Le tensioni accumulate in tutto il 2011 nell’area del Golfo Persico stanno continuando a definire un quadro geopolitico e strategico sempre più complesso e difficile da interpretare. Se sui media passano i soliti servizi con le immagini diffuse dall’agenzia IRNA sull’ultima esercitazione aeronavale o si riciclano i soliti venti secondi di riprese degli impianti di ricerca iraniani passa un messaggio piuttosto chiaro: l’Iran è il prossimo bersaglio di un’azione militare, il nuovo ostacolo alla pace globale eccetera.
È chiaro che pensare a un governo come quello iraniano che sta per entrare nel club nucleare e che già è molto aggressivo come politica estera, forte della sua posizione come produttore di petrolio e gas, fa squillare allarmi non solo negli stati vicini ma all’intera comunità internazionale. Il flusso di denaro che affluisce ogni giorno nelle casse dello stato è del tutto insensibile alle sanzioni commerciali applicate negli ultimi anni e anche al netto del fattore corruzione, abnorme, finisce per la maggior parte per alimentare i quattro principali gruppi di potere attivi a Tehran e una serie di commerci paralleli ad alto rischio.

Considero miope considerare l’Iran come un monolite ostile, un blocco di settanta milioni di persone che guarda in cagnesco l’Occidente e tutti i suoi vicini. Se per voi l’unico rappresentante del paese è l’attuale presidente, Mahmud Ahmadi-Nejad, state prendendo un grosso abbaglio. Come detto al paragrafo precedente ci sono quattro gruppi di potere rilevanti, tutti in lotta tra di loro per il predominio nazionale e per accaparrarsi una fetta più grande delle risorse del paese. In sintesi abbiamo le forze armate, i Pasdaran, il clero e il crimine organizzato. Noterete che non ho nominato il Majles, il parlamento nazionale, o i movimenti politici di opposizione. Il motivo è che contano zero.
Ogni gruppo controlla parte dell’economia nazionale e contribuisce a determinare gli equilibri politici dell’Iran oltre che a promuovere differenti comportamenti nella politica estera. Le principali industrie del paese, i servizi commerciali, le telecomunicazioni, i media, la produzione agricola e larga parte dell’amministrazione dello stato sono riconducibili a questo o quel gruppo. Il consenso popolare, vero o apparente che sia, deriva dalle logiche con cui vengono erogati crediti, procurati posti di lavoro, concessi permessi per edilizia o per nuove attività, costruite infrastrutture o scuole. Per noi italiani dovrebbe essere semplice comprendere lo stato delle cose, basterebbe pensare a come operavano i partiti della prima repubblica o come agiscono le nostre mafie.
Quando Ahmadi-Nejad si permette sparate pubbliche all’ONU minacciando Israele o gli Stati Uniti non sta facendo dichiarazioni solo per gli stranieri. L’attuale presidente fa parte della fazione dei Pasdaran e usa la propaganda più gradita ai suoi per impressionare l’opinione pubblica del suo paese e per relegare sullo sfondo i militari. Quando Ali-Hoseini Khamenei, la figura religiosa di riferimento e de facto il capo del clero iraniano, tuona contro l’Occidente corruttore e la pessima influenza dei costumi stranieri non fa solo un discorso per la politica interna ma difende il massiccio meccanismo dei bondyar, veri e propri fondi di investimento (ufficialmente per soli scopi caritatevoli) attraverso i quali controlla un quinto dell’economia.
Il crimine organizzato meriterebbe un’enciclopedia a parte, in questa sede va semplicemente ricordato che per posizione geografica l’Iran è il luogo naturale di transito per il contrabbando da millenni e che al suo interno i vari cartelli criminali controllano un mercato degli stupefacenti in grande espansione, la tratta degli esseri umani, la prostituzione, il traffico d’armi e una serie di racket protezionistici che non hanno nulla da invidiare (si fa per dire) a quanto applicato dalle più feroci mafie del mondo. Mafie con cui hanno ampi e documentati rapporti, dalla Russia alla Cina, passando per i cartelli sudamericani e le italianissime ‘ndrine. Il potere criminale si esplicita anche tramite la corruzione dei pubblici funzionari e una penetrazione fortissima dei settori industriali, a partire dall’edilizia. Ricorda qualcosa?
Ho lasciato per ultimi i militari, vera e propria ombra silenziosa del potere iraniano. Hanno in mano gran parte dell’industria pesante e delle attività di ricerca, controllano di riflesso larghi settori della ricerca e sono i principali attori del commercio ‘sensibile’ con le altre nazioni. Hanno trattato con i russi e i francesi per le tecnologie nucleari, con i cinesi e gli indiani per i sistemi missilistici, con l’industria bellica europea per le produzioni su licenza di armi leggere e pesanti, con i rappresentanti della cantieristica navale coreani, norvegesi e italiani per la marina eccetera. Tradizionalmente sono il contrappeso dei Pasdaran, che cercano costantemente di usurparne le funzioni (vedi la vicenda del controllo sulla missilistica sia a uso civile che militare) e che gli contendono il ricchissimo settore dell’import / export di forniture militari. Se non si fosse capito, le sanzioni internazionali e il bandire la compravendita di armi con l’Iran non hanno mai funzionato se non per arricchire una serie di mediatori più o meno ufficiali dentro e fuori i confini iraniani.
Aggiungo che normalmente gli occidentali guardano ai paesi arabi come a una massa indifferenziata dove più o meno succedono le stesse cose che capitano dalle nostre parti. Beep! Errore! È vero che hanno gli stessi problemi di tutte le nazioni ma ci sono delle differenze macroscopiche di cui tenere conto. Invito per prima cosa a documentarsi sulle differenze religiose all’interno dell’Islam (sciti, sunniti, wahabiti) e in seguito ad andare a rivedere come si sono formati gli stati del Medio Oriente. Tornando all’Iran va tenuto presente che ospita al suo interno diversi gruppi etnici, due aree linguistiche principali e diverse comunità religiose. Il fattore tribale, di cui avrete sentito parlare per Afghanistan o Iraq, è decisivo in larghe parti della nazione al punto da condizionare spesso il governo centrale.

Se ci si ferma un momento e si guarda la mappa della regione del Golfo Persico il problema Iran diventa solo un elemento di uno scacchiere molto più complesso. Non dimentichiamo che sullo stesso tratto di mare si affacciano Iraq, Arabia Saudita, Kuwait, Qatar, Oman ed Emirati Arabi Uniti. A presidio di quella che si potrebbe definire l’arteria principale della circolazione del petrolio ci sono nazioni che non definirei proprio pro occidentali o in generale, unicamente interessate alla pace e al business. Malgrado fiorenti rapporti commerciali, partnership industriali e alleanze militari tutte queste nazioni hanno una loro agenda, politica ed economica, che non va proprio di pari passo con la loro facciata pubblica. Va tenuto sempre presente l’elemento religioso ovviamente ma anche tutte le manovre sostenute da tutti i principali player internazionali per sostenere i propri interessi commerciali, così come la presenza degli investimenti arabi nei maggiori fondi di investimento internazionali.
In televisione vediamo l’incrociatore iraniano che lancia un missile, ascoltiamo il blaterare di qualche portavoce che minaccia la navigazione delle petroliere nello stretto di Hormuz o assistiamo all’ennesimo intervento di un esperto che ci spiega quanto è instabile il quadro strategico. Il tutto sempre entro un minuto, mi raccomando. Non sia mai che qualche telespettatore si metta a ragionare con la sua testa. Sembra di assistere a un minuetto, a un ballo di preparazione per il prossimo conflitto. Pare quasi di cogliere in sovra impressione il messaggio ‘attenzione: guerra entro i prossimi sei mesi, prepararsi per la crisi economica’. Farsi la semplice domanda di latina memoria, cui prodest, pare non essere previsto dai più.
Vengono strombazzate di continuo le capacità militari iraniane, giusto? Hanno missili a medio raggio, potrebbero colpire Israele, la sesta flotta USA, le nazioni confinanti, la Giordania, la Siria. Peccato che lo possono fare già da cinque anni e che gran parte della tecnologia necessaria gli derivi dai partner cinesi e russi. Potrebbero minare lo stretto di Hormuz e renderlo impraticabile alla navigazione, giusto? La marina e le relative mine ce le hanno da dieci anni e nessuno ricorda che con tutta quella costa sul Golfo Persico potrebbero dedicarsi alla pirateria e/o al bombardamento via missili delle navi senza alcun problema. Infine, lo spettro telegenico per eccellenza, il nucleare. Sì, l’Iran potrebbe produrre bombe atomiche. Esattamente come qualsiasi paese abbia dei reattori nucleari e un livello tecnologico adeguato. Diventerebbero la potenza regionale per eccellenza, cancellando l’unico vero vantaggio tattico israeliano e minacciando il mondo intero, giusto? Anche ammettendo tutto questo, in cosa l’Iran sarebbe diverso dal Pakistan?
Vediamo, il Pakistan è un paese islamico, ha a disposizione missili a medio raggio, ha nel suo arsenale armi atomiche (anche chimiche e batteriologiche), ha un atteggiamento bellicoso verso i suoi vicini (tre guerre con l’India, bastano?) e appare decisamente instabile oltre che compromesso con il terrorismo (lato Taliban e in chiave anti indiana nel Kashmir). L’unica cosa che differisce sono i proclami anti Israele, materia ritenuta non importante da chi governa il paese ma presente nei discorsi dei leader più estremi, di solito accostati ad altri proclami anti USA e anti occidentali. Quindi se l’Iran è un problema, perché il Pakistan no?
L’altro paragone che viene in mente è con l’Iraq di Saddam Al-Hussein. Vediamo, dove abbiamo sentito concetti come armi di distruzione di massa, potenza regionale ostile, pericolo per Israele e per tutte le nazioni vicine, lancio di missili, minaccia alla circolazione del petrolio nel Golfo Persico? Sì, ricordate bene. In più il dittatore fu così idiota da occupare il Kuwait, dando un casus belli impossibile da ignorare per tutti gli interessati. Difficile ipotizzare mosse analoghe da parte iraniana.
War for Oil, ricordate questo slogan? Era parte fondante delle proteste contro la guerra del Golfo del 1991 e vent’anni dopo non ha perso efficacia. Difficile non vedere interessi economici e/o industriali dietro un conflitto con l’Iran. Interessi non solo occidentali, è bene ricordarlo. Tanto per fare un piccolo esempio il Qatar, lo stesso staterello che ospita Al-Jazeera, sostiene a suon di milioni di dollari una serie di partiti e movimenti di ispirazione religiosa radicale in tutto il mondo arabo ed essendo di ispirazione wahabita non guarda di buon occhio il clero iraniano.
Passando al lato pratico, è fuori di dubbio che un’operazione militare di larga scala condotta dagli USA potrebbe annichilire il dispositivo militare convenzionale iraniano. Accettare un confronto del genere è suicida per qualsiasi paese, con l’eccezione della Cina e della Russia. Dispiegando mezzi sufficienti e utilizzando le basi esistenti in Arabia Saudita, Qatar e Turkmenistan (oltre ai mezzi della marina) alle forze americane potrebbero bastare tre settimane per mettere in ginocchio dall’aria le forze armate, i pasdaran, l’industria, le vie di comunicazioni e le infrastrutture dell’Iran. A fronte di uno sfacelo del genere potrebbe essere difficile anche per gli ayatollah mantenere la presa sul potere.
Altrettanto fuori di dubbio che dopo la fine dei bombardamenti scatterebbe uno stillicidio di azioni ostili contro qualsiasi cosa si presenti a portata di tiro da parte iraniana. A partire proprio dal Golfo Persico che si dice di voler proteggere. Dati i legami con Hezbollah, qualcuno dubita che ci sarebbero fior di attentati in Israele? Ora che ci penso, non era il secondo obiettivo da proteggere? Sempre via Hezbollah, qualcuno dubita della loro possibilità di dare fuoco al Libano? Qualcuno si ricorda anche di Hamas e del peso che ha in Palestina? Ancora una volta torna la stessa domanda: cui prodest?
È noto che io non sono un pacifista. Tuttavia l’era dei conflitti tradizionali è finita e rimanere ancorati agli anni ’90 non ci aiuterà a vivere meglio i conflitti della seconda decade del ventunesimo secolo. Se proprio si deve essere ostili verso l’Iran per depotenziarne il ruolo nella regione non ci sono vie facili. Si deve procedere con gradualità e incidere sull’equilibrio dei poteri interno del paese fino a favorire una fazione a scapito di tutte le altre. Assodato che il clero è la parte più pervicacemente ostile all’Occidente la via migliore per colpirlo è attraverso i suoi investimenti economici, cercando di dare vantaggi competitivi ai concorrenti interni che siano sotto l’influenza dei militari o dei Pasdaran. Suona cinico? Aspettate, non ho finito con il pragmatismo alzo zero. Altro tasto da battere è quello delle differenze etniche all’interno della popolazione. Già ci sono attriti tribali e ruggini secolari tra etnie, se si fomentano ulteriormente queste tensioni si indebolisce lo stato centrale. De facto vuol dire dare assistenza a movimenti terroristici, ci sono diversi gruppi nel nord e nell’est del paese che si sono resi protagonisti di attentati negli ultimi dieci anni.
A pensarci bene non è nulla di nuovo. Lo facevano la CIA e il KGB durante la guerra fredda, lo fanno diversi servizi segreti nel presente (francesi, cinesi, indiani, inglesi, brasiliani, sud africani tanto per fare qualche nome) e neppure noi italianucci siamo esattamente con la coscienza pulita in questo senso. Costa meno che bombardare, no? Ma la via lenta non piace. Non aiuta la speculazione, non fa felici i rappresentanti del settore industriale, non permette di battere sulla grancassa della retorica politica, è la naturale antitesi dei media e del tele convincimento. C’è chi fa circolare l’idea che una guerra, una grassa grossa guerra, convenga all’economia globale. Citano un precedente storico, vero e non molto conosciuto, secondo il quale l’economia degli USA si riprese del tutto dalla depressione del 1929 solo grazie allo sforzo immane della produzione necessaria a sostenere la WWII.
Beep! Ragionamento sbagliato. L’economia del 2012 non assomiglia per nulla a quella del 1941. Il livello di interconnessione moderno e il debito nazionale americano, la massiccia presenza cinese e l’onanismo europeo rendono il quadro generale impossibile da confrontare e del tutto insostenibile il pensiero di un conflitto senza fine nel Golfo Persico. Un tempo gli Stati Uniti potevano sostenere due conflitti e mezzo, nel senso che i mezzi a disposizione del Pentagono consentivano di combattere due conflitti convenzionali a livello regionale e di avere riserve sufficienti per affrontare una terza crisi più limitata in contemporanea. Anche questo fa parte del passato, nel 2012 anche gli americani non sono in grado di affrontare senza patemi un conflitto che duri più di qualche settimana.
L’unica vera speranza è che la primavera araba raggiunga anche Tehran. Nel 1979 gli iraniani dimostrarono con i fatti di essere in grado di sconfiggere un regime crudele con le loro forze. Il giovane Iran di oggi, più istruito e più consapevole, potrebbe essere il faro dell’intero Golfo Persico se riuscisse a liberarsi dei gioghi imposti dalle quattro fazioni al potere. Pareva impossibile che accadesse in Tunisia, impensabile in Libia o in Egitto. Vedremo se sarà possibile in Iran.
Nota #1: le immagini sono state messe a disposizione gratuita tramite il CIA Factbook, pubblicazione anch’essa gratuita messa in linea ogni anno. La trovate sul sito cia.gov
Nota #2: ho adottato la grafia anglofona dei nomi iraniani, data la difficoltà della trascrizione da un altro alfabeto. Così come accade per i nomi russi o cinesi, si trova di tutto sui media come translitterazioni e una scelta va fatta per evitare confusione.
Nota #3: c’è un romanzo del 1997, Kondor di Alan D. Altieri (edito da TEA) ambientato in uno scenario di conflitto tra Occidente e un super stato islamico di deriva sunnita. Lettura inquietante come poche e grandi pagine action.