, né mi sovvengono altri momenti in cui l’assenza di leadership fosse così forte. Con gli speculatori alle porte e una serie notevole di problemi da risolvere ci sarebbe bisogno di uno spirito diverso, sia da parte degli elettori che da quella della classe dirigente, cosa di cui al momento non vedo traccia. Vent’anni passati a scavare solchi sempre più profondi non sono passati invano.

(R)evolution – parte seconda

Demagogia: S.F. (1) degenerazione della democrazia (2) arte di accattivarsi il favore delle masse popolari con promesse di miglioramenti economici e sociali difficilmente realizzabili.

Questo è uno dei lemmi più abusati di questa generazione, credo non sia passato un giorno negli ultimi venti anni senza trovarlo nella cronaca politica italiana (e non solo). Come in tutti questi casi, l’abuso e l’uso hanno fatto degenerare la cosa, togliendo significato a qualsiasi confronto.

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(R)evolution

Rivoluzione: S.F. (1) violento, profondo rivolgimento dell’ordine politico-sociale costituito, tendente a mutare radicalmente governi, istituzioni, rapporti economico-sociali e simili.

Est. Fig. (2) rapida e radicale trasformazione economico-sociale, dovuta all’applicazione sistematica e su scala sempre più vasta, di nuove scoperte scientifiche e tecnologiche, movimento politico-sociale volto a cambiare non solo le strutture economiche ma anche i valori ideologici e i modi di pensare degli individui.

Est. Fig. (3) profondo e sostanziale rinnovamento in campo artistico, letterario, scientifico e simili, dovuto a nuove scoperte, interpretazioni e simili.

Fig. Fam. (4) confusione, turbamento, scompiglio.

Il lemma ha anche altri significati, riferiti all’astronomia e alla geometria, che sono ovviamente importanti ma non nel contesto politico, economico e sociale. La definizione proviene dal mio vetusto vocabolario Zanichelli e serve da punto di partenza. Perché se è vero che le cose in questo paese non possono andare avanti in questo modo, è altrettanto vero che le rivoluzioni storicamente non hanno quasi mai prodotto situazioni migliori.

Cambiare. Fate tabula rasa e ricostruire a partire da un progetto più razionale e fondato sulla centralità dei diritti delle persone. Il che era l’obiettivo di base della nostra Costituzione, per chi lo avesse scordato. I fatti ci dicono che dal 1948 ad oggi non siamo riusciti, come paese, a realizzare quando scritto nella nostra carta costituzionale, a mantenere il patto tra Stato e cittadini.

A questo punto ha più senso parlare di rivoluzione o evoluzione?

Distinguere tra le due parole non è tanto un fatto semantico quanto un diverso modo di affrontare un problema tanto vasto da sembrare insormontabile. Se si ragiona con un minimo di freddezza e si abbandonano gli accenti più populisti diventa chiaro che non è la forma della Repubblica ad essere in discussione o la struttura dei poteri. E’ vero che la forma delle istituzioni può evolvere, si può decidere di eliminare duplicazioni di funzioni o ridurre il numero dei rappresentanti ma sono dettagli rispetto a un solido quadro normativo.

Anche l’idea di partito, il concetto di struttura organizzata che promuove un certo numero di idee politiche e fa da portavoce di quella parte di popolazione che vi si riconosce non è da buttare. Fino a quando saremo in una democrazia rappresentativa, cioè dove vengono selezionati dei rappresentanti per delegare loro le decisioni, devono esistere le strutture partito. Quello che deve essere evoluto è il modo con cui queste strutture esistono. Se si vuole “fare pulizia”, “recuperare il consenso popolare”, “ridare centralità alla politica”, non ci si può esimere dal fare dei partiti altrettante case di vetro.

Gli strumenti ci sono tutti. Non occorre inventarsi leggi draconiane, invocare l’intervento dell’Unione Europea o simili. Servono raziocinio e capacità di analisi.  Non è necessario essere plurilaureati o avere cattedre alla Bocconi per mettere ordine in questo settore. L’ostacolo, l’unico vero problema, sono le persone, l’abnorme numero di persone che a vario titolo campa di politica e di tutto quello che è controllato dalla politica.

La tesi dei due mandati o simili è suggestiva, difficile però farla accettare a chi il mandato lo sta svolgendo e non ha nessuna intenzione di abbandonarlo. Per la maggior parte si tratta di persone che non possono essere più distanti dal concetto di servizio pubblico, che nel corso degli anni si è sempre più isolata dal resto della popolazione. Tuttavia non sono irraggiungibili come spesso si sente raccontare, né è impossibile metterli di fronte alle loro responsabilità. In un altro post, qui, avevo segnalato come fosse facile raggiungere i nostri rappresentanti via email.

Il primo passo di una possibile evoluzione del nostro simpatico paesucolo passa proprio dai singoli, dal rendersi conto di non essere una miriade di isolette disperse nell’oceano ma di essere parte di una popolazione civile e di avere in mano la leva per cambiare il corso delle cose. Vi costa davvero qualcosa scrivere una email a un deputato o a un senatore? Avete davvero paura di fare una cosa così semplice? Siete davvero convinti che qualsiasi sforzo o atto sia inutile e che nulla possa cambiare?

Se avete risposto tre volte ‘Sì’ allora lasciate perdere. Rimettete giù la testa e sperate che la bufera passi ancora una volta senza farvi troppo male.

In caso contrario, cominciate a muovervi.

I titoli di Stato, Genova e la fine della democrazia.

Nota per i naviganti: fino a domenica 6 novembre ore 23:59 è possibile votare per lo spareggio tra i due logo arrivati a giocarsi la vittoria finale, il post dove votare è qui.

 

Mettetevi comodi, questo sarà un post lungo per i miei standard. Il punto di partenza è l’iniziativa di ieri di un cittadino toscano che si è comprato una pagina del Corriere della Sera per invitare tutti quelli che ne hanno la possibilità a sottoscrivere titoli di Stato per abbassare le tensioni sul nostro debito pubblico e le relative speculazioni.

Il link è questo:

http://www.corriere.it/economia/11_novembre_04/lettore-compriamoci-debito_669bb320-06e6-11e1-b2db-bf661a45e1f2.shtml

A investire 20-22 mila euro per la pagina (da lunedì altri 20mila in titoli) è il signor Giuliano Melani. Di lui non so e non voglio sapere nulla ma per me questa iniziativa è l’uovo di Colombo, riportare la massa del debito italiano dentro i confini (come i giapponesi, tanto per fare un esempio) come negli anni ’60-’80. A favore della cosa anche due ragionamentini bassi-bassi, sul filo del cinismo; rendimenti così alti non se ne vedevano da decenni e in caso di default italiano non pensate che gli euro finiranno col valere più della carta su cui vengono stampati.

Non siamo ‘too big to fail’ come si diceva anni fa, siamo ‘too big to be rescued’. Per dirla in minimi termini se crolla l’economia italiana i 1900 miliardi di euro del nostro debito sono sufficienti a spazzare via l’Euro come moneta, trascinare a fondo in un gioco micidiale tutte le maggiori banche mondiali. Rischiamo una crisi decennale che farebbe strage di tutto quello che l’Europa ha conquistato dopo la seconda guerra mondiale.

Se vi servono informazioni sui titoli italiani, qui trovate un buon riassunto:

http://www.dt.tesoro.it/export/sites/sitodt/modules/documenti_it/debito_pubblico/titoli_di_stato/Riepilogo.pdf

Molto in sintesi il taglio di acquisto minimo per tutte le tipologie è 1000 euro, le tasse sono sempre al 12,5%. L’acquisto può avvenire solo tramite intermediari autorizzati, in futuro pare si potrà acquistarli anche on line tramite le società di investimento.

Cosa c’entra Genova? O la Lunigiana, le Cinque Terre? Potrei anche nominare tutti i siti ove siano accaduti disastri negli ultimi anni, dal Veneto all’Umbria. Al di là dei fattori esogeni come le precipitazioni abnormi o i terremoti gran parte dei danni e di conseguenza delle vittime sono state causate da noi. Costruzioni edificate in luoghi inadatti, cementificazione dei letti dei fiumi, canalizzazioni assurde, abbandono dell’agricoltura, materiali scadenti usati per lucrare al massimo, totale assenza di controllo e il pensiero costante ai condoni. Cosa c’entra con l’investire? Il legame sono le persone, siamo noi.

Sappiamo benissimo chi ha costruito, chi ha autorizzato o ha voltato la testa dall’altra parte, chi ha teso le mani per ricevere le buste, chi ha messo a tacere le polemiche, chi ancora si ostina a negare l’evidenza delle sue responsabilità. Tutta gente come noi. Che abita nel palazzo di fianco, che incontriamo in giro, con cui siamo andati a scuola o allo stadio. Non possiamo più dire che non sono affari nostri, che non ci riguarda. Capito il collegamento?

E la democrazia? Che c’entra anche questa?

In questi giorni abbiamo assistito, tra il basito e il perplesso, alla proposizione e al successivo ritiro del referendum sugli aiuti europei dei greci. Lo ricordate? Per farlo ritirare è stato detto ai nostri vicini europei che non avrebbero più visto un euro degli aiuti promessi. Con le casse vuote e la sicurezza di non poter pagare gli stipendi di dicembre il governo greco ha ingoiato il rospo e tolto dal tavolo il referendum.

In sintesi l’autodeterminazione greca è stata cassata. Come era già successo in Ucraina, in Argentina o in Lituania, tanto per citare tre casi recenti. Come potrebbe succedere qui da noi se non ci diamo una mossa a toglierci di torno l’attuale esecutivo e tutti i personaggi da circo dell’orrore che lo popolano. L’indipendenza del nostro paese è sempre stata a rischio, basterebbe considerare la nostra inesistente politica estera dal 1948 ad ora. Ma mettere in gioco le pensioni o il futuro dei nostri ragazzi non può essere accettato. Qui sta il legame con il primo e il secondo tema, sempre sui cittadini. Sempre su di noi.

Questo è il paese dove per prima cosa si chiede: cui prodest? La seconda domanda di solito è: come faccio a mettermi qualcosa in tasca anche io?

Non penso che si possa cambiare improvvisamente o fare chissà quale miracolo di coscienza civile, ma l’emergenza si sta avvicinando a larghi passi e il tempo delle bugie è scaduto. Se vogliamo tenerci il nostro paese e sperare, tra anni, di poter di nuovo alzare la testa quando ci avventuriamo fuori dalle frontiere bisognerà che facciamo qualcosa.

Molti di noi non hanno grandi possibilità economiche, per essere chiari in parecchi facciamo fatica a tenere la testa fuori dall’acqua. Anche mille euro possono essere una soglia troppo alta da raggiungere. Il che non significa che ne siamo fuori, che non possiamo fare nulla. Possiamo comunque darci da fare. C’è l’associazionismo, per chi ci crede ci sono le organizzazioni politiche, le miriadi di progetti che consentono di dare una mano. Tutto è meglio rispetto al rimanere seduti come ebeti davanti alla televisione.