Quando si parla di agenzie di rating il pensiero di tutti vola alle tre sorelle di lingua inglese, Standard & Poor’s, Moody’s e Fitch. I più ignorano che esiste anche un altro imp0rtante giocatore in questa partita, una voce destinata a breve a conquistare una parte della ribalta internazionale. Parlo di Dagong, l’agenzia cinese di rating che sta aprendo a Milano la sua prima succursale europea. Si tratta di una delle prime mosse in terra straniera per Dagong, da considerare insieme alla prossima apertura ad Hong Kong.
Cosa cambia con la presenza all’estero? Dal punto di vista formale poco o nulla, la presenza dell’agenzia cinese non è neppure una mossa puramente simbolica anche se è vero che c’è un simbolismo evidente. Questa agenzia è anche la voce di una parte consistente del capitalismo cinese e la manifestazione più forte del peso crescente dei fondi di private equity a guida cinese o mista cinese/partners. Stiamo parlando di masse di denaro con nove zeri dietro la cifra in euro e della possibilità concreta che ci sia parecchio shopping nel corso di quest’anno, data la felice (per i cinesi) coincidenza di bassi prezzi e di una certa debolezza di fondo di una parte del capitalismo occidentale. Se poi si ragiona sulla prossima scadenza dell’Expo a Milano (2015) il cerchio si chiude.
La Cina sta passando da anni alla terza fase della sua economia, quella in cui investe sui mercati esteri evoluti e prova a ritagliarsi uno spazio a tutti i livelli delle filiere economiche e finanziarie dopo aver stabilito un fattore forte di predominio in quelle produttive. Segnatevi il nome Mandarin Capital, nelle vicende economiche del 2013 in Italia lo sentiremo fare spesso.
I cinesi saranno i futuri padroni del mondo inutile negarlo.
E lo dico come mero dato di fatto.
Ho grossi dubbi sulla capacità complessiva della Cina di gestire la transizione da un sistema economico fortemente controllato come quello di oggi a uno più vicino al modello occidentale. Se, sottolineo se, riescono a completare il passaggio senza grossi scossoni nel 2200 parleremo tutti mandarino o cantonese. In alternativa assisteremo a dei botti che faranno sembrare la crisi del 2008 un girotondo.
Beh, prevedere per la Cina un percorso lineare lungo la strada che ha intrapreso mi pare poco realistico.
È vero, ha a disposizione una manodopera sterminata e a costi irrisori, e disponibilità di capitale e altre risorse che le hanno permesso in relativamente poco tempo di raggiungere i paesi occidentali sotto il profilo economico ed industriale.
Ma la storia insegna che il progresso in questi campi si porta sempre dietro anche dinamiche sociali, come noi europei stiamo già sperimentando da circa un paio di secoli a questa parte.
E se questo è stato vero per noi nell’ottocento, tanto più lo sarà per la Cina del duemila, che attorno a sé non ha altre economie per così dire acerbe, ma paesi dove questi processi sociali hanno già avuto luogo.
È impensabile che un’apertura verso l’occidente influenzi solo noi senza che abbia in qualche misura delle ripercussioni anche al suo interno. Non conosco molto la cultura ed il modo di pensare orientali, ed in questo ammetto di analizzare la storia con mentalità europea, che magari in questo caso può rivelarsi un handicap, ma a me personalmente pare molto difficile che le condizioni sociali e politiche cinesi possano restare a lungo identiche a come sono adesso se la loro economia sta seguendo il percorso che hai descritto.
In ogni caso, anche se non saranno i padroni assoluti del mondo, saranno comunque una superpotenza con la quale dover fare i conti. Tanto più che gli USA continuano a faticare e l’Europa ancora non ha iniziato a vedersi e pensarsi come Europa.
Da appassionato di storia, comunque, a volte è seccante dover passare tutto il proprio tempo in una determinata epoca, senza poter vedere tutti gli sviluppi. È un pò come non far vedere a un fisico cosa accade all’interno del LHC del CERN! 🙂
Hanno gestito meglio del previsto Hong Kong e Macao, stanno applicando bene il concetto di soft power con Taiwan e la Birmania (mi rifiuto di usare il nome Myanmar); il problema enorme è la trasformazione dell’economia interna che già oggi è fonte di squilibri intollerabili. Avendo nel frattempo combinato disastri ecologici di portata abnorme resta da capire se la Cina del 2020 o del 2030 avrà in sè le capacità necessarie per portare a termine le transizioni necessarie. Onestamente sono pessimista al riguardo.