Un passo dopo le primarie

La vicenda delle primarie del centro sinistra di quest’anno si presta a molte interpretazioni, al di là di quello che scopriremo essere il risultato finale del ballottaggio di domenica prossima. Ci sono più fattori da tenere in considerazione, sia per quanto riguarda l’immediato che per gli scenari che si configurano per l’anno prossimo. In pratica non vanno a scontrarsi solo due modi diversi di intendere la politica ma anche modalità diverse di progettare il futuro del PD e, per suo tramite, del centro sinistra.

Pierluigi Bersani ha spiegato la settimana scorsa che non intende ricandidarsi come segretario del PD al prossimo congresso. Probabilmente perché intende scindere il suo prossimo, auspicato, ruolo come presidente del consiglio rispetto alla sua attuale funzione di segretario di un partito. Questo comporta due conseguenze: la prima è che si sono aperti i giochi per la sua successione, la seconda è che il prossimo segretario (uso il genere maschile per comodità, non perché auspichi l’esclusione di candidate) dovrà confrontarsi con un PD e un centro sinistra di governo, con l’obbligo di tenere il fronte con la CGIL.

La successione di Bersani avverrà in un quadro inedito. Gran parte della vecchia guardia si è tirata fuori dalle prossime elezioni (Fassino, Veltroni, D’Alema, Melandri), altri sono troppo marginali per poter concorrere (da Marini a Scalfarotto, passando per Fioroni e Ichino), altri papabili sono meno credibili di qualche anno fa (Bindi, Letta) o sono comunque in lista per essere cooptati in un governo di centro sinistra (Fassina, Marino). A un osservatore esterno come posso essere io questa sembra essere una situazione propizia per una mossa efficace da parte di Matteo Renzi.

Il congresso verrà tenuto nel 2013, con ogni probabilità dopo le elezioni politiche di marzo/aprile. Dopo lo sforzo della campagna elettorale, che fin da ora si intuisce piuttosto dura, non sarà una cosa da poco gestire anche la stagione congressuale. Se come sembra probabile Renzi perderà le primarie e rimarrà fuori dalle cariche governative e/o dalle candidature al Parlamento sembra logico presumere che la mobilitazione che ha sostenuto il sindaco di Firenze in questa campagna possa trovare una buona efficacia anche all’interno del PD per il congresso. Da segretario durante un’esperienza di governo del centro sinistra Renzi si troverebbe in una posizione tale da essere condizionante per l’intera legislatura.

Visto che larga parte della dirigenza del PD non vede assolutamente di buon occhio uno scenario come questo con ogni probabilità cercheranno di cooptare Renzi in Parlamento; è verosimile che gli venga proposto in un’ottica di gruppo, del tipo: se vieni a Roma ti facciamo portare un gruppetto dei tuoi, altrimenti si fa tabula rasa sia a Roma che nelle regioni. Piazzare Renzi a Roma comporterebbe fargli anche lasciare la carica di sindaco, chiedere a Manciulli (potente segretario del PD toscano) di trovare una valida alternativa per stroncarne il ruolo locale. Una volta a Roma il potenziale mediatico di Renzi finirebbe per essere annacquato dalle vicende nazionali, il che consentirebbe di metterlo a margine del partito.

Dal canto suo Renzi sa benissimo che in queste primarie si è giocato molto del suo futuro. E’ diventato un personaggio mediatico, ha acquisito un ruolo che prima non aveva, si è messo in mostra come soggetto che esce dai confini del PD e del centro sinistra per attirare su di sé una parte rilevante dei tanti scontenti che sono stati irrimediabilmente delusi dai partiti in questi anni. E’ un capitale notevole, frutto di un investimento altrettanto importante, ma non ha una durata indefinita. Se non vuole diventare una macchietta e finire nel dimenticatoio, Renzi deve pensare alla prossima mossa.

Firenze gli va stretta, questo si sa. La regione Toscana fino a quando l’attuale governatore Ernesto Rossi non vorrà fare un passo indietro o andare a Roma non è facilmente contendibile. Comunque sia anche una regione importante non è un palcoscenico nazionale. Andare in Parlamento da semplice deputato rischia di essere un vicolo cieco e nel governo non avrebbe grandi sbocchi, non con Bersani presidente del consiglio. Uno strapuntino da sottosegretario per lui sarebbe un ruolo troppo dimesso. Questo lascia due possibilità, entrambe di spessore. La prima è contendere il posto di segretario del PD all’attuale dirigenza, con grosse possibilità di farcela. La seconda, già suggerita dai media, è quella di mettersi in proprio e fondare un altro partito con tutti i rischi del caso (vedi l’API di Rutelli o FLI di Fini, cose che contano pochissimo). Avendo alle spalle ampi mezzi finanziari e un ottimo rapporto con i media Renzi può scegliere ma dovrà farlo in tempi stretti, al massimo entro i primi mesi del 2013.

Ancora una settimana

Concluso ieri il primo delle primarie del centro sinistra si possono fare alcune riflessioni, tanto per fissare alcuni punti fermi per i mesi a venire.

Per prima cosa, è stato un salutare esercizio di democrazia e di partecipazione. Proprio per questo ha dato fastidio a chi le primarie le annuncia ma probabilmente non le farà (il Popolo delle Libertà) e a chi non ha nessuna intenzione di procedere ad alcun tipo di conta (Movimento a Cinque Stelle).

Secondo, per quanto siano perfettibili come burocrazia e organizzazione le primarie hanno funzionato e probabilmente andranno bene anche per il turno successivo. Da rilevare che è la prima volta che si tiene un ballottaggio, il che se da un lato mette a rischio la vittoria di Bersani dall’altro assicura un’altra settimana di copertura multimediale enorme per il centro sinistra.

Terzo, chi ha perso per ora si sta comportando in maniera adeguata. Tabacci e la Puppato hanno mostrato la consueta dignità (che bella cosa, da parte di entrambi), Vendola sta limitando le lamentele e non si sta avventurando in narrazioni eterne sull’argomento. Tra tutti balla il 18% dei voti circa, ammesso che i rispettivi supporter si rechino alle urne per il ballottaggio.

Quarto, è evidente che almeno i sostenitori del centro sinistra hanno una gran voglia di votare. Alla faccia di Mario Monti, della Commissione Europea e degli speculatori. La stagione tecnica, almeno come respiro politico, è ampiamente finita. Spero, davvero spero, che a Bersani o a Renzi l’idea sia entrata in testa. Mettersi a caldeggiare ingressi di ministri tecnici questa settimana sarebbe veramente un boomerang.

Quinto e ultimo, la copertura mediatica è davvero buffa. Chiamare a commentare chi non ha nulla a che fare con il centro sinistra o chi osteggia per principio il concetto di primarie ha un che di surreale, per non dire di peggio. La mossa vincente sarebbe stata dare spazio alla gente comune, a chi è stato in fila per poter votare (pagando per farlo). I vari direttori di testata, editorialisti e politici di vari schieramenti non avevano molto di intelligente da dire.

E ora aspettiamo. Di poter chiudere il discorso domenica prossima e di passare questa settimana a sentire se i candidati hanno finalmente voglia di dirci come faranno quello che è compreso nei loro programmi.

Renzi non mi convince

La campagna per le primarie del centro sinistra si sta trascinando sui media più che sul territorio, lasciando un’impressione generale di discorso incentrato solo sui candidati in pieno stile berlusconiano. Cosa pensino Bersani, Renzi, Puppato, Tabacci e Vendola su un qualsiasi tema è rimasto sullo sfondo, ben lontano dalla soglia di attenzione del pubblico televisivo.

Questo focalizzarsi in maniera ossessiva sui candidati stride con l’importanza della cosa. Se davvero si deve scegliere il candidato del centro sinistra alla carica di Presidente del Consiglio dei Ministri per il prossimo quinquennio non dovremmo sapere in che direzione vuole andare? Nel caso di Renzi, Puppato  e Bersani, non dovremmo anche sapere cosa hanno intenzione di fare all’interno del maggior partito italiano?

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Dimostrare una tesi

L’esperienza del governo Monti, per quanto sia ancora in corso, è utile a sostenere una tesi molto pesante a proposito della differenza tra il nostro sistema politico / istituzionale e quello europeo di riferimento ovvero quello tedesco. La tesi può essere riassunta in poche parole: in Italia non esistono le condizioni per un governo di unità nazionale e di conseguenza per attuare un programma di riforme condiviso.

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