C’è una massima, citata spesso e attribuita a molti autori, che ci dice che nella crisi c’è un’opportunità. Sembra una frasettina da meme, magari con l’immagine di un cucciolo per fare simpatia. Non lo è. Per quanto tremenda sia una crisi e per quanto nefaste le conseguenze, di contro le opportunità sono più grandi.
Non sto parlando delle questioni speculative, che pur ci sono, e neppure del fatto ovvio che durante le crisi alcuni settori industriali o di servizi tendano a prosperare. Si pensi, come esempio, al comparto biomedicale nelle circostanze attuali. Sono opportunità anche queste, ma non sono quelle che una nazione deve poter mettere in prospettiva in tempi come questi.
Nel settore privato, ormai da decenni, c’è il concetto di “lesson learned”. Per essere più chiari, di quali lezioni ci siano da imparare dai problemi che si sono superati. Questa pandemia ha rivelato scenari inquietanti e messo alla berlina una serie notevole di inadeguatezze nel nostro sistema nazionale. E’ ovvio che non si possa intervenire sul passato, ma è doveroso mettersi nelle condizioni in cui questi errori non si debbano ripetere.
Una trattazione anche modesta di un argomento come questo merita come minimo un saggio, un blog da poco come questo può permettersi al massimo qualche appunto e lasciare qualche domanda all’incauto lettore. Userò come esempio la pandemia, tenete in mente che la cosa vale anche per altri scenari. Cominciamo dall’inizio, ovvero su come si può valutare in anticipo un problema come il Covid-19.

Come è noto, l’Italia sostiene finanziariamente organizzazioni come l’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) e da questo ente riceve indicazioni e informazioni a proposito delle emergenze sanitarie presenti e possibili. Ebbene, l’OMS aveva da tempo informato gli stati membri del rischio crescente di epidemie su larga scala. Nei fatti, dopo aver visto la SARS e la MERS, nonché il diffondersi crescente di altre malattie, non era campato in aria pensare si potesse manifestare un virus in grado di progredire fino alla fase pandemica.
Malgrado queste informazioni, nel 2020 abbiamo scoperto che i piani per simili emergenze erano fermi al 2006. In seguito, che anche quanto previsto in questi piani non era stato attuato o sviluppato nel dettaglio. Ergo, non eravamo pronti. Facciamo un primo momento di riflessione. Uno dei paesi più progrediti del mondo non era pronto allo svilupparsi di una grave crisi, malgrado fosse divenuta sempre più probabile.
Sempre nel marzo 2020, la maggior parte dei nostri compatrioti ha finalmente scoperto come l’aver sistematicamente smantellato parte della sanità pubblica, nonché di altri settori della Pubblica Amministrazione, comportasse un costo drammatico di fronte a una emergenza. Meglio tardi che mai, immagino. Nello stesso periodo, la collettività ha capito come nel paese non ci fosse la capacità industriale di far fronte alla maggiore richiesta di presidi medici (mascherine, camici, reagenti, ecc.) e di macchinari relativamente semplici (ventilatori polmonari, pezzi di ricambio, ecc.).
Nei mesi successivi, la popolazione italiana ha constatato con mano le carenze nei settori della pubblica istruzione, nei trasporti, nella gestione delle infrastrutture. Si è fatto i conti con le debolezze prodotte in decenni di austerità indotta e applicata in maniera asinina, per non parlare della distanza dalla realtà evidenziata dalla nostra classe dirigente. C’è chi ha parlato di “anno zero”, io sono propenso a sperare che tutto questo sia servito a mettere di fronte agli italiani il peso delle loro decisioni collettive.
Ho da tempo passato il limite della soglia di attenzione dei lettori, anche dei più attenti. Quindi ho aggiunto al titolo di questo post la parte “/ 1”, perché di queste cose si scrive con la necessaria calma. Nel frattempo, fate le vostre considerazioni.