La favola del buon padre di famiglia, ove applicata a Umberto Bossi, mi è sempre suonata strana e quanto accaduto nell’ultimo mese me la rende ancora più incredibile. Non tanto per il suo comportamento ma per le reazioni della base leghista, quelli per cui al “capo” si può e si deve perdonare tutto, quelli che portano le scope e urlano contro tutti i fedelissimi di Bossi, gli stessi che erano pronti ad approvare anche la cacciata di Roberto Maroni se da Gemonio fosse venuto l’ordine.
Conosco diversi leghisti della prima ora, gente che si è spezzata la schiena per far partire l’organizzazione e che speso parecchio di suo per aprire sedi, stampare manifesti o spesare i candidati per le elezioni. Sono le persone che hanno davvero creato la Lega Nord, gli stessi a cui penso ora. Sanno. Non possono non sapere. Eppure sono lì, in prima fila a dire che il “capo” non si tocca. A trepidare per le sue sorti e a dire “poverino”, a dipingerlo come preda dei figli, della moglie, dei collaboratori infedeli.
Strano rapporto, quello di Bossi con la realtà. Specialmente quando si parla di soldi. Poco prima delle elezioni del 1992 fa incassare all’allora tesoriere Alessandro Patelli 200 milioni di lire provenienti dal gruppo Ferruzzi. Chi aveva scelto il tesoriere? Proprio Bossi. La vicenda viene scoperta, emerge che Sergio Portesi, fiduciario di Carlo Sama, aveva incontrato proprio il senatùr per concordare la cosa. La sovvenzione di Montedison non era diversa da altre tangenti, vero? Eppure a pagare all’inizio è solo Patelli. Il processo è quello Enimont del 1994, Bossi si prende otto mesi in via definitiva e i 200 milioni vengono restituiti dopo una raccolta fondi tra i militanti.
Si poteva pensare, credo lo si sia fatto, a un grosso errore. Dopo tutto il partito ne era uscito bene, malgrado le condanne in galera non ci era finito nessuno. La Lega Nord era allora un movimento molto giovane e ancora non del tutto strutturato. Da lì in avanti il partito conosce una crescita continua e una sempre maggiore visibilità politica, non solo nazionale. In compenso i soldi sono sempre un problema.
Il fu Maurizio Balocchi, nel ruolo di tesoriere leghista, succede ad Alessandro Patelli e rimane in carica dal 1993 al 2010. Sotto la sua gestione succedono i caos di Credieuronord e si assiste alla vicenda degli investimenti immobiliari in Croazia (villaggi turistici e strutture di supporto). Quanti militanti hanno perso migliaia di euro in queste vicende? Davvero tutti i sodali della Lega Nord hanno creduto nell’assoluta estraneità di Bossi e dei vertici del partito? Magari dopo aver ricevuto a suo tempo le lettere del segretario che invitava a sottoscrivere le quote?
Quanti ancora tra i sostenitori della Lega Nord hanno subito perdite economiche per la concorrenza sleale fatta dagli allevatori che hanno causato tutta la vicenda delle quote latte? Quanti si sono resi conto del carico di multe arrivate dalla comunità europea, decine di milioni di euro ogni anno a carico dello Stato, dell’avere perso altrettanti contributi diretti all’agricoltura per le clausole del PAC?
Del successore di Balocchi, Francesco Belsito, è meglio non parlare dal momento che le indagini sono in corso. Va fatto rilevare però che la nomina di Belsito è stata fatta da Bossi. Politicamente parlando la responsabilità di quanto accaduto dopo, ripeto ancora da verificare, rimane del segretario. Ma non solo sua. Trovo impossibile credere che l’intero vertice nazionale del partito fosse del tutto all’oscuro di quanto è stato fatto in vent’anni di manovre sballate. Eppure, ogni volta, tutti ad applaudire e ad acclamare.
La contrapposizione tra gli amministratori locali, spesso in grado di fare cose di buon livello per il territorio e il vertice nazionale non potrebbe essere più stridente. E non basta l’opera di censura applicata alle lettere in arrivo al quotidiano di riferimento o i filtri messi sulle telefonate alle trasmissioni radio, la pulizia applicata sui siti internet. La base è stanca.
Quello su cui prospera Bossi è la fiducia della sua gente. Il bisogno, a volte insopprimibile, di poter credere in qualcosa, di poter fare qualcosa per la propria terra o di potersi opporre a uno Stato vissuto come nemico. Ma come è possibile avere ancora fiducia? Quante volte il popolo leghista può davvero perdonare il proprio “capo”? Con che spirito si può sottoscrivere ancora raccolte di fondi quando ogni giorno vengono fuori nuove malversazioni, piccole e grandi?
La questione settentrionale esiste e non può essere ignorata da nessuno, men che mai da chi ci vive nel Nord in questione. Così come è legittimo cercare alternative ai maggiori partiti nazionali o trovare un’identità più vicina al proprio sentire nelle tradizioni locali o nella storia (es. La Serenissima). Quello che non si può più fare è continuare a riversare fiducia e denaro in chi non si è dimostrato in grado di meritarlo. Vent’anni di problemi sono abbastanza per esaurire qualsiasi patrimonio di credibilità un uomo possa avere, lo stesso vale per una classe dirigente francamente mediocre.
Fare pulizia e ripartire. Lasciandosi alle spalle il ciarpame e figure diventate obsolete oltre che imbarazzanti. C’è moltissimo da fare, serve la gente giusta per farlo. Il che esclude il vertice attuale, in toto. Anche ammesso che non abbiano mai fatto nulla di contrario alla legge non potevano non sapere. Anche omettere una denuncia fa parte del tradire il mandato popolare, violare in maniera consapevole il legame di fiducia sancito dal voto. Non basta, di fronte ai fatti sbattuti su tutte le prime pagine, nascondersi dietro operazioni di facciata.
Dalla Lega Nord ci si aspetta di meglio che continuare a mandare in giro personaggi di dubbia intelligenza e di scarso spessore. Per rappresentare al meglio i territori di riferimento serve gente seria e consapevole, persone che siano davvero in grado di mettersi al servizio dei propri elettori. Gli altri possono accomodarsi fuori, uscire dalla luce dei riflettori mediatici. Se davvero credono nel movimento che facciano vedere quanto sono bravi a fare i militanti.