The rise and fall of the fandom

Rise and Fall

Rise and Fall (Photo credit: Wikipedia)

Being a sci-fi fan for more than thirty years has been a great ride so far, but I can’t help to notice that fandom is changing again and I’m not sure that I like the new situation.

This is not about the sad/bad puppy campaign for the Hugos or related rants, nor it’s about a specific set of people. It’s about the changes that are in motion, my personal feelings and a handful of ideas about what’s going on.

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Dieci piccoli troll (e non ne rimase nessuno)

Nello scorso week end ho intrapreso i passi necessari per impedire la frequentazione di questo blog a un troll. Niente di strano, questo problema più o meno ce l’abbiamo tutti. Il punto è che si tratta del decimo della serie, in circa un anno e mezzo sulla piattaforma WordPress.

Nelle mie esperienze precedenti nella blogosfera (su Virgilio e su LiveJournal) in tre anni non ero arrivato a un numero del genere, il che fa pensare.

Quello che mi sento di affermare è che il livello di frustrazione generale sembra essere lievitato e che dietro a una tastiera c’è sempre più gente che va a caccia di attenzione o di possibili rivalse.

dont-feed-the-troll

Questo blog può essere definito come periferico. Nel senso che viene promosso poco, raccoglie poche visite e l’ho tenuto lontano da tutta una serie di argomenti che normalmente attirano attenzioni indebite. Quindi come mai questi personaggi scelgono di passare di qui?

Da un lato penso sia un discorso generale, posso ben immaginare come  personaggi del genere possano passare le loro giornate a spazzolarsi 100-150 blog per fare le loro cose e provare a scatenare flame o a ricevere risposte inacidite. Dall’altro alcuni di questi troll vanno molto sul personale e sembrano cercare di attaccare il blogger più che le sue opinioni.

La mia politica in merito è abbastanza semplice. “Ban” immediato per chi si comporta da troll, avviso amichevole via email a chi secondo me è sul punto di passare la frontiera e denuncia alla Polizia Postale per chi dovesse arrivare oltre i limiti di legge.

NetTroll

Al di là di altre considerazioni la parte peggiore rimane sempre quella delle motivazioni. Cosa spinga persone normalissime ad agire in maniera inconsulta, come mai nelle loro giornate non ci sia qualcosa di più interessante e/o costruttivo da fare. C’è chi la considera una manifestazione di una patologia, chi ci vede i prodromi di problematiche più gravi o di veri e  propri disordini mentali. Non essendo uno psicologo o uno psichiatra non ho le qualifiche necessarie per dare un parere medico.

Da blogger e da veterano della Rete mi permetto di dire che tutta questa energia, se diretta in modo più costruttivo, potrebbe essere molto utile. C’è una serie infinita di buone cause che avrebbero bisogno di più sostegno e muoversi in quella direzione sarebbe davvero un bel cambiamento.

Soldi, carta e bit

Questo è un paese buffo, dove il concetto di passato sembra non riuscire ad attecchire. Ogni volta che si presenta un qualsiasi cambiamento sorgono le stesse resistenze, si esprimono gli stessi argomenti per combattere battaglie di retroguardia totalmente inutili, per lo più basate su preposizioni espresse come assiomi matematici che si vogliono essere indiscutibili.

E’ pienamente comprensibile esprimere dissenso o proporre alternative ma non sarebbe male farlo con qualche argomento logico o almeno dopo aver svolto il minimo sindacale di ricerca. Mi riferisco alla discussione assurda che dura da mesi sull’inesistente guerra tra libri in formato cartaceo versus ebook. Viene teorizzato uno scenario apocalittico che porterebbe alla scomparsa dei supporti cartacei, alla rovina di tutte le librerie, al crollo fragoroso dell’industria editoriale fino alla “sicura” scomparsa della cultura della parola scritta data la “nota” inaffidabilità dei supporti informatici.

La discussione parte quindi da uno scenario di povertà intellettuale sconfortante, probabilmente frutto di quell’istinto per la polemica che affligge gran parte dei nostri connazionali. Verrebbe anche da mettere in stretta relazione i fattori culturali noti, tipo lo scarso livello di istruzione riscontrato ai test rispetto alla media europea e il bassissimo livello di lettori forti certificato più volte dall’ISTAT, con questo continuo vociare sui social network e nella blogosfera.

Vediamo di dare uno sguardo al recente passato, esercizio utile quando si vuole fare analisi su cambiamenti che presentano forti similitudini. Qualche anno fa il mondo della musica commerciale si trovò ad affrontare il primo vero salto tecnologico, ovvero il diffondersi di supporti magnetici a fianco della tradizionale versione su vinile. Ho abbastanza anni da ricordare una serie di polemiche sulla purezza del suono, su come si perdesse una parte dell’esperienza artistica (!) con il passaggio sui compact disc e infine come il suono risultasse non riprodotto correttamento oltre i 20.000 Hz (frequenza peraltro non alla portata della stragrande maggioranza degli esseri umani). Ve lo ricordate?

Dietro queste diatribe c’era una guerra commerciale di grande portata con due multinazionali, Sony e Philips, impegnate a promuovere i propri prodotti per conquistare un mercato dal potenziale economico impressionante. Per chi non lo ricordasse alla fine vinse l’azienda giapponese con i rivali olandesi parzialmente compensati con la cessione e la gestione dei brevetti. Sempre in quegli anni ci fu il conflitto sui formati delle videocassette, VHS versus Betamax, che vide trionfare il formato tecnicamente peggiore per questioni del tutto commerciali.

In tempi più recenti è arrivata la seconda rivoluzione, quella del formato digitale. Nel pieno boom della Rete, la prima vera fase di espansione di internet, la comparsa dei formati alternativi al supporto fisico trovò un’industria del tutto impreparata e la totale inadeguatezza delle norme sui copyright e il commercio elettronico.  Il risultato finale, ormai lo possiamo vedere bene, è che l’industria è stata fortemente ridimensionata nel suo ruolo di gatekeeper del mercato, che gli artisti hanno acquistato un ruolo più importante nelle scelte commerciali e che il segmento retail (i negozi e le catene commerciali) ha pagato il prezzo più alto con la scomparsa di molti punti vendita. L’ultimo sviluppo ha dimostrato come una buona proposta su YouTube, se sostenuta via social network, sia in grado di affermarsi su scala globale scavalcando del tutto qualsiasi forma di intermediario tradizionale.

Si può affermare in sintesi che l’industria musicale dal 1982 al 2012 sia cambiata enormemente. Il mercato è rimasto, muove miliardi di dollari ogni giorno ed è diventato più accessibile. Nel frattempo le nicchie di mercato rimangono e godono di buona salute. C’è chi produce dischi di vinile e chi non ha nessun tipo di supporto fisico, accedono allo stesso mercato e prosperano senza danno alcuno per i clienti. Il pubblico è quello che ha tratto più vantaggio dal cambiamento; i lettori MP3 e i loro successori sono diffusi a basso costo in tutto il mondo e l’offerta per chi accede alla Rete è vastissima, spesso con un buon rapporto tra qualità e prezzo.

L’editoria ricorda da vicino la posizione dell’industria musicale del 1982. E fuori dai nostri angusti confini si sta già adattando da parecchi anni al salto tecnologico dal momento che non ci si può sottrarre a questo tipo di evoluzione.  Quello che cambia non è solo il mezzo che si usa per leggere ma un intero paradigma di mercato.  E’ in discussione il ruolo di gatekeeper degli editori, l’esistenza della filiera di distribuzione, il destino del segmento retail. Esattamente come per il settore della musica. L’affermarsi di player internazionali come Amazon sta costringendo le aziende italiane ad adeguarsi per rimanere presenti sul mercato, ad evolvere il loro modo di fare affari. E’ la stessa cosa, con qualche anno di ritardo.

Nessuno vuole eliminare i libri cartacei, così come nessuno voleva eliminare i dischi in vinile. Continueranno ad esistere, almeno fino a quando non smetteremo di utilizzare la carta per passare a qualcosa di altrettanto duttile (non esistono materiali del genere ad oggi ma c’è chi ci sta lavorando). Il vero problema è nelle abitudini di consumo e la storia recente ci insegna che è questione di pochi anni per avere la transizione che al di là delle Alpi è già avvenuta. Queste forme di resistenza culturale, peraltro immotivate, sono indice di rigidità mentale, di paura del nuovo.

Se davvero ci sono tutti questi difensori del libro-di-carta, come mai i dati dell’ISTAT ci mostrano un calo di lettori? Come mai le librerie sono quasi sempre deserte? Come mai ci sono così poche famiglie che hanno un numero decente di volumi in casa? Dove sono queste torme di appassionati quando vengono presentati i nuovi libri o quando si fanno eventi per promuovere la lettura?

Perché su Internet sono tutti così arrabbiati?

Traduzione di un articolo apparso sullo Scientific American, una delle prime ricerche su un fenomeno che conosciamo tutti fin troppo bene. Ringrazio Davide Mana per avermelo segnalato, spero possa contribuire in maniera sensata a una disamina del problema.

Perché su Internet sono tutti così arrabbiati?

Una tempesta perfetta genera maleducazione online, dall’anonimato virtuale alla mancanza di responsabilità, distanza fisica e lo strumento della scrittura.

Di Natalie Wolchover e Life’s Little Mysteries (pubblicato il 25-07-2012)

Con la campagna presidenziale, i dibattiti sulla sanità e il controllo delle armi nelle notizie di questi giorni, non si può evitare di essere coinvolti nelle “flame war” che sono presenti negli spazi dei commenti su Internet. Ma gli psicologi dicono che questi scambi al vetriolo dovrebbero essere evitati – o semplicemente censurati  sui media disponibili online – perché danneggiano la società e la salute mentale.

In questi giorni i commenti online “sono straordinariamente aggressivi, senza risolvere nulla,” dice Art Markman, un professore di psicologia presso l’università del Texas a Austin. “Alla fine non ci si può sentire come nessuno ti abbia ascoltato. Avere una forte esperienza emozionale che non si risolve in una maniera sana non può essere una buona cosa.

Se è così insoddisfacente e malsana, perché lo facciamo?

Una tempesta perfetta di fattori contribuisce a generare la maleducazione e l’aggressione viste nelle sezioni dei commenti dei siti Web, dice Markman. Primo, i commentatori sono spesso virtualmente anonimi e quindi non direttamente responsabili per la loro maleducazione. Secondo, sono distanti dal bersaglio della loro rabbia – sia per l’articolo che stanno commentando che per un altro commento sullo stesso articolo – e si tende a contrapporsi più facilmente con soggetti astratti piuttosto che con interlocutori diretti. Terzo, è più facile essere sgradevoli scrivendo che parlando, da qui la pratica ormai fuori moda di lasciare note rabbiose (quando la gente usava la carta), secondo quando dice  Markman.

Siccome i discorsi nelle sezioni dei commenti non avvengono in tempo reale, i commentatori possono scrivere lunghi monologhi, i quali tendono a trincerarli nei loro punti di vista estremi. “Quando stai avendo una conversazione di persona, chi riesce a fare un monologo eccetto che nei film? Anche se ti arrabbi, c’è uno scambio e alla fine devi calmarti e ascoltare per avere una conversazione,” (ancora Markman).

Battersi in una serie di commenti può anche dare una sensazione di appagamento, sebbene sia ingannevole. “C’è così tanto che accade nelle nostre vite che è difficile trovare tempo per andare fuori e fisicamente aiutare una causa, il che rende alettante l’attivismo da poltrona,” questa l’opinione di un blogger su un articolo del Daily Kos del 23 luglio.

Infine Edward Wasserman, professore in etica del giornalismo presso l’università Washington e Lee, fa notare un’altra causa del vetriolo: pessimi esempi dati dai media. “Sfortunatamente, i mass media hanno fatto una fortuna insegnando alla gente le maniere sbagliate per parlarsi tra loro, offrendo esempi come erry Springer, Crossfire, Bill O’Reilly. Comprensibilmente il pubblico conclude che la rabbia è il vernacolo della politica, che è come si parla in pubblico delle idee,” così Wasserman in un articolo scritto per il sito della sua università.

La comunicazione, secondo lo studioso, avviene quando si comprende la prospettiva dell’altro, la si capisce e si risponde. “Il tono di voce e la gestualità possono avere una grande influenza sulla propria abilità di capire cosa ci stanno dicendo,” dice Markman. “Più si è distanti dal faccia a faccia, dal dialogo in tempo reale, più è difficile comunicare.

Secondo Markman i gestori dei media dovrebbero moderare la rabbia e l’odio che sono diventati la norma negli scambi tra i lettori. “E’ importante far sentire tutti i pareri su un argomento. Ma non è importante lasciare spazio agli attacchi personali o avere messaggi con toni estremamente arrabbiati. Anche qualcuno che porti ragioni legittime con un tono iroso danneggia la natura della discussione, perché incoraggiano risposte dello stesso tipo. Se in un sito rimangono pubblici commenti contenenti attacchi personali del tipo più sgradevole, si sta mandando il messaggio che è un comportamento accettabile.

Sempre secondo Markman, si dovrebbero cercare interlocutori con cui conversare e dovremmo sforzarci di includere nei nostri circoli sociali delle persone che pensano diversamente da noi. “Svilupperete un sano rispetto per le persone che hanno opinioni diverse dalle vostre“.

Cercare soluzioni per i problemi più difficili che tendono a generare la maggior parte dei commenti online richiede lunghe discussioni e compromessi. “La negoziazione avanti-e-indietro che accade avendo una conversazione con qualcuno con cui non si è d’accordo è una capacità,” dice Markman.  Questa capacità sta languendo, sia tra il pubblico che tra i nostri leader.

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Nota tecnica: qui il link alla pagina di Scientific American, va fatto notare che ho rimosso tutti i link che comparivano nella versione originale, così come i collegamenti ai profili sui social network dell’autrice. La traduzione, per povera che sia, è di mia mano. Chiarisco che mi sono preso diverse libertà nel testo per adattarlo al meglio alla lingua italiana e suggerisco comunque di prendere visione dell’originale.

Trolling around

A quanto pare la fine del periodo di ferie di massa agostano sta favorendo la recrudescenza dei troll, nella sola giornata di ieri se ne sono affacciati due su questo blog e ho ricevuto notizie di assalti da altri quattro blogger con cui sono in rapporti. Escludo una strategia concordata, almeno dalle verifiche che ho fatto in termini di IP adress.

Sarà il caldo, il fatto che non è ancora cominciato il campionato di calcio o la stagione dei reality show televisivi. Non so dirvi che succede. Anche perché non mi interessa più. Anni fa cercavo di ragionarci, ora sono passato alla repressione pura e semplice.

Una nota per gli utenti meno esperti. Non esistono troll non tracciabili. Anche quando usano i programmi per mascherare gli indirizzi IP di connessione (per inciso, sono una truffa). Se qualcuno dovesse davvero passare i limiti di legge fate un favore a voi stessi e agli altri, passate i dati alla Polizia Postale.

Recensire o litigare?

Recensire un testo sta diventando qualcosa di strano. Ci sono stati dei flame recentemente a proposito della modalità con cui si può esprimere il proprio parere, su cosa sia giusto o sbagliato cercare in un libro e su come proporre il libro all’attenzione dei propri lettori.

Gli interrogativi li trovo tutti giusti ma passare dalla discussione, magari accesa, al confronto a suon di insulti mi sembra un passare dalla parte del torto perdendo completamente di vista l’obbiettivo di partenza, ovvero recensire un testo.

C’è stato un momento, non so quando, in cui si è passati dal discutere dell’oggetto della recensione al trattare il modo con cui la recensione viene fatta. Attenzione, non mi riferisco solo ai soliti noti né voglio prendermela con qualcuno in particolare; è il cambio di soggetto che mi rende perplesso. Se si vuole esaminare o disaminare in maniera approfondita un qualsiasi libro lo si può fare in tante maniere ma quando si passa più tempo a citare questo o quel manuale invece che trattare dei contenuti o della forma del libro per me c’è qualcosa che non va.

Il libro diventa un pretesto per sostenere una tesi o per discuterne delle altre. Fattibile, certo. Mi pare che sia altrettanto discutibile. Se leggo una recensione è perché voglio capire se quel particolare libro è scritto bene, se parla di argomenti che mi interessano, se l’autore (o l’autrice) ha scritto altri testi, come poter reperire l’opera e a che costi. Trovare n-mila commenti su un post in cui una minima parte è in tema e il resto è riconducibile a un confronto tra utenti per me è fuorviante.

Ovviamente si può far scattare un flame o una flame war su qualsiasi cosa, sappiamo altrettanto bene che chi si diverte a fare il troll in giro non ha bisogno di particolari pretesti per esercitare le sue facoltà. Il punto però rimane quanto spazio si vuole dare a questo genere di cose. Il vecchio don’t feed the troll rimane un buon modo di fare, anche in presenza di personaggi estremamente insistenti. Se si esercita la moderazione dei commenti diventa anche più facile tenere sotto controllo le deviazioni.

La domanda di fondo rimane, a chi servono questi flame? Non a generare traffico, i blog in questione sono di norma molto frequentati. Mi sembra anche strano che ci sia una sorta di esigenza legata alle polemiche o che sia semplicemente una grande disponibilità di tempo da perdere. Cui prodest?