Siamo arrivati al paradosso, un nodo gordiano che temo vedrà una soluzione finale brusca quanto quella attribuita ad Alessandro il Macedone. La differenza è che il sovrano si trovava in una situazione di conquista e lo scopo di sciogliere il nodo era evitare un assedio potenzialmente difficile, qui siamo in presenza dell’estrema conseguenza di un modello di sviluppo globale. Alessandro sapeva cosa sarebbe successo in tutti i casi, noi ci troveremmo in un contesto totalmente nuovo.
Cosa forma il nodo? L’intreccio apparentemente inestricabile tra finanza e debito pubblico degli stati. La massa di titoli emessi dai vari governi è diventata la moneta di scambio e il puntello di tutte le grosse operazioni speculative oltre ovviamente ad adempiere il suo ruolo di procurare liquidità alle nazioni che li emettono. Già le speculazioni valutarie degli anni ’90 avevano dimostrato che questo intreccio è intrisecamente pericoloso e la crisi che è partita nel 2008 ha ribadito il concetto con una forza mai vista prima.
Chi sono questi speculatori di cui si parla tanto? Si tratta di una ventina di grossi operatori, equamente divisi tra fondi d’investimento e banche d’affari. Sono basati principalmente negli Stati Uniti, in Giappone e nel Medio Oriente. JP Morgan Chase, UBS, Nomura, HSBC… i nomi sono sempre quelli, dopo gli anni ’80 non ci sono state novità reali in questo senso. Lo stesso vale per Blackrock, Schroder, Templeton… sono società conosciutissime che non di rado hanno espresso personaggi passati al servizio di qualche governo.
Il concetto di speculazione trova poi due alleati naturali che con il tempo si sono rivelati in grado di esprimere relazioni simbiotiche con questi movimenti di denaro: le borse e il sistema bancario. Le prime hanno evoluto il loro sistema in modo da consentire negoziazioni a tutte le ore e scambi a mercato ufficialmente chiuso, le seconde sono passate da un modello ottocentesco in cui si sostenevano con i propri capitali a un sistema di finanziamento interbancario decisamente meno trasparente in cui offrono a garanzia di prestiti di breve o brevissimo respiro il proprio parco titoli, per la maggior parte costituito da titoli di Stato.
La speculazione è motivata solo da una cosa: guadagnare nel minor tempo possibile. Il corollario è dato dal rischio, enorme, per chi non ha alle spalle capitali rilevanti. Questa spinta, sempre in aumento a partire dagli anni ’80 del secolo scorso, ha nel tempo allontanato sempre di più i valori reali dell’economia da quelli della massa monetaria in circolazione. Una valutazione prudente, fatta dagli economisti de lavoce.info, situa il rapporto tra euro basati sulla realtà ed euro basati solo sulla speculazione come uno a cinque. Altre stime fanno arrivare questo rapporto molto più in alto fino a un folle uno a venti.
Questa spinta, unita alla mala gestione economica di molte nazioni, ha portato anche il debito pubblico degli Stati a valori allucinanti. Un paese come il nostro è vicino ai 1900 miliardi di euro, molto superiore alla ricchezza che produciamo in un anno. Nessuna azienda privata potrebbe reggere un indebitamento simile a lungo, nessun istituto di credito accorderebbe prestiti o fidi a una realtà del genere. Discorsi simili si possono fare per molti paesi europei, per il Giappone, per gli USA e le prime crepe appaiono anche in Cina dove le municipalità si sono indebitate in maniera abnorme per la realizzazione di infrastrutture e per seguire un boom edilizio che appare a dir poco malato.
Bisognerebbe tirare il freno, rallentare la corsa di questa macchina. Ma nessuno ha la volontà di farlo, non mentre si generano profitti con un rosario di zeri dopo la cifra e una miniera di bonus plurimilionari per i top manager delle società. Denaro fasullo genera soldi veri, proprietà e lusso. È un paradosso ma a quanto pare funziona per un ristrettissimo numero di persone. Se si verificano i rendiconti delle società citate prima sfornano numeri da paura per quanto riguardano le retribuzioni dei dirigenti tra denaro e benefit di valore, il tutto a fronte di prestazioni che potrebbero essere discutibili in termini di vantaggi per gli azionisti o per il valore creato.
È necessario un cambio di paradigma prima di tutto. Il modello liberista è fallito, le ideologie sono tutte morte e la sola cosa da fare è essere pragmatici. Entità come i paradisi fiscali sono anacronismi che non ci possiamo più permettere, non sono più tollerabili nazioni che si pongono al di fuori delle regole. Questo vale per il Vaticano come per le Bahamas, per il principato di Monaco come per Macao. I meccanismi che regolano le transazioni nelle borse mondiali devono essere a lor volta semplificati con la definitiva abolizione di immondizia come le vendite allo scoperto o le operazioni over the counter.
La massa artificiale di denaro che c’è in circolazione va progressivamente ristretta, così come il numero dei titoli altrettanto artificali che hanno inquinato i mercati. Penso al proliferare dei credit default swap e ai numerosi titoli-scatola che contengono al loro interno mix di altri titoli, un altro esercizio di idiozia. Queste risorse, questi numeri presenti solo su computer, vanno convertiti in investimenti e ‘asciugati’ dal loro impiego. Ce n’è abbastanza per risanare il pianeta, non sto scherzando.
I manifestanti di occupy Wall Street e simili inalberano spesso cartelli che dicono ‘noi siamo il 99%’, è una semplificazione che ha il pregio di evidenziare come esista una parte minuscola della popolazione mondiale che ha in mano le redini dell’economia. Benissimo. Ma queste persone hanno nomi e cognomi, residenze conosciute e tutto il resto. Non vivono sulla Luna. Se davvero la pressione economica continuerà ad aumentare, trascinando con sé alti livelli di disoccupazione e calo dei livelli di assistenza, aumento della povertà e peggioramento di tutti i settori del lavoro, quanto tempo credete che passerà prima che qualcuno si ricordi dei sequestri dei dirigenti d’azienda fatti in Francia? O quanto tempo credete passerà prima di vedere gettare molotov nella city londinese?