Il nostro viaggio tra le repubbliche ex sovietiche si conclude qui, nel cuore dell’Europa, con la Moldova. Tra tutti i paesi presi in esame in questa serie di post è quello con la storia più complessa e con le prospettive più incerte, al punto di poter dubitare se esisterà ancora una Moldova nel prossimo futuro. Per fattori geopolitici, etnici, economici e militari potrebbe essere anche ritenuto un “failed state”, alla stregua di Haiti o della Somalia.
Alla base di tutte le vicende moldave ci sono però vicende che risalgono al diciannovesimo secolo, vanno riepilogate per capire meglio cosa è accaduto in seguito. Nel 1812 parte del principato di Moldavia (vassallo e stato fantoccio dell’Impero Ottomano) fu ceduto alla Russia insieme ad altri territori; la Russia ne fece un dipartimento del suo impero (Oblast di Moldavia e Bessarabia) per poi farne un governatorato anni dopo (sotto il nome di Bessarabia, 1871). Il resto del principato di Moldavia si unì alla Valacchia per formare la Romania nel 1859. I russi trasferirono popolazioni russofone, turcofone e gruppi di ebrei nella Bessarabia e in pratica cercarono di sradicare la lingua e gli usi che oggi conosciamo come romeni.
La prima guerra mondiale e la rivoluzione russa del 1917 rimescolarono le carte. La Bessarabia dichiarò la sua indipendenza ed entrò in seguito a far parte della Romania insieme ad altre regioni. La nuova Russia comunista non riconobbe questo stato di cose e in seguito, d’accordo con la Germania nazista, impose alla Romania di cedere la Bessarabia, per poi farne un’altra repubblica sovietica. Nel 1941 tedeschi e romeni ripresero questi territori alla Russia, mantenendoli fino al 1944 quando l’offensiva russa li riconquistò. Nel periodo successivo alla WWII nei territori moldavi furono trasferiti altri cittadini russofoni e venne condotta una campagna per distinguere la lingua e la cultura moldave da quelle romene, tentando così di scavare un solco tra la Moldova e la Romania.
Il primo punto di svolta della vita della Moldova arriva poco dopo le prime elezioni del febbraio-marzo del 1990, tenute con un occhio alle ultime convulsioni dell’URSS. Nell’agosto dello stesso anno una regione della Moldova, la Transinistria, de facto diventa a sua volta indipendente. Questa regione è quella con la più grande presenza di etnie russofone e può contare su un fattore importantissimo, la presenza sul suo territorio di unità della 14esima armata (in parte rimasta in territorio ucraino e ivi nazionalizzata). I motivi di questa separazione sono legati al timore da parte dei russofoni di un assorbimento della Moldova nella vicina Romania, affine per linguaggio e storia alla maggioranza della popolazione moldava, a tutto discapito delle altre etnie (oltre ai russi, vari gruppi slavi e turcofoni).
Tra le due entità è scoppiato un conflitto armato nel 1992, risoltosi in pratica con un nulla di fatto. La Transinistria opera in tutto e per tutto come uno stato indipendente e la presenza militare russa all’interno dei suoi confini ne garantisce la sicurezza da qualsiasi tentativo da parte moldava di ristabilire lo status quo. Questa separazione ha gravemente danneggiato l’economia moldava dal momento che nel territorio separatista si trova la maggior parte dell’industria pesante nazionale oltre che a una significativa capacità di generare energia elettrica.
La Transinistria rimane un territorio economicamente depresso e fortemente indebitato, governato in maniera autoritaria e con grandi spazi lasciati ai cartelli criminali (locali e non), specialmente per quanto riguarda i traffici di armi, esseri umani e droghe.
Una vicenda simile a quella della Transinistria è data nel sud della Moldova dalla Gagauzia, con la differenza che l’etnia dominante di questo territorio è turcofona. Come nel caso precedente la popolazione locale non voleva la separazione dall’URSS e temeva una possibile unione tra Romania e Moldova. Le differenze vengono dalla gestione della crisi che ne è derivata.
Ad oggi alla Gagauzia viene riconosciuta una sostanziale autonomia e ampi spazi di autodeterminazione. La minaccia di una effettiva secessione rimane comunque sul tavolo tra il governo centrale e quello territoriale, con l’ombra protettiva della Turchia a gravare su qualsiasi tensione possa insorgere ai danni della popolazione locale. Da questo stato di cose non sono derivati danni economici rilevanti per il PIL moldavo, anzi nella regione sono stati fatti investimenti infrastrutturali da parte turca.
Fino a quando l’ipotesi di fusione o assimilazione da parte romena rimarrà sulla carta lo status di questa regione non dovrebbe cambiare.
Detto del quadro geopolitico locale, già di per sé molto problematico, va affrontato il principale problema moldavo ovvero l’economia. La decisione di perseguire un modello economico di mercato, presa nel 1992, ha portato nell’arco di pochi anni a una gravissima crisi economica, associata a un livello di inflazione molto alto. In assenza di adeguate contromisure e sensa il necessario sostegno di investimenti esteri rilevanti la situazione si è fatta via via più pesante, causando massicci fenomeni di emigrazione e alzando oltre il livello di guardia le tensioni sociali.
Tutto questo si è riflesso sul quadro politico locale, com’era del resto inevitabile. Se nel 1994 l’ascesa del partito Democratico Agrario aveva sancito la sospensione dei progetti federativi con la Romania in favore di ua maggiore coesione nazionale, nel 2001 si è assistito al ritorno del partito comunista locale al potere (primo caso nel quadro delle repubbliche ex sovietiche) che indirettamente causò una notevole frammentazione nei partiti di opposizione senza riuscire nel contempo a migliorare sostanzialmente le cose. Arrivando al 2009 le elezioni portarono a uno stallo. Incapaci di esprimere un governo di coesione nazionale, l’incertezza politica ha portato a un periodo di disordini molto gravi e a far deteriorare ancora di più il quadro macroeconomico.
L’instabilità, dovuta anche a un incompleto quadro di riforme, si è in pratica protratta fino a quest’anno. In marzo l’elezione a presidente della Repubblica dell’ex magistrato Nicolae Timofti è stata valutata da molti osservatori internazionali come un segno tangibile di una recuperata stabilità nel contesto politico moldavo. I fondamentali economici rimangono ampiamente negativi malgrado qualche buon segnale registrato nei primi sei mesi del 2012. La Moldova è quindi ancora da annoverare tra i paesi a rischio, con tutti i rischi del caso per le nazioni confinanti.