Strana parabola, quella dell’Ucraina degli ultimi vent’anni. Poco dopo la dissoluzione dell’URSS pareva essere la repubblica più promettente tra quelle ex-russe, quella più vicina a poter abbracciare un nuovo modello sociale ed economico sulla falsariga di altri paesi del blocco filosovietico.
In realtà il paese non era assolutamente pronto, né poteva contare su un livello di infrastrutture tali da poter avere la minima base di partenza. Malgrado un notevole livello di investimenti stranieri riuscire a smuovere la burocrazia locale e a scavalcare i residui delle strutture sovietiche si rivelò un compito proibitivo per la giovane democrazia ucraina.
Dopo l’infelice parentesi di Leonid Danylovych Kuchma, protagonista della transizione post sovietica che interpretò in maniera a dir poco autoritaria la gestione del potere, il ciclo economico cominciò a peggiorare drasticamente già a partire dai primi anni 2000. Tramontato Kuchma tra scandali e tentativi più o meno abortiti di autoritarismo l’Ucraina si trovò a dover affrontare una seconda transizione con la difficoltà ulteriore di dover tornare a fare i conti con una Russia tornata autoritaria.
Dallo scontro tra la fazione filorussa e tra quella filo occidentale nacque la cosiddetta “rivoluzione arancione“, il primo movimento di massa di una breve stagione che sembrava poter portare fuori dall’ombrello russo le sue ex repubbliche. Lo scontro finì con il radicalizzarsi nel corso di alcuni anni, lasciando sul palcoscenico come vincitore il filorusso Viktor Fedorovych Yanukovych.
Nel campo riformista o se preferite filo occidentale, tramontata tra scandali e un possibile caso di avvelenamento la stella del presidente Viktor Andriyovych Yushchenko, rimane come figura simbolo Yulia Volodymyrivna Tymoshenko. La sua prigionia e l’estrema opacità dei processi a cui è stata sottoposta hanno mostrato ancora una volta come sia difficile per l’Occidente ottenere il rispetto dei diritti civili.
Sul capo della Tymoshenko pendono accuse pesanti, legate ad interessi economici che rappresentano il grosso del PIL ucraino. Stiamo parlando di energia, di prodotti petroliferi, di gas, degli oleodotti e dei rapporti con le forniture russe: ovvero il guinzaglio con cui Mosca condiziona ogni rapporto con la nazione ucraina.
Ancora una volta l’Unione Europea brilla per la sua incoerente politica estera. Dopo aver usato i recenti campionati europei di calcio per una serie di roboanti dichiarazioni la pressione diplomatica si è azzerata e nessuno ha osato porre in discussione l’unico argomento “duro” da mettere sul tavolo, ovvero i contratti fornitura gas russo verso varie nazioni europee (Italia compresa).
Nella situazione attuale l’Ucraina rimane con il ruolo di bastione russo, sospesa tra ovest ed est come negli anni ’50. Destino condiviso con la Bielorussia (vedi articolo precedente qui) e che lascia scarse speranze a chi ha creduto a suo tempo nella rivoluzione arancione. La pressione applicata sui media locali e il pesante controllo sulla circolazione di informazioni in generale ha finito per condizionare larga parte dell’opinione pubblica, lasciando un’intera generazione con l’amara disillusione di una breve stagione in cui aveva potuto credersi libera.
E’ proprio questa generazione tradita l’eredità funesta del mancato coraggio dell’Occidente.