Dimostrare una tesi

L’esperienza del governo Monti, per quanto sia ancora in corso, è utile a sostenere una tesi molto pesante a proposito della differenza tra il nostro sistema politico / istituzionale e quello europeo di riferimento ovvero quello tedesco. La tesi può essere riassunta in poche parole: in Italia non esistono le condizioni per un governo di unità nazionale e di conseguenza per attuare un programma di riforme condiviso.

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Burosauri

Quando ci si domanda perché il nostro paese ha dei problemi sul piano economico varrebbe la pena di riflettere su alcune piccole cose, quelle che chiunque può toccare con mano. Un primo esempio è il fascicolo di istruzioni per la compilazione del modello Unico 2012 per le tasse. Centodieci pagine. Questo se ci si limita al fascicolo base, altrimenti la cosa peggiora.

Come mai faranno i nostri vicini europei ad assolvere agli stessi compiti e doveri senza questo livello di complessità burocratica? Mistero. Così come rimane misteriosa la necessità di scrivere questo tipo di istruzioni in un linguaggio ministerial-burocratese, con tanto di norme e contro-norme complesse al punto da rendere necessari incontri tra il ministero e i commercialisti per interpretarle.

Se secondo il World Economic Forum siano al 43esimo posto nella classifica della competitività economica i motivi sono fondamentalmente due, il debito pubblico a livelli altissimi (secondi nel mondo dopo il Giappone) e lo spaventoso livello di burocrazia richiesto alle aziende. Va fatto notare che nella stessa classifica il Giappone è nono. Anche qui, come mai produciamo tutte queste complicazioni, spesso solo cartacee, rispetto ai nostri vicini europei? Siamo tra le Barbados e la Lituania, con tutto il dovuto rispetto per queste nazioni non dovremmo essere lì.

Questo tipo di difficoltà è proprio il soggetto ideale delle famose “riforme a costo zero” con cui ci stanno prendendo in giro da anni. Prima l’ultimo governo Berlusconi, poi il governo Monti, tutti a ignorare le istanze logiche che soggetti come lavoce.info hanno proposto per rimetterci al pari con gli altri paesi evoluti. Le resistenze, più che dalla politica, vengono dalle burocrazie dei ministeri, da funzionari che si comportano da feudatari con la cosa pubblica.

Il malcostume imperante nella nostra repubblica, fin dai suoi inizi, adesso porta il nome elegante di spoil system. Che è poi un modo anglofono per definire la spartizione per quote dei posti da assegnare a uomini e donne graditi a chi va al potere dopo le elezioni. Un sistema divenuto sempre più capillare, fino a condizionare assunzioni ai più bassi livelli. Sui giornali finiscono le nomine degli amministratori delegati o dei presidenti ma tutto quello che accade sotto a quel livello rimane nell’ombra salvo scandali.

Decenni di malaffare ci hanno lasciato in eredità queste paleoburocrazie, sovradimensionate fino ad accogliere generazioni di raccomandati e per nulla interessate a qualsiasi variazione dello status quo. Ne sanno qualcosa Bassanini e Bersani, lo scoprì Brunetta, emerge di quando in quando allo scoppiare dello scandalo del giorno. Poi torna la quiete e gli strati melmosi dei ministeri recuperano la loro staticità, impervi a qualsiasi titolo di giornale o inchiesta televisiva. Questo regno dei timbri, regolamentato da norme che avrebbero fatto la felicità di qualsiasi enigmista, è diventato il freno maggiore all’evoluzione del nostro paese.

Cambiare le FFAA italiane

La fine dell’era dei conflitti tradizionali, forze armate nazionali/internazionali contro altre forze armate dello stesso genere, ha una serie di ricadute concettuali notevoli e rischia di rendere sorpassato l’intero concetto di Difesa per come l’abbiamo conosciuto finora. Siamo in un periodo di transizione, dove diventa difficile orientare correttamente gli stanziamenti nazionali per le FFAA sia per quanto riguarda la loro organizzazione che per tutte le questioni logistiche ad esse associate.

Per un paese come l’Italia che nella Difesa investe ben poco del proprio PIL la questione diventa ancora più importante dal momento che una parte della nostra politica estera e dei rapporti con i nostri alleati dipende anche dalla capacità di essere parte delle missioni internazionali di peacekeeping o di presidio contro le attività criminali (es. contro la pirateria). Si potrebbe dire che il caso italiano può costituire un banco di prova per molti altri paesi, dentro e fuori l’Europa, per gli sviluppi futuri del concetto di Difesa.

Queste le condizioni di partenza:

FFAA interamente costituite da professionisti

Settore industriale interno di produzione armi molto sviluppato

Presenza nei consorzi internazionali di sviluppo dei sistemi d’arma

Presenza nei consessi internazionali attivi in varie parti del mondo

Basso livello di budget disponibile

Squilibri nella composizione delle risorse umane

Inefficienze strutturali, logistiche, dipartimentali

Pessimo rapporto con la politica nazionale

Discreta reputazione presso le altre FFAA

Mediocre reputazione sui media internazionali

Attualmente l’Esercito conta su 108.355 effettivi (cifre del 2010), i Carabinieri hanno un organico di 117.943 persone, la Marina Militare arriva a 33.577 unità e l’Aeronautica Militare ha a disposizione 42.960 tra uomini e donne (cifre del 2009). Sono un totale di 302.835 persone, un numero impressionante ma non eccessivo rispetto alla nostra popolazione. Di questi una quota di circa 10.000 effettivi è impegnata a vario titolo all’estero. Va anche considerata un’anomalia italiana, ovvero l’arma del Carabinieri. E’ un ibrido tra un corpo di polizia, una sub forza armata (aviazione, corpi speciali, marina e polizia militare) e in gran parte del territorio nazionale rappresenta lo Stato tout court.

I numeri sopra riportati non presentano uno dei grossi problemi delle nostre FFAA, ovvero la scomposizione della forza tra truppa, sottoufficiali (NCO) e ufficiali. Inoltre non c’è la distinzione tra ruoli logistici e operativi, altro fattore che permette di ragionare sull’efficienza dei propri reparti. Ad oggi abbiamo un numero troppo elevato di alti ufficiali e un rapporto troppo elevato tra numero di NCO e truppa. Fattori che si possono in parte correggere con il ricambio generazionale, alterando gli attuali passaggi di carriera per riequilibrare, ma che richiedono anche azioni molto decise per eliminare tutti gli inutili duplicati della struttura logistica.

E’ evidente come il nostro paese sia in difficoltà economica, i beni del Demanio assegnati alla Difesa e attualmente sotto utilizzati o in disuso devono poter essere convertiti in finanziamenti, leva necessaria per proseguire le opere di modernizzazione tecnologica e per ridare fiato all’industria nazionale, anch’essa investita dalla crisi mondiale. Anche nel campo delle unità disponibili devono essere fatte delle scelte di campo molto dure, anche a discapito dell’orgoglio di qualche alto ufficiale troppo interessato a difendere il proprio orticello piuttosto che l’equilibrio della Difesa nazionale.

Tanto per fare un esempio, attualmente abbiamo in forza due navi con capacità di portaerei, la Garibaldi (CVS-551) e la Cavour (CVH-550), che ogni giorno in cui sono ferme in porto costano centomila euro ciascuna. Il doppio durante le missioni. Il tutto per un appoggio aereo, logistico o bellico, molto limitato e che anche dotando la Cavour del nuovo F-35 Lightning II (peraltro in grave ritardo di sviluppo) non è in grado di spostare gli equilibri in teatro operativo. Demolire unità del genere sarebbe idiota ma venderle? Paesi come il Brasile, l’India, l’Indonesia, il Sud Africa potrebbero essere interessati e avere i mezzi sufficienti per acquistarle. Con quanto incassato si potrebbe concludere senza patemi il programma di costruzione delle unità FREMM, molto più adatte ai nostri compiti di bandiera e in grado di influire positivamente sulla nostra cantieristica.

In un altro post avevo già parlato della decisione, per me assurda, di acquisire il già citato F-35 per la nostra Aeronautica Militare. Non ripeterò le considerazioni già fatte se non per sottolineare il possibile risparmio, quantificabile in miliardi di Euro, a tutto vantaggio dei problemi economici già evidenziati. Sempre a proposito della nostra arma aerea ci sarebbe da riprendere in esame, insieme ai nostri alleati europei, l’intero concetto di velivoli da trasporto per mettere a punto un nuovo progetto che vada finalmente nella direzione di un moderno quadrimotore a basso costo pensionando una volta per tutte il progetto Airbus. Sempre in ambito europeo, dovremmo fare uno sforzo per gestire al meglio il comparto dei droni. E’ in grandissima espansione, consente di utilizzare e sviluppare un know-how dalle ampie ricadute commerciali. Una flotta di velivoli UAV e UCAV sviluppati dalle migliori industrie europee potrebbe candidarsi seriamente al vertice del settore.

All’Esercito è stato chiesto molto in questi anni. Sia dal punto di vista meramente militare che da quello di supporto alla gestione delle calamità naturali, nonché per supportare emergenze d’altro genere (p.e. i rifiuti a Napoli, più volte). Qui la necessità è più legata al personale che non ai mezzi in arrivo o in progettazione. Più volte i media hanno riferito di migliaia di NCO in sovrannumero da destinare in qualche modo ad altre organizzazioni dello Stato (intendendo con questo i Carabinieri, il Corpo Forestale e la Guardia di Finanza). Questione più grave è la pletora di comandi e sotto comandi, abbiamo abbastanza generali da esportarli in mezzo mondo. Da qui discende la necessità già ricordata di sopprimere in tempi celeri le strutture inutili e di gestire nel medio periodo (cinque anni) una ridistribuzione delle unità nel terriotrio nazionale, in modo da poter procedere alla costruzione di nuove strutture (più adeguate alle necessità attuali) e alla dismissione delle strutture esistenti.

Concordia – Una storia Italiana

Questo post è un articolo di Cristiano Pugno, alias Beppeiaf, io ho contributo solo in minima parte per integrare alcune informazioni. Data la rilevanza dell’argomento abbiamo deciso di comune accordo di pubblicarlo entrambi. Il post originale lo trovate qui.

 

Ho aspettato a lungo a scrivere questo articolo, ho volutamente aspettato che si placassero le polemiche dei primi giorni, il clamore e lo sciacallaggio dei media alla ricerca della facile lacrima.

A mente fredda vorrei ragionare su quello che è accaduto davanti a “Giglio Porto” quasi un mese fa.

Non mi interessa sapere cosa è successo o di chi è la colpa, partiamo dal dopo. La nave ha urtato uno scoglio semi-sommerso e causa l’ alta velocità ha sfracellato circa 70 metri dell’ opera viva (la parte di nave che normalmente è sott’ acqua).

Da quel momento siamo ritornati indietro di 100 anni. La compartimentazione non ha tenuto o non è stata sufficiente e l’ acqua è entrata in sala macchine, i motori si sono spenti. Nel momento in cui una nave ha i motori spenti è come un fermacarte, niente propulsione, niente pompe di sentina, niente timone.

Ma non avrebbero dovuto esserci dei sistemi di sicurezza rindondanti? In teoria sì e forse qualcosa è rimasto visto che le immagini della Concordia nei primi momenti la mostrano con tutte le luci accese e sembra che il Comandante sia riuscito a calare le ancore.

E qui iniziano le domande. E’ possibile che una nave di quelle dimensioni possa perdere l’ equilibrio con uno squarcio di soli 70 metri su di un lato della carena? Quali sono gli indici di sicurezza per il ribaltamento utilizzati per certificare una nave di quella stazza?

Ma a bordo cosa stava succedendo?

La ricostruzione è confusa, non si capisce se la catena di comando è salda. Se il personale ha presente il suo ruolo nella gestione dell’ emergenza. Testimonianze e registrazioni amatoriali sembrano dimostrare che parte del personale non fosse neppure in grado di comunicare in inglese con i passeggeri o di come seguire le procedure standard di evacuazione.L’ unica cosa che posso capire è la ritrosia del Comandante a schiacciare il pulsante dell’ “abbandono nave”.

Normalmente il Comandante di un imbarcazione (di qualsiasi dimensione) è Dio, ed ha praticamente tutti i poteri senza nessuna democrazia, rispetto a qualche secolo fa è stata eliminata la possibilità di gettare a mare clandestini e pirati ma per il resto siamo ancora ai tempi di Drake; dopo aver premuto il tasto per Lui si innescano una serie di meccanismi che possono stritolarlo.

Da una parte l’ Armatore che vuole la sua pelle per aver abbandonato 500 milioni di euro, dall’ altra la Capitaneria di Porto che deve gestire l’ emergenza, e poi 4200 persone (praticamente una città) da far scendere da una nave che si sta inclinando senza controllo.

A posteriori e con una buona dose di cinismo possiamo dire che l’ evacuazione è stata un successo. Percentualmente le perdite sono state bassissime e portare a terra 4200 persone in massima parte non addestrate è un risultato ottimo.

Chi parla delle vittime che si sarebbero potute salvare non ha idea di cosa dice, nemmeno se fossero stati 4200 marinai professionisti ci sarebbero state zero vittime in quelle condizioni, anche se tutto è perfettibile.

Purtroppo il dilagare del panico e la mancata conoscenza della situazione da parte degli occupanti è stata fatale, se avessero combattuto il panico sarebbero potuti scendere con tranquillità anche la mattina dopo. Una nave di quelle dimensioni fornisce sicurezza, calore e asciutto per ore dopo il naufragio ed è molto più stabile di una zattera autogonfiabile. Forse anche questo è stato il pensiero del Comandante, ha sperato di poter tenere tutti a bordo sino all’ arrivo dei soccorsi.

Giriamo ancora pagina.

Chi ha gestito i soccorsi?

Qui il groviglio diventa inestricabile. La prima chiamata arriva ai Carabinieri (sic.), che la girano alla Capitaneria di Porto, questi telefonano al Comandante. Dopo varie conversazione chiamano una vedetta della Guardia di Finanza chiedendo di andare a vedere la situazione!

E intanto i minuti passano. Il concetto di ‘golden hour’, noto a chiunque si occupi di soccorso vale per estensione anche in caso di disastri come questi. Quanto tempo si è perso?

Alla motovedetta della GdF si aggiungono: Capitaneria di Porto, Carabinieri, Polizia di Stato, Vigili del Fuoco, Protezione Civile, Marina Militare ovviamente ognuno con i suoi standard, linee di comando e protocolli di intervento. In più una pletora di autorità civili che a vario titolo chiedono informazioni e cercano di mettere a disposizione il necessario per ospitare / soccorrere i naufraghi.

Vivvadio almeno in mare le frequenze radio sono le stesse per tutti.

In un modo o nell’ altro arrivano quasi tutti a terra.

Per alcuni giorni il balletto dei dispersi (comprensibile) alterna gioia e disperazione dei parenti, poi dopo il salvataggio degli ultimi tre intrappolati nella nave da parte dei Vigili del Fuoco il clamore si placa. Ma sulla nave continuano ad operare gli speleo-sub dei VdF, i sub di Carabinieri, Polizia e GdF, gli incursori del ComSuBin. Tutto sotto l’ occhio vigile della Protezione Civile e degli specialisti di recupero della ditta incaricata dall’ Armatore.

Ma vi sembra normale?

Tagliamo spese sociali con l’ accetta e non vogliamo prendere in mano la questione dell’ organizzazione della vigilanza e del soccorso in mare.

Quando capiremo che sul mare, per le operazioni civili, deve esserci un unico soggetto (Capitaneria di Porto) ad operare sul modello della Us Coast Guard americana? Sino a che continueremo a mantenere una pluralità di soggetti non riusciremo ad investire le risorse necessarie per avere un corpo all’ altezza delle sfide del nuovo millenio. L’unica eccezione deve rimanere il CSAR (Combat Search And Rescue), di stretta competenza militare (nel caso italiano della Marina Militare).

Sul territorio, per laghi e fiumi tanto per capirci, ha senso che se ne occupino i VdF. Il personale dei CC, GdF e Polizia deve essere assegnato ad altri compiti, legati alla sicurezza dello Stato e alla prevenzione del crimine. Già eliminare i centri di costo e semplificare le gare d’appalto sarebbe foriero di risparmi notevoli, unificare la formazione e l’aggiornamento del personale, semplificare la catena di comando e gestire in maniera diversa la comunicazione con enti come la Protezione Civile e le Prefetture migliorerebbe in maniera impressionante tempi e modi di intervento.

Tempi come questi, dove tagliare è diventato l’unico orizzonte, devono essere proprio quelli che consentono di eliminare gli orticelli creati per intascare soldi dello Stato e tutte le ridondanze che ci allontanano dall’efficienza dei nostri partner europei.

Oggi il sistema Italia rincorre le emergenze e si affida solo alla capacità di improvvisazione dei nostri operatori, loro sì spesso in grado di supplire alle idiozie della disorganizzazione. Vicende come quella della Concordia ci danno un messaggio molto chiaro. Così non possiamo andare avanti.

Pensioni & precariato

Avvertenza: questo post si occupa di pensioni e precariato. Non in maniera sarcastica e/o ironica. Se cercate umorismo, tornate un altro giorno.

Bene, dopo aver fatto fuggire a galassie di distanza i lettori posso serenamente passare a una disamina sul tema pensioni, con particolare attenzioena quelle dette di anzianità. Pare siano diventate il nemico pubblico numero uno, l’unica chiave per risolvere i mali che affliggono l’economia italiana. Per ora si avviano a diventare l’ennesimo casino e il primo macigno da spostare per il nuovo governo.

La prima cosa da dire è che si sta facendo del terrorismo mediatico, a tutto danno di chi è già in pensione. Parlare a ruota libera di abolizione delle pensioni di anzianità senza specificare che non vengono toccate quelle attualmente in erogazione è criminale. Dovrebbe essere la prima frase di apertura, l’incipit del discorso: care cittadine, cari cittadini, le pensioni che vi stiamo pagando NON si toccano.

La seconda cosa è più complessa e riguarda anche il precariato. Se in generale si passa al metodo contributivo, la cosa funziona ovviamente solo se si lavora con continuità e per stipendi al di qua della linea della decenza. Già i part time sono problematici in questo sistema, figurarsi chi si arrabatta a lavorare un mese qui e l’altro là, con contratti a tempo e pagamenti ridicoli come importo.

Terza cosa, legata alla seconda. Dove li mettiamo quelli che non stanno lavorando o studiando? Molti di loro in realtà stanno lavorando in nero, sottopagati  e in condizioni di sicurezza / igiene discutibili. Il che li rende dei perfetti sconosciuti per l’INPS e il resto dell’amministrazione dello Stato. Zero contributi, zero riconoscimenti. In un quadro del genere si va verso una catastrofe sociale.

Quarta cosa, sempre legata al problema di base, ovvero la flexsecurity. Se è vero che l’attuale sistema di ammortizzatori sociali è inefficiente e non arriva a coprire tutti mettersi a teorizzare di portare in Italia il sistema di altri paesi applicandone solo alcune parti è un incubo. Combinare salari italiani e flessibilità anglo-tedesca senza applicare in maniera integrale gli altri strumenti (salari per i disoccupati, contratti di lavoro e relative integrazioni, salvaguardie per la maternità/paternità, salvaguardie per l’assistenza a malati o disabili, pari opportunità di genere reali) vuol dire andare consapevolmente incontro alla guerra civile nell’arco di pochi anni.

Quanto sopra esposto va ad aggiungersi alla marea di problemi sociale ed economici causati dal precariato. Quello che doveva essere un percorso formativo nei primi anni di ingresso nel mercato del lavoro e in seguito una migliore gestione del passaggio da un incarico all’altro si è trasformato, fin dall’inizio, in una situazione dove perdono sia i lavoratori che lo Stato (stipendi bassi e nessuna sicurezza, meno contributi epiù instabilità sociale).

Il diffondersi di situazioni ingiuste ha letteralmente avvelenato il clima in moltissime aziende con il crescente impiego di precari in posizioni di pari responsabilità e incarichi rispetto ai colleghi che sono impiegati con contratti a tempo indeterminato. Pensare che non si creino tensioni tra chi prende mille euro al mese (quando va bene) e chi ne prende 1400-1500 o che non sorgano problemi legati alle conferme degli incarichi o per questioni di tutti i giorni come la malattia, le ferie o i permessi di maternità è a dir poco demente.

L’accumularsi dei problemi sopra citati e la presenza ormai di due generazioni di precari con sempre meno diritti, a cui va aggiunto chi è nella parte finale del corso di studi, mette in opera nel nostro paese le premesse per un disastro sociale senza precedenti. Non stiamo parlando di qualcosa che succederà tra 500 anni, mi aspetto cose pesanti già in questo decennio.

Che risposte danno la nostra società, il nostro sistema di welfare, ai soggetti più deboli?

Se il concetto di pensione d’anzianità viene rimosso, che succede?

Facciamo un esempio. Il signor X ha lavorato in maniera precaria per tutto l’arco della sua vita lavorativa. Pochi contributi, stipendi mediamente bassi, pochissimi risparmi (a essere ottimisti), difficilmente ha una pensione integrativa (non alla portata del suo reddito, non per cattiva volontà). Bene, il signor X è arrivato a un’età per la quale non ce la fa più a lavorare o è stato del tutto emarginato dal mercato del lavoro. Come campa?   Se ha famiglia, come campano anche loro?

Altro esempio. La signora Y ha lavorato qualche anno full time, con contratto a tempo indeterminato. Diciamo dieci anni. Poi ha avuto un paio di figli e da allora non ha mai potuto andare oltre al part time, quelle volte che l’ha trovato. Anche la signora è arrivata a fine periodo lavorativo. Come campa? Dov’è la sua pensione?

Anni fa si parlava di ‘gobba’ contributiva, ovvero di un picco di richieste per l’INPS tale da far crollare l’ente. A sentire gli esperti il problema verrà risolto definitivamente nei prossimi anni con il progressivo innalzamento dell’eta pensionabile. Sarà. Ma le persone di cui parlavo prima? Ci aspettiamo che improvvisino? Verranno rottamate in appositi campi? Usate come soprammobili? La sfida dei prossimi anni è proprio questa, creare un sistema equo che riesca a sanare anche gli abusi commessi a partire dal 1995.