Un passo avanti

C’è stato un tempo, per molti lontano, in cui i cittadini potevano rivolgersi alla Pubblica Amministrazione con il timore derivato dall’ignoranza.

Spesso i richiedenti non sapevano neppure leggere e scrivere o avevano un livello di scolarizzazione molto basso.

Per queste persone rivolgersi a un diplomato o a un laureato era entrare in un livello di comunicazione diverso e farsi strada in mezzo alla burocrazia diventava un’impresa degna del miglior Indiana Jones.

In tempi come quelli poteva anche essere giustificata una distanza, non meramente fisica, tra la PPAA e i cittadini. Non a caso il ceto medio o non esisteva o era ai suoi albori e la democrazia finiva per essere espressione di un certo numero di oligarchie, almeno secondo la mia opinione. La storiellina italica secondo la quale in un paese le persone importanti erano il prete, il sindaco, il dottore e il maresciallo dei Carabinieri ha delle radici solide, più estese di quello che si potrebbe pensare.

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Telecamere

Telecamere. Dovunque. Installate per sicurezza, per monitorare gli accessi alle zone riservate, per la sorveglianza del traffico, per consentire di controllare a distanza. Ce ne sono più o meno dappertutto, sembrano la dimostrazione palese dell’onnipresenza, del Grande Fratello orwelliano. Con questo livello di sorveglianza, dovrebbe esserci un livello di deterrenza notevole o almeno ci dovrebbe essere un apporto consistente alle indagini di Polizia.
Beep! Primo errore. La stragrande maggioranza delle telecamere che vedete in giro è scarsamente utile, da tutti i punti di vista. Vediamo perché. Per prima cosa molte videocamere sono decisamente obsolete, in binaco e nero, hanno un basso numero di fotogrammi / minuto e un livello di definizione ridicolo, aggiungeteci che vengono pulite ogni morte di papa e arriviamo alla definizione di “inutile”. Altre vengono spostate rispetto al posizionamento ottimale o vandalizzate, altre ancora si ritrovano con il campo di ripresa parzialmente oscurato per il successivo montaggio di cartelli o altri ostacoli.


Poi c’è il normale ciclo operativo da considerare. Le telecamere sono esposte spesso in maniera diretta agli agenti atmosferici e specialmente quando sono motorizzate devono essere sottoposte a cicli di manutenzione o sostituzione piuttosto costosi. Se pensate che molte sono gestite da enti pubblici, con tutto il caos burocratico-decisionale del caso, ecco che le normali scadenze vengono spesso posposte con tutto il carico di malfunzionamenti che comportano. Il fattore vandalismo è diventato sempre più pesante negli anni, l’associazione di idee “telecamere=controllo” ne fa un facile bersaglio per qualsiasi esagitato e non è detto che il ripristino sia immediato.
Beep! Secondo errore. Dato che mantenere una telecamera costa, vedremo in seguito altre ragioni dopo la manutenzione, perché non contare sull’effetto spaventapasseri? Tante unità che vedete in giro sono del tutto finte, scatolotti vuoti con solo il necessario per mostrare la lucina rossa di attivazione. Il che porta a un secondo livello di finzione, l’esposizione dei cartelli “a norma” per avvisare della presenza delle telecamere in loco, molto spesso falsi anch’essi o non corrispondenti alla concessione delle autorità. Già, perché va richiesto il permesso per mettere in opera degli strumenti di controllo, non è che si può fare le cose a caso.


Il quadro normativo di riferimento si basa su due pilastri, il primo è la legge sulla privacy (l’arcinoto D.Lgs. 196/2003 e successivi derivati/collegati) e il secondo sono le disposizioni date dal Garante della privacy a partire dal 2004. In estrema sintesi la presenza delle telecamere va resa esplicita da cartelli messi in piena visuale dei passanti e questa è la punta dell’iceberg, quello che non si vede è tutta la parte relativa a cosa si fa delle riprese. Quanti giorni le si può o si deve conservare, chi può avere accesso alle visualizzazioni, come e dove vengono registrate, come si fa a renderle disponibili alle autorità e perché, come rendere conto di qualsiasi modifica all’impianto… nella burocrazia si finisce con il perdersi.
Beep! Terzo e ultimo errore. Per non smarrirsi nell’omniverso burocratico e nel rischio concreto di sanzioni salate l’output di molte telecamere finisce per essere cancellato dopo 24 ore o addirittura per non essere registrato del tutto, solo visualizzato in qualche monitor (spesso a vista dei clienti / personale per aumentare il concetto di deterrenza). Bello, eh? Scommetto che vi sentite più sicuri adesso. Nel malaugurato caso in cui vi troviate ad avere bisogno di una registrazione, ammesso che le autorità accordino il loro placet alla richiesta, vi toccherà fare appello alla vostra fortuna per avere qualcosa di utile.

Pensioni & precariato

Avvertenza: questo post si occupa di pensioni e precariato. Non in maniera sarcastica e/o ironica. Se cercate umorismo, tornate un altro giorno.

Bene, dopo aver fatto fuggire a galassie di distanza i lettori posso serenamente passare a una disamina sul tema pensioni, con particolare attenzioena quelle dette di anzianità. Pare siano diventate il nemico pubblico numero uno, l’unica chiave per risolvere i mali che affliggono l’economia italiana. Per ora si avviano a diventare l’ennesimo casino e il primo macigno da spostare per il nuovo governo.

La prima cosa da dire è che si sta facendo del terrorismo mediatico, a tutto danno di chi è già in pensione. Parlare a ruota libera di abolizione delle pensioni di anzianità senza specificare che non vengono toccate quelle attualmente in erogazione è criminale. Dovrebbe essere la prima frase di apertura, l’incipit del discorso: care cittadine, cari cittadini, le pensioni che vi stiamo pagando NON si toccano.

La seconda cosa è più complessa e riguarda anche il precariato. Se in generale si passa al metodo contributivo, la cosa funziona ovviamente solo se si lavora con continuità e per stipendi al di qua della linea della decenza. Già i part time sono problematici in questo sistema, figurarsi chi si arrabatta a lavorare un mese qui e l’altro là, con contratti a tempo e pagamenti ridicoli come importo.

Terza cosa, legata alla seconda. Dove li mettiamo quelli che non stanno lavorando o studiando? Molti di loro in realtà stanno lavorando in nero, sottopagati  e in condizioni di sicurezza / igiene discutibili. Il che li rende dei perfetti sconosciuti per l’INPS e il resto dell’amministrazione dello Stato. Zero contributi, zero riconoscimenti. In un quadro del genere si va verso una catastrofe sociale.

Quarta cosa, sempre legata al problema di base, ovvero la flexsecurity. Se è vero che l’attuale sistema di ammortizzatori sociali è inefficiente e non arriva a coprire tutti mettersi a teorizzare di portare in Italia il sistema di altri paesi applicandone solo alcune parti è un incubo. Combinare salari italiani e flessibilità anglo-tedesca senza applicare in maniera integrale gli altri strumenti (salari per i disoccupati, contratti di lavoro e relative integrazioni, salvaguardie per la maternità/paternità, salvaguardie per l’assistenza a malati o disabili, pari opportunità di genere reali) vuol dire andare consapevolmente incontro alla guerra civile nell’arco di pochi anni.

Quanto sopra esposto va ad aggiungersi alla marea di problemi sociale ed economici causati dal precariato. Quello che doveva essere un percorso formativo nei primi anni di ingresso nel mercato del lavoro e in seguito una migliore gestione del passaggio da un incarico all’altro si è trasformato, fin dall’inizio, in una situazione dove perdono sia i lavoratori che lo Stato (stipendi bassi e nessuna sicurezza, meno contributi epiù instabilità sociale).

Il diffondersi di situazioni ingiuste ha letteralmente avvelenato il clima in moltissime aziende con il crescente impiego di precari in posizioni di pari responsabilità e incarichi rispetto ai colleghi che sono impiegati con contratti a tempo indeterminato. Pensare che non si creino tensioni tra chi prende mille euro al mese (quando va bene) e chi ne prende 1400-1500 o che non sorgano problemi legati alle conferme degli incarichi o per questioni di tutti i giorni come la malattia, le ferie o i permessi di maternità è a dir poco demente.

L’accumularsi dei problemi sopra citati e la presenza ormai di due generazioni di precari con sempre meno diritti, a cui va aggiunto chi è nella parte finale del corso di studi, mette in opera nel nostro paese le premesse per un disastro sociale senza precedenti. Non stiamo parlando di qualcosa che succederà tra 500 anni, mi aspetto cose pesanti già in questo decennio.

Che risposte danno la nostra società, il nostro sistema di welfare, ai soggetti più deboli?

Se il concetto di pensione d’anzianità viene rimosso, che succede?

Facciamo un esempio. Il signor X ha lavorato in maniera precaria per tutto l’arco della sua vita lavorativa. Pochi contributi, stipendi mediamente bassi, pochissimi risparmi (a essere ottimisti), difficilmente ha una pensione integrativa (non alla portata del suo reddito, non per cattiva volontà). Bene, il signor X è arrivato a un’età per la quale non ce la fa più a lavorare o è stato del tutto emarginato dal mercato del lavoro. Come campa?   Se ha famiglia, come campano anche loro?

Altro esempio. La signora Y ha lavorato qualche anno full time, con contratto a tempo indeterminato. Diciamo dieci anni. Poi ha avuto un paio di figli e da allora non ha mai potuto andare oltre al part time, quelle volte che l’ha trovato. Anche la signora è arrivata a fine periodo lavorativo. Come campa? Dov’è la sua pensione?

Anni fa si parlava di ‘gobba’ contributiva, ovvero di un picco di richieste per l’INPS tale da far crollare l’ente. A sentire gli esperti il problema verrà risolto definitivamente nei prossimi anni con il progressivo innalzamento dell’eta pensionabile. Sarà. Ma le persone di cui parlavo prima? Ci aspettiamo che improvvisino? Verranno rottamate in appositi campi? Usate come soprammobili? La sfida dei prossimi anni è proprio questa, creare un sistema equo che riesca a sanare anche gli abusi commessi a partire dal 1995.

I titoli di Stato, Genova e la fine della democrazia.

Nota per i naviganti: fino a domenica 6 novembre ore 23:59 è possibile votare per lo spareggio tra i due logo arrivati a giocarsi la vittoria finale, il post dove votare è qui.

 

Mettetevi comodi, questo sarà un post lungo per i miei standard. Il punto di partenza è l’iniziativa di ieri di un cittadino toscano che si è comprato una pagina del Corriere della Sera per invitare tutti quelli che ne hanno la possibilità a sottoscrivere titoli di Stato per abbassare le tensioni sul nostro debito pubblico e le relative speculazioni.

Il link è questo:

http://www.corriere.it/economia/11_novembre_04/lettore-compriamoci-debito_669bb320-06e6-11e1-b2db-bf661a45e1f2.shtml

A investire 20-22 mila euro per la pagina (da lunedì altri 20mila in titoli) è il signor Giuliano Melani. Di lui non so e non voglio sapere nulla ma per me questa iniziativa è l’uovo di Colombo, riportare la massa del debito italiano dentro i confini (come i giapponesi, tanto per fare un esempio) come negli anni ’60-’80. A favore della cosa anche due ragionamentini bassi-bassi, sul filo del cinismo; rendimenti così alti non se ne vedevano da decenni e in caso di default italiano non pensate che gli euro finiranno col valere più della carta su cui vengono stampati.

Non siamo ‘too big to fail’ come si diceva anni fa, siamo ‘too big to be rescued’. Per dirla in minimi termini se crolla l’economia italiana i 1900 miliardi di euro del nostro debito sono sufficienti a spazzare via l’Euro come moneta, trascinare a fondo in un gioco micidiale tutte le maggiori banche mondiali. Rischiamo una crisi decennale che farebbe strage di tutto quello che l’Europa ha conquistato dopo la seconda guerra mondiale.

Se vi servono informazioni sui titoli italiani, qui trovate un buon riassunto:

http://www.dt.tesoro.it/export/sites/sitodt/modules/documenti_it/debito_pubblico/titoli_di_stato/Riepilogo.pdf

Molto in sintesi il taglio di acquisto minimo per tutte le tipologie è 1000 euro, le tasse sono sempre al 12,5%. L’acquisto può avvenire solo tramite intermediari autorizzati, in futuro pare si potrà acquistarli anche on line tramite le società di investimento.

Cosa c’entra Genova? O la Lunigiana, le Cinque Terre? Potrei anche nominare tutti i siti ove siano accaduti disastri negli ultimi anni, dal Veneto all’Umbria. Al di là dei fattori esogeni come le precipitazioni abnormi o i terremoti gran parte dei danni e di conseguenza delle vittime sono state causate da noi. Costruzioni edificate in luoghi inadatti, cementificazione dei letti dei fiumi, canalizzazioni assurde, abbandono dell’agricoltura, materiali scadenti usati per lucrare al massimo, totale assenza di controllo e il pensiero costante ai condoni. Cosa c’entra con l’investire? Il legame sono le persone, siamo noi.

Sappiamo benissimo chi ha costruito, chi ha autorizzato o ha voltato la testa dall’altra parte, chi ha teso le mani per ricevere le buste, chi ha messo a tacere le polemiche, chi ancora si ostina a negare l’evidenza delle sue responsabilità. Tutta gente come noi. Che abita nel palazzo di fianco, che incontriamo in giro, con cui siamo andati a scuola o allo stadio. Non possiamo più dire che non sono affari nostri, che non ci riguarda. Capito il collegamento?

E la democrazia? Che c’entra anche questa?

In questi giorni abbiamo assistito, tra il basito e il perplesso, alla proposizione e al successivo ritiro del referendum sugli aiuti europei dei greci. Lo ricordate? Per farlo ritirare è stato detto ai nostri vicini europei che non avrebbero più visto un euro degli aiuti promessi. Con le casse vuote e la sicurezza di non poter pagare gli stipendi di dicembre il governo greco ha ingoiato il rospo e tolto dal tavolo il referendum.

In sintesi l’autodeterminazione greca è stata cassata. Come era già successo in Ucraina, in Argentina o in Lituania, tanto per citare tre casi recenti. Come potrebbe succedere qui da noi se non ci diamo una mossa a toglierci di torno l’attuale esecutivo e tutti i personaggi da circo dell’orrore che lo popolano. L’indipendenza del nostro paese è sempre stata a rischio, basterebbe considerare la nostra inesistente politica estera dal 1948 ad ora. Ma mettere in gioco le pensioni o il futuro dei nostri ragazzi non può essere accettato. Qui sta il legame con il primo e il secondo tema, sempre sui cittadini. Sempre su di noi.

Questo è il paese dove per prima cosa si chiede: cui prodest? La seconda domanda di solito è: come faccio a mettermi qualcosa in tasca anche io?

Non penso che si possa cambiare improvvisamente o fare chissà quale miracolo di coscienza civile, ma l’emergenza si sta avvicinando a larghi passi e il tempo delle bugie è scaduto. Se vogliamo tenerci il nostro paese e sperare, tra anni, di poter di nuovo alzare la testa quando ci avventuriamo fuori dalle frontiere bisognerà che facciamo qualcosa.

Molti di noi non hanno grandi possibilità economiche, per essere chiari in parecchi facciamo fatica a tenere la testa fuori dall’acqua. Anche mille euro possono essere una soglia troppo alta da raggiungere. Il che non significa che ne siamo fuori, che non possiamo fare nulla. Possiamo comunque darci da fare. C’è l’associazionismo, per chi ci crede ci sono le organizzazioni politiche, le miriadi di progetti che consentono di dare una mano. Tutto è meglio rispetto al rimanere seduti come ebeti davanti alla televisione.

Interrompiamo le trasmissioni per un annuncio urgente

Chi mi accusa di dormire, di essere distratto, ha perfettamente ragione. Fortunatamente ogni tanto arriva una provvidenziale sveglia, questa volta sotto i panni dello ‘scugnizzo’ Alex che mi gira la comunicazione dei ragazzi di Avaaz.

In pratica che succede? Per la prima volta il Parlamento trova il tempo e la voglia di ricevere il presidente dell’AGCOM per avere chiarimenti in merito all’ormai famosa delibera di cui abbiamo tanto parlato nelle scorse settimane. Il fatto di per sé è positivo. Qualsiasi regolamentazione di internet e del flusso di informazioni che ci gira è di rilevanza tale da richiedere che le decisioni vengano prese al massimo livello possibile.

L’idea quindi è di continuare a fare pressione. Chiedere ai parlamentari di riferimento, indipendentemente dalle proprie idee politiche, di attivarsi per fermare definitivamente la delibera e di avviare nel contempo una seria riflessione sulla Rete e il diritto d’autore per arrivare a una legge seria e condivisa.

Per essere estremamente chiaro, io penso che la nostra classe dirigente sia in larga parte ignorante e incompetente per quanto riguarda il web e i suoi problemi. In compenso sono in grado di contare e di capire quanto sia pericoloso fare imbestialire ancora di più la gente. Già vige un sentimento diffuso di astio nei confronti dei politici e non credo che ci sia ancora qualcuno che non se ne è accorto.

Quindi vi suggerisco di fare tre cose.

Firmare la seconda petizione di Avaaz, a questo indirizzo.

Scrivere una mail, educata e cortese, all’AGCOM in cui ribadite che non gradite la delibera.

Infine, scrivere una seconda mail, sempre educata&cortese, ai parlamentari di vostro gradimento perché facciano il loro dovere fermando una volta per tutte questa iniziativa di AGCOM.