Nota per i naviganti: per l’intero mese di ottobre 2011 tutti i post di questo blog riporteranno come prima parte queste righe per ricordare che è possibile votare per il concorso SF qui fino alle 23.59 del giorno 31 di questo mese. Modalità di voto e lista delle proposte sono contenuti nel post linkato.
Stiamo assistendo all’agonia del secolo breve, alla progressiva disgregazione delle eredità del ‘900. Dopo la scomparsa degli –ismi e delle ideologie di massa, dopo aver consegnato alla Storia le monete nazionali in larga parte d’Europa tocca ora ai rappresentanti dei ceti produttivi, almeno qui in Italia.
I sindacati si stanno letteralmente suicidando. Dopo aver perso tutti i treni possibili per cercare di razionalizzare il precariato, mina che dopo aver messo in ginocchio una generazione si appresta a far lo stesso con la successiva, hanno permesso al governo di spaccare il fronte comune delle maggiori confederazioni e concesso, uno dopo l’altro, una serie di accordi che hanno distrutto il patrimonio di fiducia e di rapporti con i lavoratori costruito in decenni di lotte.
Ora è il turno di Confindustria, rea agli occhi del maggior gruppo industriale italiano e degli imprenditori prestati alla politica del centrodestra di essersi schierata pubblicamente contro un governo del tutto incapace di fare una politica liberale realizzando al contempo una serie di misure depressive per l’economia tali da deprimere qualsiasi tentativo di ripresa. Senza il gruppo FIAT in realtà la Confindustria perde solo il 5% della sua rappresentatività ma il ventilato abbandono dei gruppi a partecipazione statale la farebbe svanire nel nulla. Ipotesi gradita quanto poche altre al governo in carica.
Deregulation. Il sacro Graal delle politiche economiche liberiste degli anni ’80 e al contempo l’unica risposta che l’attuale classe dirigente vorrebbe dare al paese. Spezzare i contratti collettivi nazionali a favore di micro intese locali, distruggere il ruolo dei sindacati, togliere di mezzo le associazioni imprenditoriali. Neppure Gelli, con il suo tragico piano di rinascita nazionale, era arrivato a tanto. A certi livelli neppure il fascismo si era spinto.
Il resto lo sta facendo la crisi internazionale. Rendendo sempre più difficile alle banche approvigionarsi di denaro si scarica il peso della situazione sulle famiglie che si vedranno negare i mutui e sulle aziende che non riusciranno più a finanziarsi. Il termine avvitamento appare sempre più appropriato. Ma qui in Italia a chi può convenire tutto questo? Chi punta all’azzerare il quadro attuale?
A voler essere cinici si potrebbe anche puntare il dito in direzioni precise. A un gruppo come FIAT il ritorno alla lira e alle politiche di svalutazione della moneta farebbe parecchio comodo, lo stesso per i pochi grandi gruppi industriali fin qui sopravissuti, compresi quelli a partecipazione statale. In un quadro del genere non è difficile pensare che il populismo più bieco pagherebbe parecchio sul piano politico e c’è chi si sta già attrezzando per creare nuovi partiti per intercettare il malcontento.
Tocca fermarli. Prima che per ignoranza, ignavia o idiozia rovinino tutto e tutti. L’alternativa è svegliarci in Italiastan, indietro di duecento anni rispetto al resto del mondo civilizzato.