Il post sull’iniziativa del cofondatore di PayPal, Peter Thiel, a favore della creazione di isole artificiali o simili per stabilirvi delle micro nazioni ha generato delle reazioni insolite, al punto da farmi pensare che il concetto vada approfondito.
Il gruppo che sta portando avanti il concetto di ‘seasteading’, ovvero la creazione di habitat umani permanenti sul mare nelle zone al di fuori del controllo delle nazioni, è noto come Seasteading Institute ed è basato negli Stati Uniti. A fondarlo ci hanno pensato Wayne Gramlich e Patri Friedman nel 2008, stiamo quindi parlando di iniziative relativamente recenti.
Wayne Gramlich è un personaggio interessante, molto attivo in una serie di progetti che spaziano dall’informatica alla realizzazione di vari tipi di impianti, alla robotica e a parecchie altre cose. Ad essere generosi gli si potrebbe attribuire la qualifica di ‘rinascimentale’ data la multidisciplinarietà. Patri Friedman è un ex programmatore, un giocatore di poker e un attivista politico (transumanista).
Nel board figurano il già citato Peter Thiel, John Chisolm (altro protagonista delle dot com), Joe Lonsdale (attivo nel campo finanziario), Ayay Royan (sempre nel campo finanziario) e Michael Strong (teorico del nuovo capitalismo). In sintesi gente con capitali notevoli e buoni legami con il business world americano.
Sempre dal sito dell’istituto si apprende che esiste un ‘leadership team’ (non faccio commenti, è troppo facile) che comprende oltre a Friedman personaggi come Michael Keenan (presidente, neozelandese, attivo nel settore IT finanziario), Randolph Hencken (attivo nella sperimentazione medica e psicologica), James Hogan (ingegnere, lavora per PayPal), Geoge Petrie (esperto settore costruzioni navali), Max Marty (marketing), Dario Mutabdzija (bosniaco, settore legale).
Non è finita qui, ci manca lo staff. Sorprendentemente snello, almeno da quanto risulta sul sito (sempre che sia aggiornato da questo punto di vista, non è dato saperlo). Qui troviamo Eric Jacobus (programmatore, regista, attore e stuntman), Brittany Benjamin (amministrazione), Miguel Lamas Pardo (costruzioni navali) e Brad Taylor (ricercatore).
Un sacco di nomi, qualche linea di tendenza. L’istituto a quanto pare può contare su una base finanziaria potenzialmente elevata dato che nel board siede gente facoltosa e che spesso opera nel settore finanziario e nel gruppo di personaggi ‘guida’ c’è qualche nome interessante sul piano tecnico. Non bisogna però pensare a questo gruppo come a un’azienda produttiva, assomiglia di più a uno studio di progettazione che mira a sviluppare dei concetti da tradurre solo in seguito in realtà produttive. Già a questo stadio una domanda: come mai Gramlich non compare nel board o negli altri gruppi? Fatto fuori?
Proseguiamo, ne vale la pena per le domande che saltano fuori. Il concetto di base di tutto il giochino è dare una motivazione alla fondazione di nuove comunità. Il punto dello sforzo tecnologico necessario è materia successiva, da tecnici e architetti, vedremo in seguito che non è indifferente.
A che serve il ‘seasteading’? Dall’introduzione del sito: The vision of seasteading is an urgent one. We can already see that existing political systems are straining to cope with the realities of the 21st century. We need to create the next generation of governance: banking systems to better handle the inevitable financial crises, medical regulations that protect people without retarding innovation, and democracies that ensure our representatives truly represent us.
Ovvero sistemi bancari indipendenti dalle regole nazionali / internazionali, sperimentazione medica senza confini e democrazie veramente rappresentative (possibili appunto solo con comunità piccolissime). Chiaro? Nell’isoletta galleggiante niente FED, niente FDA, niente IRS o qualsiasi ente federale (lo dico in chiave americana). Si riciclano capitali di chissà quale provenienza (magari direzionati da PayPal?), magari ci si basa anche qualche hedge fund per operare senza tutte quelle brutte ispezioni della SEC, ci si mette anche qualche bel laboratorio di medicina ‘nera’ (William Gibson, ti stanno fischiando le orecchie?) per mettere sul mercato farmaci senza problemi di brevetto o di garanzie legali. Questo in pratica è il paradiso delle corporation.
I problemi tecnici non sono poi così banali, fossi in voi aspetterei a investire su questo simpatico istituto. Le piattaforme per essere fuori dalla portata dei cattivissimi stati sovrani devono essere a più di 370 km dalla costa. Di conseguenza ben esposte ai rigori del mare aperto. Avete presente a quali e quanti problemi si va incontro? Venti con forza sufficiente da spazzare via qualsiasi cosa non sia solidamente ancorata, il moto ondoso che negli oceani non di rado genera onde alte parecchi metri (carico sui pilastri o sullo scafo), corrosione, gestione logistica degli approvvigionamenti…
Poi alla fine ci sarebbe la questione legale. Con un precedente da tenere d’occhio, il microstato di Minerva, di cui vi invito a consultare la storia e le ipotesi di sviluppo economico.
Bello l’esempio di Minerva – non so cosa sia più ridicolo, il doversela vedere con le truppe dell’incacchiatissimo re di Tonga, o il fatto che una nazione abbia un proprietario che può licenziare il presidente…
L’organgramma che hai riassunto mostra molto bene, comunque, il primo grosso problema del Seasteading Institute – troppi direttori e un solo ricercatore, e tutta gente che arriva da ambiti che hanno poco o niente a che vedere con il progetto.
Se io dovessi voler mettere in piedi un progetto del genere, vorrei al mio fianco Jacques Cousteau e Sylvia Earle, non un ex stuntman e un pugno di yuppies… 😀
Il sogno dell’indipendenza dalle regole finanziarie è comunque anche all’origine di PayPal – che è poi un bel sistema per pagarsi libri o giochi online, ma di fatto è stato creato prorpio per aggiarer le regole sulla circolazione del denaro.
Alla fine, credo (temo? spero? mah!) che l’intera faccenda del Seasteading sia un baraccone montato per creare una bolla e fare quattrini dal nulla.
Minerva è una sorta di parabola. Pensa se l’isoletta X avesse un vaccino o semplicemente una buona scorta di denaro liquido… i pirati della Somalia o della Malesia (no, Sandokan non c’entra) migrerebbero in massa per fare pulizia.
Sai qual’è la cosa peggiore? E’ che un giochino del genere si può fare davvero. Ci vuole gente seria e un pacco di soldi ma si può fare.
Oh, è certamente fattibile – sulla breve distanza.
Il problema qui è il mare – che non è un ambiente a noi favorevole o familiare, e sulla colonizzazione del quale le esperienze sono poche e discontinue, e basate sul lavoro di gente maledettamente più in gamba e motivata di questi (ricchissimi) buffoni.
Diciamo che un gruppo agguerrito di miliardari potrebbe abbastanza facilmente mettere in piedi una comunità artificiale fuori dalle acque territoriali.
E sarebbe certamente una bomba sociale – nel senso che senza regole, o con le sole regole del libero mercato… eh, è facile deragliare.
Ma prima del deragliamento sociale, ci sarebbe quasi certamente il deragliamento tecnologico.
Le sole energie in gioco all’interfaccia oceano/atmosfera sono devastanti, le conosciamo in maniera incompleta e non possediamo la matematica per modellizzarle in maniera efficiente.
E non si può dire, come fanno questi signori in alcuni loro lavori, “Definiremo i rischi mano a mano che li incontriamo” – che è un po’ come dire “penserò come evitare il treno dopo che questo mi avrà travolto”.
È molto, molto più facile colonizzare lo spazio.
Ci sono meno pericoli.
L’unica cosa a cui potrebbe servire un esperimento del genere sarebbe quella di costringere la Nazioni Unite a legiferare (ci metterebbero solo 200 anni, conoscendone i tempi e i modi) sulla colonizzazione artificiale dei mari. Già adesso ci sono delle zone grigie nel diritto internazionale da far drizzare i capelli per lo sfruttamento offshore e ci stiamo avviando verso una vera e propria guerra commerciale per lo sfruttamento delle risorse nelle regioni polari e del fondo marino. Non è un caso se russi e cinesi stanno piantando bandierine qua e là, con Norvegia, Canada e Argentina a fargli compagnia.
Senza dimenticare il Perù (nessuno si ricorda mai del Perù), più tutte le lobby che fanno pressione per liberalizzare lo sfruttamento dei mari.
Le Nazioni Unite dovrebbero prendere una piega pulp, autoproclamarsi Governo Mondiale (come ai tempi di Capitan Futuro) e cominciare a prendere i nomi e a distribuire calci dove non batte il sole.
Ma è, naturalmente, fantascienza.
Io faccio parte (molto poco attiva, confesso) di un paio di gruppi per la regolamentazione delle attività umane negli oceani.
Si fanno un sacco di cose – ma l’effetto è minimo, e la copertura stama zero.
Bravo, il Perù è la dimostrazione più convincente della pochezza del liberismo e dell’interferenza altrui (salve, Giappone) negli affari di una nazione sovrana. Se penso che hanno rischiato di eleggere la figlia di Fujimori di recente mi viene l’itterizia. Le possibilità che le Nazioni Unite diventino un governo mondiale sono, grosso modo, pari a quelle che ho io di prendere il premio Nobel per la letteratura. Se si andrà verso il governo mondiale avverrà in virtù dell’economia e non certo per la burocrazia.
Mi interessa il discorso delle regolamentazione, se ne hai voglia / tempo fammi sapere qualcosa di più.
Io sono agganciato a OceanFutures e a Oceana – la prima è una no profit fondata dal figlio di Cousteau, l’altra è la più stesa rete di gruppi di pressione per la regolamentazione dello sfruttamento degli oceani.
In realtà, qui in Italia, ci si riduce a ricevere mail di aggiornamento e a sottoscrivere petizioni – all’estero organizzano corsi, conferenze e cose varie.
Ti potrebbe anche interessare, come punto di partenza per ulteriori info e idee, il sito di Worldchanging.com.
E poi c’è questo video, in cui il mio amico Karl Schroeder spiega (fra le altre cose) come si potrebbe usare il web 2.0 per far sì che ogni bagnante paghi il mare per potersi immergere…
Se pensi che sul mare e sulle sue risorse si giocherà probabilmente la partita della civiltà del ventiduesimo secolo c’è da piangere sulla scarsa consapevolezza generale. Ogni proposta è interessante, a partire dal riciclaggio del mare di plastica, australia-sized, che abbiamo già in circolazione. Lasciare questi temi in mano a gente come quelli del TSI è follia pura.
Cercherei di guardare anche gli aspetti positivi su comunita seastading , e lavorare anche per queste , anche se dobbiamo sicuramente controllare l evoluzione di questi progetti ,cercando di progettare e condividere i modelli migliori
Il concetto di per sé non è negativo, così come non è da sottovalutare la necessità di recuperare un corretto approccio all’ecologia marina. Quello che mi rende perplesso sono gli aspetti legali, in gran parte non chiari, abbinati con la possibilità concreta di trovarsi un domani con dei “territori” regolati da leggi che poco o nulla hanno a che fare con i diritti comunemente intesi.
Ci sono progetti in corso di habitat marini e/o di conversione di strutture esistenti (es. piattaforme petrolifere) che sono stati sviluppati secondo altre linee guida dal punto di vista scientifico.