La cronaca politica di questi ultimi mesi ci ha consegnato, in mezzo a tanto caos scandalistico, anche le prime mosse della Lega Nord post Bossi, quella del rinnovamento dopo la tristissima stagione degli scandali. Dopo una fase interlocutoria, prevedibile dato il ruolo di padre-padrone di Umberto Bossi, si può dire che la transizione di potere all’interno del partito si sia conclusa dopo il congresso e che quella che vediamo ora sia la Lega Nord a gestione di Roberto Maroni.
Non si può dire che i vertici siano cambiati più di tanto, né che la tanto sbandierata pulizia abbia avuto un grande effetto. Alcune figure ormai bruciate dai media e dalle inchieste sono state rimosse (il tesoriere Francesco Belsito, la senatrice Rosa Angela Mauro e simili) ma molti dei quadri leghisti inseriti d’autorità negli anni da Bossi sono ancora al loro posto e si vede. L’impressione che se ne ricava al momento attuale è di un partito alla ricerca di un’identità e di un modo per riaffermarsi sulla scena nazionale, il tutto con la serissima paura di ritornare a tempi più grami dove fuori dal cortile del Nord Italia non se li filava nessuno.
In termini di peso politico il parallelo storico tra il PSI di Bettino Craxi e la Lega Nord di Bossi (in relazione i primi alla DC e i secondi al PdL) è evidente; la loro capacità di condizionare da alleati il comportamento del partito di maggioranza relativa e lo squilibrio tra l’effettiva quantità di consenso rispetto alle cariche ricoperte era ed è sotto gli occhi di tutti. Anche nella fase del tramonto dei rispettivi leader i paralleli sono notevoli. Craxi cancellato da Tangentopoli, Bossi messo in un angolo da una serie di personaggi discutibili e dalle proprie scelte sbagliate.
Quello che Maroni vuole disperatamente evitare è la seconda parte del tramonto del partito. Lo scenario attuale, così come indicato dai sondaggi, fa tornare la Lega Nord ai consensi di parecchi anni fa e mette una base di argilla sotto i feudi regionali conquistati nel momento d’oro (Piemonte, Veneto). Diventare il segretario quando i consensi crollano non era certo l’eredità che sognava l’ex ministro dell’Interno. Da qui una facile chiave di lettura per i proclami degli ultimi mesi, dalla disobbedienza fiscale a confusi richiami ai temi leghisti della prima ora, per arrivare ai tira-e-molla con la giunta Formigoni in Lombardia.
Il fatto principale è che l’edificio leghista non è esattamente solido. Il movimento deriva dall’unione di più leghe territoriali (le principali in Veneto, Lombardia e Piemonte), leghe che tuttora esistono e che “pesano” negli equilibri interni. Flavio Tosi, il sindaco di Verona, regge il movimento veneto insieme all’attuale governatore Luca Zaia e sembra in grado di poter far vacillare la leadership di Maroni in ogni momento. Più complessa la situazione piemontese, dove il governatore in carica Roberto Cota potrebbe essere travolto dai gravi problemi debitori che rischiano di mettere in default la regione.
Le prossime scadenze elettorali, sia nazionali che regionali (in Lombardia), misureranno se e come la Lega Nord possa ancora dire la sua sulla scena politica. Il consenso legato al voto di protesta sta prendendo altre direzioni, per la maggior parte verso il Movimento 5 Stelle, e l’aumento del numero dei non votanti va a penalizzare i movimenti / partiti di indirizzo populista. E’ ipotizzabile che una base di consensi rimanga salda ma di fronte a un crollo palese che renderebbe la Lega Nord marginale a livello nazionale non è azzardato supporre che si possa verificare una scissione.
Va anche valutato come l’elettorato leghista si rifletta nella classe dirigente. Il crollo del “cerchio magico” di Bossi ha reso meno rilevante parte delle figure di maggior prestigio (gli ex ministri Roberto Calderoli e Roberto Castelli, tanto per fare un esempio) e che il vero nerbo del partito, i tanti amministratori locali, sembrano essere disorientati dagli sviluppi degli ultimi mesi, al punto da prendere iniziative francamente poco adeguate alla carica che finiscono per rimbalzare sui media nazionali a tutto discapito del movimento leghista. La crisi economica si è fatta sentire pesantemente anche nelle zone più sviluppate, non è più possibile sventolare le bandiere del federalismo e delle autonomie locali quando non si sa come far quadrare i conti. L’unico spazio di azione possibile per Maroni e soci è proprio quello di promuovere ad ogni livello misure di sostegno all’occupazione, non dimenticando di “spingere” per rimuovere i vincoli di bilancio per la spesa degli enti locali che ne abbiano disponibilità (violando o derogando dal patto di stabilità). Il danno degli scandali e il diverso momento politico tuttavia ridurranno ai minimi termini il partito in Emilia Romagna, Toscana e Marche; anche i progressi fatti in Liguria e in Friuli Venezia Giulia possono essere considerati a rischio.
In definitiva tra fine 2012 e metà 2013 si deciderà il destino di questo partito, dato lo scenario attuale è probabile che venga balcanizzato in leghe più piccole su base regionale, cosa ancora più probabile se il Piemonte dovesse dichiarare default sotto la gestione leghista.