Singolare o seriale?

Nota per i naviganti: per l’intero mese di ottobre 2011 tutti i post di questo blog riporteranno come prima parte queste righe per ricordare che è possibile votare per il concorso SF qui fino alle 23.59 del giorno 31 di questo mese. Modalità di voto e lista delle proposte sono contenuti nel post linkato.

 

Prendo spunto da una serie di commenti relativi a una recensione recente per ragionare un momento con voi sul concetto di serie narrativa e sui personaggi seriali. Sono due concetti trasversali rispetto ai generi e ai sottogeneri e tendono a creare due fronti contrapposti tra i lettori e tra gli scrittori.

Un personaggio o un gruppo di personaggi che viene utilizzato in più di un libro come attore o gruppo di attori principali gioca su due fattori, entrambi in chiaroscuro. Il primo fattore è la familiarità dei lettori, ritrovando lo stesso personaggio o gli stessi personaggi si immergono con più facilità nella narrazione e il sense of wonder che ne deriva è maggiore. Per contro gli stessi lettori possono non gradire variazioni al cast, decidere quindi da parte dello scrittore di cambiare qualcosa può complicare parecchio le cose. Il secondo fattore è per lo scrittore che si ritrova una grossa parte del lavoro già fatta nel momento in cui riutilizza lo stesso cast di personaggi. In questo caso la parte negativa è più sottile; se lo scrittore decide di non far evolvere o cambiare i suoi personaggi si va a creare uno strato di abitudini mentali che puòà nuocere alla sua creatività.

Lo stesso ragionamento si può applicare per estensione alle ambientazioni, anch’esse essenziali per i cicli narrativi. Pregi e difetti sono gli stessi ma vengono mitigati dalle proporzioni. Se si crea un mondo tutto nuovo se ne possono esplorare varie parti da un romanzo all’altro, lo stesso vale se si utilizza il nostro pianeta e si sposta il cast dei personaggi in vari scenari. Qui la trappola per lo scrittore sta nei dettagli, si rischia di contraddirsi in maniera letale, specialmente se si è inventato tutto da zero.

Viceversa se per ogni romanzo o racconto lo scrittore ci mette di fronte a personaggi nuovi e/o ambientazioni inedite la sfida sale di tono. Ogni volta chi scrive deve riuscire a suscitare da zero il sense of wonder che permette di immergersi in una narrazione e ogni volta il lettore si trova ad affrontare un territorio inesplorato dal punto di vista narrativo.

In entrambi i casi servono capacità non indifferenti per gestire le cose. I lettori forti sono molto esigenti e facili a disamorarsi di un filone o di una serie. Anche trovare i necessari stimoli creativi può diventare via via più difficile per chi scrive in maniera regolare e deve soddisfare le legittime attese del pubblico. Infine riuscire ad adeguare le trame e i personaggi a condizioni che devono cambiare continuamente rischia di non riuscire in maniera compiuta, svelando così la scena agli occhi del lettore e rovinando qualsiasi coinvolgimento.

Devo dire che non ho una netta preferenza, come lettore, tra serie e episodi singoli. Posso citare in entrambi i casi libri riuscitissimi come ciofeche inaudite. In compenso, nella veste di schiribacchino, trovo difficile proseguire l’utilizzo di uno o più personaggi dopo la prima corsa. Ho fatto il tentativo più volte e per me è sempre stato difficile immergermi di nuovo nelle situazioni che io stesso avevo creato, quasi che una volta usato un personaggio questo finisse per allontanarsi da me.

In seguito avevo maturato la decisione di non ripetere più l’uso di un personaggio a meno di non farlo ritrovare come mero comprimario in altre storie, un espediente divertente per fare l’occhiolino ai propri lettori senza incorrere nei rischi descritti in precedenza. Ma è arrivato il Survival Blog e la mia decisione è andata a ramengo. Come non dare una seconda opportunità alla mia Stone Cold Company? Puntualmente mi sono ritrovato nelle secche, a fissare documenti zeppi di appunti e di tracce senza riuscire a dargli il corpo necessario. A meno che… non mi decida a fare cambiamenti massivi. Mortali, dato l’ambito narrativo.

26 thoughts on “Singolare o seriale?

  1. Di base sopporto i personaggi seriali finché si spingono a comparire al massimo in una trilogia – essendo essa accorpabile spesso in un’unica trama.
    Non amo invece i seriali infiniti, tipici di certi action thriller (mi viene in mente Clancy, ma anche Rollins) o di alcune collane legate per esempio Segretissimo.
    Sapere che saranno ancora lì, immortali e immutabili fra altri dieci anni, ammazza ogni genere di suspance…

    • È uno dei problemi principali delle serializzazioni, difficilissimo da evitare secondo me. Si va a cercare la complicità del lettore, si spera nella fan base. Ma non è facile. Per esempio io SAS non lo sopporto più da anni.

  2. I tuoi dubbi sono anche i miei. Non sai quanto stia faticando per recuperare l’atmosfera giusta di GfH, pur essendo intenzionato a introdurre delle novità.
    È un esperimento rischioso e difficile, lo ammetto.
    Però, almeno una volta lo si deve fare, fa crescere. Proprio per le ragioni che esponi tu in questo bel post. La sfida è riproporre personaggi coi quali i lettori hanno familiarità e allo stesso tempo renderli ancora accattivanti.
    Roba tosta.

    😉

    • Roba tosta? Per me tostissima. Sto facendo una fatica grama a riprendere quel ritmo, specialmente senza sentire ‘attorno’ tutto il caos allegro del SB. I due racconti che ho scritto per riprendere il protagonista del mio romanzo sono stati due parti.

  3. Punto di vista di un “lettore”: in 10 anni TI è rimasta una coerenza nello stile, ed una piacevola evoluzione per ciò che riguarda lo sviluppo della trama.
    Penso che maturando….e con un po’ di senso critico troverai una giusta direzione. Non è facile nè pensabile allungare tanto la vita dei protagonisti,anche perchè c’è il rischio di cadere in ripetizioni o in assurde incoerenze con le trame precedenti….a parte questo considero un buon lavoro qualsiasi lettura in grado di suscitare Emozioni .
    a presto IJ

    • Il compito di uno scrittore dovrebbe essere primariamente quello di intrattenere, magari in maniera intelligente. Il che porta come motore primo il poter suscitare emozioni, su questo hai ragione. Sul mio stile sorvolo, non ho ancora capito se ne ho uno. Detto tra parentesi, ci passi davvero a Livorno?

  4. A volte sfaccettare di più l’aspetto psicologico può essere un buon espediente per dare spessore a un personaggio seriale senza comprometterne la familiarità agli occhi del lettore. Anzi: dubbi, passioni e debolezze (persino errori) ben dosati possono produrre più empatia innovando il personaggio stesso. Il rischio di alcuni protagonisti sempiterni è un po’ l’effetto Mission Impossible, dove anche se si buttano dal Grand Canyon senza paracadute o di testa sugli scogli sai già che ne usciranno puliti e pettinati, privandoti di ogni sorpresa e annoiandoti forse un pochino…Però per farlo occorre costruire bene la trama e far evolvere anche altri personaggi importanti ai fini della vicenda, il che richiede a parer mio uno sforzo assai maggiore dell’imbastire una storia ex novo perché parti già avendo fissato alcuni paletti.

    • Fai perfettamente la fotografia delle magiori difficoltà di una serializzazione, non avrei potuto descrivere meglio la situazione. Gestire le variabili di cui parli in più di un romanzo richiede una capacità di progettazione, di analisi e di sintesi notevole. Un esempio luminoso è la Rowling, i sette libri di HP saranno discutibili ma hanno un livello straordinario di coerenza e di evoluzione parallela dei personaggi.
      Il lavoro dietro le quinte è notevolissimo.

  5. Avendo iniziato una serie da qualche mese… mi sento un po’ in difficoltà a rispondere. Diciamo che tutto è nato da un racconto che voleva essere omaggio a Vergnani. Poi quel personaggio mi è divenuto simpatico… e così ho cominciato a scrivere storie su storie. Mi diverto. Ambiento le storie nella città che amo, e ogni volta cito qualche monumento, o qualche aneddoto, o un briciolo di slang bolognese.
    A mia discolpa… posso dire… la serie non sarà infinita. E’ in programma un capitolo finale ^_^

    • Intendiamoci, non intendo demonizzare le serie. Io stesso ne ho seguite alcune con grande piacere e ho in programma di dedicare del tempo anche alla tua. Il punto è non nascondersi che ci sono delle trappole in agguato in questo tipo di scelta narrativa, sia per il lettore che per lo scrittore. Tu poi descirvi una situazione che in un certo senso si è creata da sola, pensa a chi invece pianifica a freddo la cosa dal punto di vista editoriale…

  6. Come sugerisci giustamente tu, il discorso non sta nella serialità o nell’unicità delle storie, ma in cosa e di come si scrive. Ultimamente sto leggendo i quattro volumi di racconti incentrati su Sarti Antonio, di Loriano Macchiavelli e, pur ripetendo ogni storia gli stereotipi del vari personaggi (la colite del questurino, il fancazzismo del talpone Rosas, la cattivera di Poli Ugo), c’è sempre quel guizzo in più, che lo innalza sugli altri. Sarà quel suo continuo parlare col personaggio, litigare con lui senza diventare stucchevole. Evidentemente in questo caso si tratta di qualcuno che padroneggia benissimo il mestiere. Nel mio piccolo mi sto provando con un personaggio di cui vorrei scrivere qualche storia e mi piace l’idea di riproporlo con tutto il suo seguito. Questo mi da l’opportunità di puntare di più sul contorno, sul paesaggio umano e geografico. Un po’ la stessa esperienza del venerato maestro Glauco.

    • Macchiavelli è un artigiano, uno che cura veramente nei particolari le sue storie. Il suo limite però arriva quando le storie che crea peccano di immaginazione o di guizzi proprio per mantenere l’atmosfera ‘famigliare’ di cui parli. Personalmente ritengo il primo Sarti il suo lavoro migliore insieme alla prima collaborazione con Guccini. Altri lavori francamente sono più bassi come livello.

  7. Yes, vedo continuità di stile dal blog “the.swordman il filo della lama ”
    su (allora) virgilio …diciamo che erano racconti brevi…prove generali di quello che sarebbe venuto fuori in seguito….ma tutti molto avvincenti…
    c’è stato 1 solo grande cambiamento ,e riguarda il pensiero dell’autore….mi chiedo cm mai PRIMA c’era un lavoro accurato per nn lasciare tracce nè immagini sul web e POI “METTERCI LA FACCIA, SEMPRE!”…devo aver perso un passaggio…. per la gita a LIVORNO? slogan 6!

    • Il passaggio tra l’essere totalmente anonimi e quello di metterci nome&cognome è motivato da un cambiamento di atteggiamento. Nel senso che non si può diffondere idee se non si ha il coraggio di praticarle in prima persona. Sono maturato? Sono più responsabile? E’ possibile, sai bene che avere figli porta a cambiare, tanto, le prospettive con cui si guarda alla vita. Se e quando passeria (passerete?) a Livorno sarà davvero un piacere. 🙂

  8. Non amo i serial infiniti ma la serialità non mi dispiace, soprattutto nel diporto disimpegnato.
    Abbiamo discusso di Gabriel Hunt, ad esempio – non mi dispiace il modo in cui è stata gestita la serialità “chiusa”, sei romanzi leggibili sia serialmente che come singoli, e poi si interrompe fino a data da definire.

    Per contro, non amo le saghe infinite e fuori dal tempo.
    Conan di Howard ha un suo senso, è una serie con unpersonaggio che cresce, cambia (poco 😛 ), ha un ideale inizio ed una fine ipotetica… gli infiniti addenda degli apocrifi mi possono anche divertire, ma non li seguirò mai assiduamente… uno ogni tanto, se proprio non ho altro, magari, ok…

    Specie sulla narrativa di genere, dove ormai a dominare non è più la serie ma il ciclo, la saga, la successione “a puntate” di venticinque tomi da ottocento pagine l’uno, la narrativa come cambiale a scadenza… no, per convincermi su certe cose l’autore deve essere _davvero_ in gamba.
    E quindi, ad esempio, per il fantasy, preferisco i (rarissimi, ormai) romanzi singoli.

    • A volerci ragionare tante serialità nascono sulle riviste americane degli anni ’40 e ’50, i predecessori sono nei giornali inglesi e francesi dell’800. Poi sono arrivate le dime novel e tante altre cose. Nel 2011 dobbiamo ragionare allo stesso modo? O sta diventando solo marketing editoriale? I cicli limitati (3-4 libri) hanno un respiro largo a sufficienza (900-1200 pagine di media) per raccontare storie molto complesse, oltre si rischia veramente di allungare il brodo.

  9. Bell’articolo! E soprattutto interessante il dilemma…
    Devo dire che io amo molto la serialità, mi piace affezionarmi ai personaggi, ritrovarli sempre, seguirne l’evoluzione…però, appunto, deve esserci un’evoluzione. Anche minima, magari. Persino uno dei miei eroi, seriale per eccellenza, Sherlock Holmes, in certe occasioni mi stuccava. Però ecco, le trilogie le sopporto bene. Penso al Matsuyama Kaze di Dale Furutani (se non lo conoscete rimediate, sono tre romanzetti davvero piacevoli), o ai personaggi dei MIdnighters di Westerfeld, o alla trilogia di Magdeburg di Altieri. Per non parlare poi del SdA, o di Martin. Però, di contro, gli eroi delle Dragonlance mi hanno annoiato dopo poco, ancora peggio RIchard & co. di Goodkind. Alla fine dipende molto dalla capacità dello scrittore, ovviamente.
    L’ideale sarebbe uno scrittore che cambia ambientazione e personaggi, ma ogni tanto si diverte a riprendere situazioni precedenti. Un po’ come quando giochi di ruolo con un personaggio, poi lo molli, ne giochi altri tre o quattro, e poi rifai un’avventura con il primo. Non ha prezzo. E apprezzo anche tantissimo le “contaminazioni”, tipo La Torre Nera e Roland che spuntano ovunque nelle storie di King, oppure, paragone improbabile ma per me azzeccatissimo, la possibilità in Final Fantasy Tactics di reclutare Cloud di Final Fantasy VII. Immenso. 😀

    • La chiave è l’evoluzione. Se si riesce a far viaggiare il lettore lungo il percorso di vita del personaggio lo si fidelizza, gli si offre l’occasione di fare un’esperienza superiore a tante letture. Sono capicità appannaggio di pochi, sia in Italia che all’estero. Grazie per aver segnalato Furutani, non conosco per ora ma verificherò. Sherlock Holmes è un figlio dell’800 e può essere visto con l’ottica di allora, le altre serie che hai citato sono moderne e devono essere viste con i mezzi attuali. Magdeburg per me è avvincente ma è una trilogia non scevra di difetti (anche gravi) che però trovano compensazione con il concetto di ciclo chiuso. Se domani Altieri aggiunge un prequel o un sequel (nel senso di volumi singoli) cambia poco.

  10. Credo che faccia piacere a molti tornare al 221b di Baker street o ripassare dalle parti di Vigata dove sta Montalbano, come può far piacere trovare nuove storie nuovi personaggi e nuovi sfondi.
    Non ho la preferenza per il singolare o il seriale, quello che trovo stonato e fastidioso è un certo modo di rapportarsi tra loro.
    Trovo le storie seriali, o con lo stesso sfondo, se ben fatte molto piacevoli: si rincontrano personaggi situazioni e sfondi familiari, ed è un po’ come tornare a casa dopo un lungo viaggio e, non da fastidio se qua e là c’è qualche cambiamento, ma la cosa cambia se in una storia singolare o seriale, s’innesta un’altra storia seriale levandola dal suo contesto, e mostrandola solo come una storia di fantasia.
    Mi sta bene un telefilm nuovo di zecca, ma se nel telefilm si cita un altra serie TV definendola solo come una serie TV, allora tutta la mia sospensione dell’incredulità e tutto il mio interesse va a farsi benedire.
    Posso accettare che accada in certi casi come in The big bang theory, è giusto che li si citino film serie e fumetti, ma se si fa una nuova serie e si parla o mostra una serie vecchia come Lost come Heroes e gli si attacca sopra l’etichetta di “opera di fantasia”, allora è come spegnere l’interruttore dell’interesse, e mi viene da pensare “ma guarda una serie TV che parla di un’altra serie TV…”
    Invece posso accettare un crossover tra Doctor Who e Las Vegas CSI, perché se entrambe sono vere, per quanto folle essere il risultato, si resta nel campo dell’immaginario, dove tutto è possibile e lecito..
    Sul seriale o singolare dal punto di vista di chi crea le storie non so, da fuori credo che finché c’è voglia, e l’interesse del pubblico, l’autore possa procedere come meglio crede.
    L’unico rischio in caso di grande successo, è quello di ritrovarsi il personaggio attaccato addosso come un’etichetta, e ritrovarsi costretti a scrivere di Holmes anche quando ormai non lo si sopporta più.

    • Come detto in altri commenti e nel post quando ci sono le condizioni per parlare in una bella serie io non ho nulla da ridire, anzi! Ma quanti scrittori sono artigiani? Quanti di loro sono in grado di progettare un’evoluzione seria e intelligente dei loro personaggi / scenari? Lo stesso per i soggetti delle serie Tv o per le sceneggiature dei film. I crossover sono spesso operazioni commerciali e devo dire che non ne ricordo molti che si possano dire riusciti, lo stesso vale per la recente moda dei mesh-up. Di contro si può essere schiacciati dal successo di un personaggio, basta guardare alla Rowling dopo HP.

      • Non so se uno scrittore sia più o meno artigiano, o quanto artigiani siano gli scrittori, ma se l’interesse da parte dello scrittore c’è, il progettare nuovi scenari per vecchi personaggi non è un problema.
        la chiave di volta credo che sia solo una: quanda voglia c’è da parte di chi scrive di seguire e tornare su una serie?
        Se l’interesse c’è, non credo che ci siano problemi che tengano, invece se in chi scrive c’è noia & fastidio ,allora non c’è serie idea storia o intreccio promettente promettente che regga, in quel caso meglio fare qualcosa di nuovo.

        I crossover sono operazioni commerciali, ma se sono in aumento vuol dire che il pubblico apprezza, certo sono rari quelli che si salvano e sinceramente a mia volta non me ne viene in mente nessuno di memorabile ora, però siamo agli inzi e non è detto che prima o poi le cose migliorino, anche visto che questa è la tendenza.

        La Rowling poteva avere altro da scrivere, oppure harry Potter era tutto quello che si sentiva di raccontare, ma non è la prima volta che un personaggio si espande fino ad appiattire e schiacciare tutto l’orizzonte del possibile dello scrittore.
        Però a conti fatti e visto il successo, è un bel ambito rischio…

        • Io l’associazione scrittore-artigiano la faccio quando penso a chi non è diventanto una specie di industria (vedi per esempio Tom Clancy). Per quello che ne posso capire senza entusiasmo e senza una vera programmazione tenere in piedi una serie è impossibile, se lo si fa solo per rispettare un contratto editoriale la qualità crolla in maniera verticale. Un bel crossover potrebbe venire da autori che si stimano veramente e che abbiano serializzazioni in corso che sono compatibili come ambientazione. Possibile, ma difficile.
          Credo che la Rowling sia soddisfatta dall’impatto commerciale del suo lavoro al 101%, non mi stupirei se tra un paio d’anni sbucasse un altro HP. Mi piacerebbe vederla scrivere altro, credo sia molto più brava di quanto normalmente sia accreditata.

  11. Sulla pianificazione della narrativa seriale, concordo in pieno.
    .
    Ho parlato nei giorni passati sul mio blog di Simon R. Green – mediano del fantastico britannico, specializzato in serie.
    Ora, sorvoliamo sul fatto che le cose migliori di Green (a mio parere) sono i romanzi one-shot scritti senza progetti seriali…
    Tuttavia, proprio Green, che campa di serial, progetta ogni nuova uscita come possibile avvio di una serie, e con una precisione da comandante militare.
    Da quel che ho capito leggendo sue interviste qua e là, lui praticamente immagina un setting e mette giù una specie di arco narrativo ipotetico, che comprende tre, cinque, dodici storie.
    L’arco narrativo diventa ciò che l’editore acquista – di solito sotto condizione: se il primo romanzo della serie tira, si prosegue.
    Ciò ha due effetti.
    primo – il primo romanzo della serie è sempre un po’ anomalo, perché è creato con la doppia funzione di introdurre una serie (luoghi, personaggi, idee, regole del gioco), e di “agganciare” quanti più lettori possibile;
    secondo – la serie mantiene un buon livello, proprio perché è stata pensata come serie, non è un incidente di percorso.

    Sulla Rowling, due o tre idee sfuse.
    È in gamba, ha degli editor che sono dei samurai su anfetamine e credo sia ferma al momento per evitare di rovinarsi la piazza con un possibile flop – tutti paragonerebbero la sua nuova uscita a HP, e verrebbero fuori le solite storie… è meglio/è peggio/è troppo uguale/è troppo diverso.
    Il suo vero difetto è la spocchia con cui ha trattato la comunità britannica del fantastico (e i fantasisti inglesi non gliela faranno mai passare liscia).

    • Confesso di non conoscere Green, ormai avrai capito da che abissi di ignoranza provengo. Tuttavia il concetto di pianificazione / strategia è esattamente quello che hai detto: da campagna militare. Poi bisognerebbe tenere presente la massima attribuita a Patton ‘nessun piano sopravvive al campo di battaglia’.
      La definizione degli editor della Rowling è meravigliosa. Vorrei essere uno di loro. ;-O

    • il personaggio principale sicuramente condiziona molto lo sviluppo di una serie, sono d’accordo. sviluppare però una narrazione in più parti richiede risorse che pochi hanno o vogliono mettere su pagina. Di saghe inutili credo ci siano esempi eclatanti.

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