Ricordiamoci dell’IMU

Visto che siamo in campagna elettorale è bene fare un piccolo esercizio di memoria, utile soprattutto per chi volesse votare ragionando. Dal centro destra, nello specifico da Silvio Berlusconi, sta arrivando un messaggio molto chiaro e di sicuro appeal per i tantissimi che hanno appena sacrificato gran parte della tredicesima per pagare l’IMU.

Il messaggio è: aboliremo l’IMU. Come fecero in passato quando venne cancellata l’ICI. Questa tassa sulle proprietà immobiliari è particolarmente odiosa per i cittadini, vero? E il governo di Mario Monti è stato così cattivo con tutti noi, vero? Per non parlare di tutti quei sindaci che hanno alzato l’aliquota minima con cui calcolare l’IMU, aggravando non poco la cifra da pagare.

Imu-e-Ici

Ma chi se l’è inventata l’IMU?

Monti? Eh, no. Non ci siamo. Il provvedimento da cui deriva l’IMU è il decreto legislativo n.23 del 14 marzo 2011. E sapete chi ha firmato quel simpaticissimo decreto? Lo ha promulgato il Presidente della Repubblica, come tutte le leggi dello Stato. Ma a firmarlo c’erano nell’ordine:

Silvio Berlusconi, allora Presidente del Consiglio dei Ministri

Giulio Tremonti, allora Ministro dell’Economia e delle Finanze

Umberto Bossi, allora Ministro per le riforme per il federalismo

Roberto Calderoli, allora Ministro per la semplificazione normativa

Raffaele Fitto, allora Ministro per i rapporti con le regioni e la coesione territoriale

Roberto Maroni, allora Ministro dell’Interno

Renato Brunetta, allora Ministro per la pubblica amministrazione e l’innovazione

Non ci credete? Benissimo, cercate in rete il testo completo del decreto, le firme sono in fondo. Un link utile potrebbe essere questo.

A febbraio 2013 si vota. Fino ad allora ci toccherà sentire Berlusconi, Maroni e Brunetta che ci racconteranno di come sia terribile l’IMU e di quanto male faccia ai cittadini. Tutto questo pensando che noi si sia tutti così poco intelligenti da non ricordare chi ha fatto tutte questo. Io me ne ricorderò.

La Lega di Maroni e il futuro

La cronaca politica di questi ultimi mesi ci ha consegnato, in mezzo a tanto caos scandalistico, anche le prime mosse della Lega Nord post Bossi, quella del rinnovamento dopo la tristissima stagione degli scandali. Dopo una fase interlocutoria, prevedibile dato il ruolo di padre-padrone di Umberto Bossi, si può dire che la transizione di potere all’interno del partito si sia conclusa dopo il congresso e che quella che vediamo ora sia la Lega Nord a gestione di Roberto Maroni.

Roberto Maroni

Roberto Maroni

Non si può dire che i vertici siano cambiati più di tanto, né che la tanto sbandierata pulizia abbia avuto un grande effetto. Alcune figure ormai bruciate dai media e dalle inchieste sono state rimosse (il tesoriere Francesco Belsito, la senatrice Rosa Angela Mauro e simili) ma molti dei quadri leghisti inseriti d’autorità negli anni da Bossi sono ancora al loro posto e si vede.  L’impressione che se ne ricava al momento attuale è di un partito alla ricerca di un’identità e di un modo per riaffermarsi sulla scena nazionale, il tutto con la serissima paura di ritornare a tempi più grami dove fuori dal cortile del Nord Italia non se li filava nessuno.

In termini di peso politico il parallelo storico tra il PSI di Bettino Craxi e la Lega Nord di Bossi (in relazione i primi alla DC e i secondi al PdL) è evidente; la loro capacità di condizionare da alleati il comportamento del partito di maggioranza relativa e lo squilibrio tra l’effettiva quantità di consenso rispetto alle cariche ricoperte era ed è sotto gli occhi di tutti. Anche nella fase del tramonto dei rispettivi leader i paralleli sono notevoli. Craxi cancellato da Tangentopoli, Bossi messo in un angolo da una serie di personaggi discutibili e dalle proprie scelte sbagliate.

Quello che Maroni vuole disperatamente evitare è la seconda parte del tramonto del partito. Lo scenario attuale, così come indicato dai sondaggi, fa tornare la Lega Nord ai consensi di parecchi anni fa e mette una base di argilla sotto i feudi regionali conquistati nel momento d’oro (Piemonte, Veneto). Diventare il segretario quando i consensi crollano non era certo l’eredità che sognava l’ex ministro dell’Interno.  Da qui una facile chiave di lettura per i proclami degli ultimi mesi, dalla disobbedienza fiscale a confusi richiami ai temi leghisti della prima ora, per arrivare ai tira-e-molla con la giunta Formigoni in Lombardia.

Luca Zaia

Luca Zaia

Il fatto principale è che l’edificio leghista non è esattamente solido. Il movimento deriva dall’unione di più leghe territoriali (le principali in Veneto, Lombardia e Piemonte), leghe che tuttora esistono e che “pesano” negli equilibri interni. Flavio Tosi, il sindaco di Verona, regge il movimento veneto insieme all’attuale governatore Luca Zaia e sembra in grado di poter far vacillare la leadership di Maroni in ogni momento. Più complessa la situazione piemontese, dove il governatore in carica Roberto Cota potrebbe essere travolto dai gravi problemi debitori che rischiano di mettere in default la regione.

Le prossime scadenze elettorali, sia nazionali che regionali (in Lombardia), misureranno se e come la Lega Nord possa ancora dire la sua sulla scena politica. Il consenso legato al voto di protesta sta prendendo altre direzioni, per la maggior parte verso il Movimento 5 Stelle, e l’aumento del numero dei non votanti va a penalizzare i movimenti / partiti di indirizzo populista. E’ ipotizzabile che una base di consensi rimanga salda ma di fronte a un crollo palese che renderebbe la Lega Nord marginale a livello nazionale non è azzardato supporre che si possa verificare una scissione.

Roberto Cota

Roberto Cota

Va anche valutato come l’elettorato leghista si rifletta nella classe dirigente. Il crollo del “cerchio magico” di Bossi ha reso meno rilevante parte delle figure di maggior prestigio (gli ex ministri Roberto Calderoli e Roberto Castelli, tanto per fare un esempio)  e che il vero nerbo del partito, i tanti amministratori locali, sembrano essere disorientati dagli sviluppi degli ultimi mesi, al punto da prendere iniziative francamente poco adeguate alla carica che finiscono per rimbalzare sui media nazionali a tutto discapito del movimento leghista.  La crisi economica si è fatta sentire pesantemente anche nelle zone più sviluppate, non è più possibile sventolare le bandiere del federalismo e delle autonomie locali quando non si sa come far quadrare i conti. L’unico spazio di azione possibile per Maroni e soci è proprio quello di promuovere ad ogni livello misure di sostegno all’occupazione, non dimenticando di “spingere” per rimuovere i vincoli di bilancio per la spesa degli enti locali che ne abbiano disponibilità (violando o derogando dal patto di stabilità). Il danno degli scandali e il diverso momento politico tuttavia ridurranno ai minimi termini il partito in Emilia Romagna, Toscana e Marche; anche i progressi fatti in Liguria e in Friuli Venezia Giulia possono essere considerati a rischio.

In definitiva tra fine 2012 e metà 2013 si deciderà il destino di questo partito, dato lo scenario attuale è probabile che venga balcanizzato in leghe più piccole su base regionale, cosa ancora più probabile se il Piemonte dovesse dichiarare default sotto la gestione leghista.

La favola del buon padre di famiglia

La favola del buon padre di famiglia, ove applicata a Umberto Bossi, mi è sempre suonata strana e quanto accaduto nell’ultimo mese me la rende ancora più incredibile. Non tanto per il suo comportamento ma per le reazioni della base leghista, quelli per cui al “capo” si può e si deve perdonare tutto, quelli che portano le scope e urlano contro tutti i fedelissimi di Bossi, gli stessi che erano pronti ad approvare anche la cacciata di Roberto Maroni se da Gemonio fosse venuto l’ordine.

Conosco diversi leghisti della prima ora, gente che si è spezzata la schiena per far partire l’organizzazione e che speso parecchio di suo per aprire sedi, stampare manifesti o spesare i candidati per le elezioni. Sono le persone che hanno davvero creato la Lega Nord, gli stessi a cui penso ora. Sanno. Non possono non sapere. Eppure sono lì, in prima fila a dire che il “capo” non si tocca. A trepidare per le sue sorti e a dire “poverino”, a dipingerlo come preda dei figli, della moglie, dei collaboratori infedeli.

Strano rapporto, quello di Bossi con la realtà. Specialmente quando si parla di soldi. Poco prima delle elezioni del 1992 fa incassare all’allora tesoriere Alessandro Patelli 200 milioni di lire provenienti dal gruppo Ferruzzi. Chi aveva scelto il tesoriere? Proprio Bossi. La vicenda viene scoperta, emerge che Sergio Portesi, fiduciario di Carlo Sama, aveva incontrato proprio il senatùr per concordare la cosa. La sovvenzione di Montedison non era diversa da altre tangenti, vero? Eppure a pagare all’inizio è solo Patelli. Il processo è quello Enimont del 1994, Bossi si prende otto mesi in via definitiva e i 200 milioni vengono restituiti dopo una raccolta fondi tra i militanti.

Si poteva pensare, credo lo si sia fatto, a un grosso errore. Dopo tutto il partito ne era uscito bene, malgrado le condanne in galera non ci era finito nessuno. La Lega Nord era allora un movimento molto giovane e ancora non del tutto strutturato. Da lì in avanti il partito conosce una crescita continua e una sempre maggiore visibilità politica, non solo nazionale. In compenso i soldi sono sempre un problema.

Il fu Maurizio Balocchi, nel ruolo di tesoriere leghista, succede ad Alessandro Patelli e rimane in carica dal 1993 al 2010. Sotto la sua gestione succedono i caos di Credieuronord e si assiste alla vicenda degli investimenti immobiliari in Croazia (villaggi turistici e strutture di supporto). Quanti militanti hanno perso migliaia di euro in queste vicende? Davvero tutti i sodali della Lega Nord hanno creduto nell’assoluta estraneità di Bossi e dei vertici del partito? Magari dopo aver ricevuto a suo tempo le lettere del segretario che invitava a sottoscrivere le quote?

Quanti ancora tra i sostenitori della Lega Nord hanno subito perdite economiche per la concorrenza sleale fatta dagli allevatori che hanno causato tutta la vicenda delle quote latte? Quanti si sono resi conto del carico di multe arrivate dalla comunità europea, decine di milioni di euro ogni anno a carico dello Stato, dell’avere perso altrettanti contributi diretti all’agricoltura per le clausole del PAC?

Del successore di Balocchi, Francesco Belsito, è meglio non parlare dal momento che le indagini sono in corso. Va fatto rilevare però che la nomina di Belsito è stata fatta da Bossi. Politicamente parlando la responsabilità di quanto accaduto dopo, ripeto ancora da verificare, rimane del segretario. Ma non solo sua. Trovo impossibile credere che l’intero vertice nazionale del partito fosse del tutto all’oscuro di quanto è stato fatto in vent’anni di manovre sballate. Eppure, ogni volta, tutti ad applaudire e ad acclamare.

La contrapposizione tra gli amministratori locali, spesso in grado di fare cose di buon livello per il territorio e il vertice nazionale non potrebbe essere più stridente. E non basta l’opera di censura applicata alle lettere in arrivo al quotidiano di riferimento o i filtri messi sulle telefonate alle trasmissioni radio, la pulizia applicata sui siti internet. La base è stanca.

Quello su cui prospera Bossi è la fiducia della sua gente. Il bisogno, a volte insopprimibile, di poter credere in qualcosa, di poter fare qualcosa per la propria terra o di potersi opporre a uno Stato vissuto come nemico. Ma come è possibile avere ancora fiducia? Quante volte il popolo leghista può davvero perdonare il proprio “capo”? Con che spirito si può sottoscrivere ancora raccolte di fondi quando ogni giorno vengono fuori nuove malversazioni, piccole e grandi?

La questione settentrionale esiste e non può essere ignorata da nessuno, men che mai da chi ci vive nel Nord in questione. Così come è legittimo cercare alternative ai maggiori partiti nazionali o trovare un’identità più vicina al proprio sentire nelle tradizioni locali o nella storia (es. La Serenissima). Quello che non si può più fare è continuare a riversare fiducia e denaro in chi non si è dimostrato in grado di meritarlo. Vent’anni di problemi sono abbastanza per esaurire qualsiasi patrimonio di credibilità un uomo possa avere, lo stesso vale per una classe dirigente francamente mediocre.

Fare pulizia e ripartire. Lasciandosi alle spalle il ciarpame e figure diventate obsolete oltre che imbarazzanti. C’è moltissimo da fare, serve la gente giusta per farlo. Il che esclude il vertice attuale, in toto. Anche ammesso che non abbiano mai fatto nulla di contrario alla legge non potevano non sapere. Anche omettere una denuncia fa parte del tradire il mandato popolare, violare in maniera consapevole il legame di fiducia sancito dal voto. Non basta, di fronte ai fatti sbattuti su tutte le prime pagine, nascondersi dietro operazioni di facciata.

Dalla Lega Nord ci si aspetta di meglio che continuare a mandare in giro personaggi di dubbia intelligenza e di scarso spessore. Per rappresentare al meglio i territori di riferimento serve gente seria e consapevole, persone che siano davvero in grado di mettersi al servizio dei propri elettori. Gli altri possono accomodarsi fuori, uscire dalla luce dei riflettori mediatici. Se davvero credono nel movimento che facciano vedere quanto sono bravi a fare i militanti.