The recent struggle between Ukraine and Russia underlined once more a lot of misconceptions about Vladimir Putin, Russia’s foreign policy and the ways to confront in a workable way acts like the invasion of Crimea. The basic idea of portraying Putin like an old-style russian hard case, somebody who will try to set a new USSR, is so deeply wrong to be almost humoristic. Almost.
Moldova
The wind against austerity
The whole mechanism of austerity, enforced in Europe in the last two years, shows now its many cracks. Last Friday (March, 1st) the Bundesrat in Germany blocks the application of the Fiscal Compact due to its economic weight, demanding 3.5 Euro billions in compensation from the federal state. The Bundesrat, that’s under control of SPD-Grunen, opposes PM Merkel and finance minister Schauble decision to put national economy under constriction to reach budget targets for 2013.
This year will be held general elections in Germany and the fiscal issues are one of the major battlefields for the campaign to come. CDU-CSU, Merkel’s party, loses most part of the local elections in 2012 and the leaders of the party are expecting the worst in the months to come. Economics will be the leading argument almost everywhere this year and new formations like “Alternative for Germany” are already speaking aloud about to set a stop to any form of debt financing from Germany and to reset the borders of Eurozone.
In the meantime there are very important demonstrations thru Europe. That’s from Slovenia, a country that’s on the brink of a major political crisis.
This one is from Bulgaria, where demonstrations topped national government a few days ago.
Finally we got Greece, a country that’s on the edge of a full-out revolution any time soon.
Got the pictures? Add to the list Serbia, Spain and Italy. Keep an eye on Hungary, another country that’s ready to blow under its right-wing government. Think about Romania and Moldova too, their financial problems are getting worse day by day.
Austerity is not an answer, not even a little one, in the face of a crisis like this one. Time to set back the clock and rethink the whole situation, before it’s too late.
Future Shocks
This world is gonna change again in the next few years, driven by economic challenges and by the different needs of geopolitical big players. Here’s a brief summary about the major operations:
TAFTA, the Transatlantic Free Trade Area; will force an alliance between NAFTA countries (USA, Canada, Mexico) and EU, preceded by a massive revision of national and international economic policies about agriculture, OGM, steel production, value fluctuation of currencies and so on.
Russia-China, money for oil/gas/coal; Russia desperately needs to invest billions of USD to develop its oil/gas/coal industry, to explore the artic fields and to upgrade its refineries. China needs more and more energy every year, with enourmous mass of money ready to be invested. Advanced trade agreements are already in place.
Turkey as a regional power; it’s already on the move, Turkey sphere of influence covers Lebanon, Syria, Jordan, Armenia, Moldova, Azerbaijan. The future challenge is to confront Israel and Iran on different grounds, in order to expand its influence over Iraq, Libya, Egypt, Tunisia, Algeria and Morocco. It’s an hard game, both on religious and geopolitical sides.
India and its future development; this asian giant will face dramatic changes in a matter of a decade. The need for deep and shocking reforms can’t be delayed anymore with about one billion citizens who are on the edge of a society collapse. The original caste order will not last long, not with Dalit on rampage and the pressure given from the sheer existence of western models of society. The industrial system got to evolve too, in order to avoid the current level of pollution and to raise its salary capacity.
As you may see, each and every one of this operations got serious consequences for geopolical and economic stability of our world. This decade will be remembered.
Moldova, quale futuro?
Il nostro viaggio tra le repubbliche ex sovietiche si conclude qui, nel cuore dell’Europa, con la Moldova. Tra tutti i paesi presi in esame in questa serie di post è quello con la storia più complessa e con le prospettive più incerte, al punto di poter dubitare se esisterà ancora una Moldova nel prossimo futuro. Per fattori geopolitici, etnici, economici e militari potrebbe essere anche ritenuto un “failed state”, alla stregua di Haiti o della Somalia.
Alla base di tutte le vicende moldave ci sono però vicende che risalgono al diciannovesimo secolo, vanno riepilogate per capire meglio cosa è accaduto in seguito. Nel 1812 parte del principato di Moldavia (vassallo e stato fantoccio dell’Impero Ottomano) fu ceduto alla Russia insieme ad altri territori; la Russia ne fece un dipartimento del suo impero (Oblast di Moldavia e Bessarabia) per poi farne un governatorato anni dopo (sotto il nome di Bessarabia, 1871). Il resto del principato di Moldavia si unì alla Valacchia per formare la Romania nel 1859. I russi trasferirono popolazioni russofone, turcofone e gruppi di ebrei nella Bessarabia e in pratica cercarono di sradicare la lingua e gli usi che oggi conosciamo come romeni.
La prima guerra mondiale e la rivoluzione russa del 1917 rimescolarono le carte. La Bessarabia dichiarò la sua indipendenza ed entrò in seguito a far parte della Romania insieme ad altre regioni. La nuova Russia comunista non riconobbe questo stato di cose e in seguito, d’accordo con la Germania nazista, impose alla Romania di cedere la Bessarabia, per poi farne un’altra repubblica sovietica. Nel 1941 tedeschi e romeni ripresero questi territori alla Russia, mantenendoli fino al 1944 quando l’offensiva russa li riconquistò. Nel periodo successivo alla WWII nei territori moldavi furono trasferiti altri cittadini russofoni e venne condotta una campagna per distinguere la lingua e la cultura moldave da quelle romene, tentando così di scavare un solco tra la Moldova e la Romania.
Il primo punto di svolta della vita della Moldova arriva poco dopo le prime elezioni del febbraio-marzo del 1990, tenute con un occhio alle ultime convulsioni dell’URSS. Nell’agosto dello stesso anno una regione della Moldova, la Transinistria, de facto diventa a sua volta indipendente. Questa regione è quella con la più grande presenza di etnie russofone e può contare su un fattore importantissimo, la presenza sul suo territorio di unità della 14esima armata (in parte rimasta in territorio ucraino e ivi nazionalizzata). I motivi di questa separazione sono legati al timore da parte dei russofoni di un assorbimento della Moldova nella vicina Romania, affine per linguaggio e storia alla maggioranza della popolazione moldava, a tutto discapito delle altre etnie (oltre ai russi, vari gruppi slavi e turcofoni).
Tra le due entità è scoppiato un conflitto armato nel 1992, risoltosi in pratica con un nulla di fatto. La Transinistria opera in tutto e per tutto come uno stato indipendente e la presenza militare russa all’interno dei suoi confini ne garantisce la sicurezza da qualsiasi tentativo da parte moldava di ristabilire lo status quo. Questa separazione ha gravemente danneggiato l’economia moldava dal momento che nel territorio separatista si trova la maggior parte dell’industria pesante nazionale oltre che a una significativa capacità di generare energia elettrica.
La Transinistria rimane un territorio economicamente depresso e fortemente indebitato, governato in maniera autoritaria e con grandi spazi lasciati ai cartelli criminali (locali e non), specialmente per quanto riguarda i traffici di armi, esseri umani e droghe.
Una vicenda simile a quella della Transinistria è data nel sud della Moldova dalla Gagauzia, con la differenza che l’etnia dominante di questo territorio è turcofona. Come nel caso precedente la popolazione locale non voleva la separazione dall’URSS e temeva una possibile unione tra Romania e Moldova. Le differenze vengono dalla gestione della crisi che ne è derivata.
Ad oggi alla Gagauzia viene riconosciuta una sostanziale autonomia e ampi spazi di autodeterminazione. La minaccia di una effettiva secessione rimane comunque sul tavolo tra il governo centrale e quello territoriale, con l’ombra protettiva della Turchia a gravare su qualsiasi tensione possa insorgere ai danni della popolazione locale. Da questo stato di cose non sono derivati danni economici rilevanti per il PIL moldavo, anzi nella regione sono stati fatti investimenti infrastrutturali da parte turca.
Fino a quando l’ipotesi di fusione o assimilazione da parte romena rimarrà sulla carta lo status di questa regione non dovrebbe cambiare.
Detto del quadro geopolitico locale, già di per sé molto problematico, va affrontato il principale problema moldavo ovvero l’economia. La decisione di perseguire un modello economico di mercato, presa nel 1992, ha portato nell’arco di pochi anni a una gravissima crisi economica, associata a un livello di inflazione molto alto. In assenza di adeguate contromisure e sensa il necessario sostegno di investimenti esteri rilevanti la situazione si è fatta via via più pesante, causando massicci fenomeni di emigrazione e alzando oltre il livello di guardia le tensioni sociali.
Tutto questo si è riflesso sul quadro politico locale, com’era del resto inevitabile. Se nel 1994 l’ascesa del partito Democratico Agrario aveva sancito la sospensione dei progetti federativi con la Romania in favore di ua maggiore coesione nazionale, nel 2001 si è assistito al ritorno del partito comunista locale al potere (primo caso nel quadro delle repubbliche ex sovietiche) che indirettamente causò una notevole frammentazione nei partiti di opposizione senza riuscire nel contempo a migliorare sostanzialmente le cose. Arrivando al 2009 le elezioni portarono a uno stallo. Incapaci di esprimere un governo di coesione nazionale, l’incertezza politica ha portato a un periodo di disordini molto gravi e a far deteriorare ancora di più il quadro macroeconomico.
L’instabilità, dovuta anche a un incompleto quadro di riforme, si è in pratica protratta fino a quest’anno. In marzo l’elezione a presidente della Repubblica dell’ex magistrato Nicolae Timofti è stata valutata da molti osservatori internazionali come un segno tangibile di una recuperata stabilità nel contesto politico moldavo. I fondamentali economici rimangono ampiamente negativi malgrado qualche buon segnale registrato nei primi sei mesi del 2012. La Moldova è quindi ancora da annoverare tra i paesi a rischio, con tutti i rischi del caso per le nazioni confinanti.