Proseguiamo verso sud fino ad arrivare al Turkmenistan, ovvero fino ai confini con Iran e Afghanistan. Questa piccola repubblica, con poco più di cinque milioni di abitanti, è spesso considerata di poco conto, uno staterello dominato dalla presenza del famoso deserto Karakum (le sabbie nere, avete presente?).
Tuttavia questa repubblica è interessante, non fosse altro che per le sue unicità. Dopo la diaspora post sovietica le autorità locali sono passate dal PCUS a un partito unico locale (con dubbio senso dell’umorismo si chiama Partito Democratico) ma il cambiamento più significativo risiede nella concentrazione sulla figura del leader, un modello comportamentale che ricorda ai più il regime della Corea del Nord.
Il primo presidente, Saparmurat Atayevich Niyazov, nell’arco di tempo compreso tra il 1991 e la sua morte, avvenuta nel 2006, aveva accentrato su di sé ogni possibile forma di autorità, agendo più come un sovrano di diritto divino che non come un normale dittatore. Sotto la sua guida la nazione ha mantenuto un profilo ambiguo, mantenendo rapporti con i Taliban e i comandanti dell’alleanza del Nord afgano, per poi passare in seguito a collaborare con gli americani dopo il 2001.
Due referendum degli anni ’90 avevano de facto abolito le elezioni presidenziali, Niyazov era leader a vita del paese. Dopo la sua morte c’è stata una difficile fase di passaggio del potere, il despota non aveva indicato un reale successore. Alla fine l’ha spuntata l’attuale presidente, Gurbanguly Mälikgulyýewiç Berdimuhamedow, che ha ottenuto la carica dopo un’aspra lotta interna. Il nuovo leader pare avere avviato un lento percorso riformista e con le modifiche apportate alla costituzione è stata autorizzata, almeno in teoria, la creazione di nuovi partiti alternativi a quello unico. E’ quindi possibile che nei prossimi anni si possa assistere a una progressiva normalizzazione democratica del paese.
Dato il quadro generale non deve sorprendere come le minoranze siano state duramente represse e discriminate e come il clan del defunto Niyazov abbia sottratto allo stato una fortuna, miliardi di dollari in gran parte custoditi all’estero. Dopo il 2008 ci sono timidi segni di miglioramento anche se il quadro generale rimane tuttora confuso. Dato il pesante controllo statale sui media è difficile avere notizie affidabili, anche le ONG più agguerrite hanno avuto vita dura da queste parti.
L’economia locale si basa su tre fattori: gas, petrolio e cotone. Sulle esportazioni di queste materie prime si basa tutto il presente e il futuro del Turkmenistan. Sono attivi, in costruzione o in avanzatissimo stato di progettazione massicci gasdotti che connetteranno il paese con i mercati dei paesi vicini o per loro tramite con la Cina e l’India. Berdimuhamedow sta progressivamente rendendo più semplice per gli operatori stranieri investire nel paese, altro fattore cardine nello sviluppo turkmeno dei prossimi anni.
Esiste quindi una possibilità concreta di vedere emergere il Turkmenistan nel novero dei paesi democratici oltre che in quello delle nazioni benestanti. Tutto sta nella continuazione dei processo riformista in corso e nell’effettiva volontà del presidente Berdimuhamedow di mettere fine al regime del partito unico.