Cambiare le FFAA italiane

La fine dell’era dei conflitti tradizionali, forze armate nazionali/internazionali contro altre forze armate dello stesso genere, ha una serie di ricadute concettuali notevoli e rischia di rendere sorpassato l’intero concetto di Difesa per come l’abbiamo conosciuto finora. Siamo in un periodo di transizione, dove diventa difficile orientare correttamente gli stanziamenti nazionali per le FFAA sia per quanto riguarda la loro organizzazione che per tutte le questioni logistiche ad esse associate.

Per un paese come l’Italia che nella Difesa investe ben poco del proprio PIL la questione diventa ancora più importante dal momento che una parte della nostra politica estera e dei rapporti con i nostri alleati dipende anche dalla capacità di essere parte delle missioni internazionali di peacekeeping o di presidio contro le attività criminali (es. contro la pirateria). Si potrebbe dire che il caso italiano può costituire un banco di prova per molti altri paesi, dentro e fuori l’Europa, per gli sviluppi futuri del concetto di Difesa.

Queste le condizioni di partenza:

FFAA interamente costituite da professionisti

Settore industriale interno di produzione armi molto sviluppato

Presenza nei consorzi internazionali di sviluppo dei sistemi d’arma

Presenza nei consessi internazionali attivi in varie parti del mondo

Basso livello di budget disponibile

Squilibri nella composizione delle risorse umane

Inefficienze strutturali, logistiche, dipartimentali

Pessimo rapporto con la politica nazionale

Discreta reputazione presso le altre FFAA

Mediocre reputazione sui media internazionali

Attualmente l’Esercito conta su 108.355 effettivi (cifre del 2010), i Carabinieri hanno un organico di 117.943 persone, la Marina Militare arriva a 33.577 unità e l’Aeronautica Militare ha a disposizione 42.960 tra uomini e donne (cifre del 2009). Sono un totale di 302.835 persone, un numero impressionante ma non eccessivo rispetto alla nostra popolazione. Di questi una quota di circa 10.000 effettivi è impegnata a vario titolo all’estero. Va anche considerata un’anomalia italiana, ovvero l’arma del Carabinieri. E’ un ibrido tra un corpo di polizia, una sub forza armata (aviazione, corpi speciali, marina e polizia militare) e in gran parte del territorio nazionale rappresenta lo Stato tout court.

I numeri sopra riportati non presentano uno dei grossi problemi delle nostre FFAA, ovvero la scomposizione della forza tra truppa, sottoufficiali (NCO) e ufficiali. Inoltre non c’è la distinzione tra ruoli logistici e operativi, altro fattore che permette di ragionare sull’efficienza dei propri reparti. Ad oggi abbiamo un numero troppo elevato di alti ufficiali e un rapporto troppo elevato tra numero di NCO e truppa. Fattori che si possono in parte correggere con il ricambio generazionale, alterando gli attuali passaggi di carriera per riequilibrare, ma che richiedono anche azioni molto decise per eliminare tutti gli inutili duplicati della struttura logistica.

E’ evidente come il nostro paese sia in difficoltà economica, i beni del Demanio assegnati alla Difesa e attualmente sotto utilizzati o in disuso devono poter essere convertiti in finanziamenti, leva necessaria per proseguire le opere di modernizzazione tecnologica e per ridare fiato all’industria nazionale, anch’essa investita dalla crisi mondiale. Anche nel campo delle unità disponibili devono essere fatte delle scelte di campo molto dure, anche a discapito dell’orgoglio di qualche alto ufficiale troppo interessato a difendere il proprio orticello piuttosto che l’equilibrio della Difesa nazionale.

Tanto per fare un esempio, attualmente abbiamo in forza due navi con capacità di portaerei, la Garibaldi (CVS-551) e la Cavour (CVH-550), che ogni giorno in cui sono ferme in porto costano centomila euro ciascuna. Il doppio durante le missioni. Il tutto per un appoggio aereo, logistico o bellico, molto limitato e che anche dotando la Cavour del nuovo F-35 Lightning II (peraltro in grave ritardo di sviluppo) non è in grado di spostare gli equilibri in teatro operativo. Demolire unità del genere sarebbe idiota ma venderle? Paesi come il Brasile, l’India, l’Indonesia, il Sud Africa potrebbero essere interessati e avere i mezzi sufficienti per acquistarle. Con quanto incassato si potrebbe concludere senza patemi il programma di costruzione delle unità FREMM, molto più adatte ai nostri compiti di bandiera e in grado di influire positivamente sulla nostra cantieristica.

In un altro post avevo già parlato della decisione, per me assurda, di acquisire il già citato F-35 per la nostra Aeronautica Militare. Non ripeterò le considerazioni già fatte se non per sottolineare il possibile risparmio, quantificabile in miliardi di Euro, a tutto vantaggio dei problemi economici già evidenziati. Sempre a proposito della nostra arma aerea ci sarebbe da riprendere in esame, insieme ai nostri alleati europei, l’intero concetto di velivoli da trasporto per mettere a punto un nuovo progetto che vada finalmente nella direzione di un moderno quadrimotore a basso costo pensionando una volta per tutte il progetto Airbus. Sempre in ambito europeo, dovremmo fare uno sforzo per gestire al meglio il comparto dei droni. E’ in grandissima espansione, consente di utilizzare e sviluppare un know-how dalle ampie ricadute commerciali. Una flotta di velivoli UAV e UCAV sviluppati dalle migliori industrie europee potrebbe candidarsi seriamente al vertice del settore.

All’Esercito è stato chiesto molto in questi anni. Sia dal punto di vista meramente militare che da quello di supporto alla gestione delle calamità naturali, nonché per supportare emergenze d’altro genere (p.e. i rifiuti a Napoli, più volte). Qui la necessità è più legata al personale che non ai mezzi in arrivo o in progettazione. Più volte i media hanno riferito di migliaia di NCO in sovrannumero da destinare in qualche modo ad altre organizzazioni dello Stato (intendendo con questo i Carabinieri, il Corpo Forestale e la Guardia di Finanza). Questione più grave è la pletora di comandi e sotto comandi, abbiamo abbastanza generali da esportarli in mezzo mondo. Da qui discende la necessità già ricordata di sopprimere in tempi celeri le strutture inutili e di gestire nel medio periodo (cinque anni) una ridistribuzione delle unità nel terriotrio nazionale, in modo da poter procedere alla costruzione di nuove strutture (più adeguate alle necessità attuali) e alla dismissione delle strutture esistenti.